Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in italiano.
Il tutto confezionato in un formato molto dinamico che ha lo spirito delle opere di Moore (e quale documentarista contemporaneo non guarda al regista americano quando si mette a dirigere?), senza però averne la personalità o il fantastico lavoro di repertorio (come invece aveva, ad esempio, The corporation), ma non è per forza un difetto.
La cosa che più mi ha colpito però è che, al netto di ciò che è vero e ciò che è esagerazione (ogni documentario porta acqua alla propria tesi, anche se questo mi è sembrata decisamente più credibile, obiettivo e meno enfatico di opere come Capitalism e anzi è anche migliore dal punto di vista espositivo e dettaglio tecnico), tutto sembra chiarissimo. Questo è un documentario che parla di questione tecniche di un mondo a parte che non solo ha termini propri, ma anche figure professionali e modus operandi a sé; e ciononostante i ragionamenti e le spiegazioni risultano digeribili e chiare (magari alla seconda visione). E questo si che è un punto favorevolissimo per un documentario.
PS: No aggiungo solo, per non sembrare un giannizzero senza discernimento che i suoi difetti li ha anche lui; la parte sulla prostituzione e l’uso di droghe nell’alta finanza è puro marketing a sfavore della categoria attaccata, solo una tecnica demagogica di svilimento ed esce del tutto dal tema; ma si fa anche dimenticare in fretta.
PPS: Capitalism (e lo nomino ancora anche perché partono dagli stessi eventi) rimane comunque il migliore fra i due dal punto di vista estetico.
PPPS: E dopo smetto. Non so quali altri documentari fossero in lizza per l’oscar, ma la così, a scatola chiusa, direi che la vittoria di Inside Job è meritata.