Ecco come scriveva Scipio Slataper, con la sua lingua antica illuminata da lampi di assoluta modernità, nemmeno fosse uno dei fiumi carsici della sua terra, acque che scorrono sotto, nascoste, raccolte, imprevedibili, e che poi all'improvviso vengono allo scoperto.
Scipio Slataper, di cui tanto tempo dopo, quasi fuori tempo massimo, mi è capitato di leggere Il mio Carso, pubblicato per la prima volta nel 1912 da La Voce di Firenze. E che in effetti non so nemmeno dire cosa sia - autobiografia per frammenti o altro? - così come non riesco a misurare il senso del secolo e passa che mi separa da questa scrittura - figurarsi, prima della Grande Guerra.
Lettura perfino faticosa, impervia, sempre a un passo dalla resa. Eppure con un fascino che resiste, che riesce a non dileguarsi. Sarà l'idea di questo intellettuale che sembra riassumere per intero la mia idea di Mitteleuropa. Sarà per il suo legame con un mondo scomparso, con una terra che è un lembo di geografia e allo stesso tempo un sogno dell'infanzia.