Inside the narcotráfico

Creato il 04 maggio 2011 da Andreaintonti

Continua il viaggio di Señor Babylon all'interno del narcotraffico internazionale e della guerra che si sta combattendo in Messico tra i cartelli della droga (quali sono i principali lo abbiamo visto nel post "Messico-Italia. Sulla rotta dei narcos tra canzoni e cocaina") e l'esercito. Con una serie di documentari - per lo più in spagnolo ed inglese - partendo dalla cittadina di Reynosa andremo a vedere come si stanno organizzando i cittadini - alle prese con fenomeni di sparizioni simili a quelle dell'Argentina di Videla - passando per il lavoro delle polizie nel vecchio continente, là dove la tratta sudamericana e quella africana si incontrano. Aggiungetegli il prefisso "narco", chiamatela "lotta tra cartelli" o come vi pare: quello che succede per le strade di Reynosa - cittadina messicana dello stato di Tamaulipas, al confine con gli Stati Uniti - è una vera e proprio guerra. Da un lato l'esercito "regolare", fatto di gente in divisa che, al di là dell'alta percentuale di corruzione, tenta di evitare che il Messico si trasformi nell'ennesimo "narco-stato"; dall'altro c'è l'esercito dei cartelli della droga.
Come in tutte le guerre anche in questa ci sono i morti, i feriti e gli scomparsi. Esattamente come succede in Iraq o in Afghanistan. Ma se ogni tanto i media europei si occupano di questi due paesi, è quasi impossibile trovare notizie riguardanti il Messico, nonostante il paese stia diventando la principale fonte da cui la criminalità organizzata europea ('ndrangheta in particolare) compra la droga che poi mette in circolazione per le strade del Vecchio Continente.
È una guerra che, evidentemente, non interessa neanche agli Stati Uniti, che trovano nei cartelli messicani - come vedremo - un interlocutore importante per quanto riguarda non solo il traffico di droga, ma anche per quanto riguarda il traffico di armi.
«Il mondo è oggi più sicuro» ha detto il Presidente Barack Obama in riferimento all'omicidio di Osama Bin Laden, che con la sua morte sembra aver conseguito un'altra vittoria fondamentale contro il c.d."Occidente democratico": far capire ai popoli che quelli che tanto decantiamo come "universali" diritti umani altro non sono che uno dei tanti strumenti di cui le grandi potenze mondiali dispongono per tutelare la loro grandezza. Perché come sempre più sta venendo fuori nel dibattito internazionale - un dibattito che non scalfisce minimamente l'Italia, che ancora una volta dimostra di non avere la caratura necessaria per appartenere ad alcuna "comunità internazionale" - quella nei confronti dello sceicco del terrore è una vera e propria vendetta, nonostante il "nostro" mondo utilizzi quotidianamente termini come "giustizia" e, appunto, "diritti umani universali". La domanda che ci si sta ponendo è se si possa in qualche modo "abdicare" alle "leggi di giustizia" di fronte ad un terrorista. Persino a Norimberga si è fatto un processo. Ma questa è un'altra storia...
In realtà - io credo - il mondo non è né più né meno sicuro di quanto non lo fosse una settimana fa, semplicemente perché i "grandi terroristi" come le industrie di armi ed i suoi trafficanti, i cartelli della droga o la grande industria farmaceutica (la c.d. "Big Pharma") rimangono tranquillamente al proprio posto, senza che nessuno osi scalfirne il potere dichiarandogli guerra.
Anzi, molto spesso sono proprio queste a rendere "grande" un paese. Basti pensare - tornando un po' indietro con la memoria storica - allo scandalo "Iran-Contras" del 1985.
Ce ne parla il politologo Manuel José Montañez Lanza nel video che segue, nel quale ci spiega appunto "l'uso geopolitico del narcotraffico" e di come l'economia parallela che da questo si struttura incida anche sull'economia (e dunque sulla politica) "ufficiale":
Il traffico di droga si lega ad altri traffici. Quello di armi e quello degli esseri umani, che sempre più vengono utilizzati come corrieri, come è possibile vedere in questo documentario
e, nell'inchiesta di CurrentTv - unico documentario (tra quelli trovate da Señor Babylon) in lingua italiana - dove si analizza l'altra tratta principale che segue la droga per arrivare nel nostro continente: quella con l'Africa. Bisogna però sottolineare l'errore commesso al momento della realizzazione dell'inchiesta (errore peraltro commesso da tutti i media mainstream italiani): i ragazzi africani uccisi a Castelvolturno, come è stato poi ampiamente documentato, niente avevano a che fare con il traffico di droga (ma definirli come "vittime del caporalato" quali in realtà erano avrebbe creato meno impatto mediatico-elettorale...).
Tornando al narcotraffico vedremo in questo video - ripreso dalla tv pubblica spagnola TVE - come opera la polizia in Europa: quali sono i metodi che dall'intercettazione del carico di stupefacenti porta all'arresto del trafficante
Con il reportage di Katya Adler - per la BBC - torneremo in Messico, precisamente al confine tra Ciudad Juárez ed El Paso. La Adler ci racconta principalmente come vive chi si trova in mezzo a questa guerra, cioè la gente comune.
Gente comune che, trovando inutile rivolgersi a forze di polizia corrotte o espressione diretta dei cartelli, decide di organizzarsi, come nel caso di "Barrio Activo" (traducibile come "Quartiere attivo"), un'organizzazione giovanile operante a Città del Messico che - come ci racconta questo breve servizio di TeleSur - cerca di evitare che i giovani vedano nell'appartenenza ai cartelli l'unica opportunità di sostentamento cercando di dar loro delle alternative.
Perché al di là del lavoro di controllo e repressione delle forze dell'ordine, il primo "esercito" che deve combattere la guerra al traffico di droga (così come la guerra contro le mafie in generale) deve essere quello che risponde alle pallottole con la cultura, con i libri e - appunto - con le alternative.
Ed è forse proprio per questo che a queste latitudini la "narco-guerra" non viene raccontata.

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