Come quando ti svegliavi la mattina di Natale e indugiavi nel letto in attesa di fare irruzione in salotto dove Babbo Natale aveva riversato ogni ben di dio. Quella felicità pura, quella voglia di prolungare quegli attimi, quel fiato che si spezzava in gola.
Così mi sentivo, ieri...
Non sono riuscito nemmeno a mangiare, con lo stomaco chiuso, serrato, blindato.
E poi finalmente, la sera, con il sole che già si nascondeva arrossato tra i palazzi della città, con gli uccelli che cominciavano a volare radenti alla ricerca degli insetti ormai stanchi della giornata, con il ritmo cittadino che tentava di rallentare contro ogni resistenza, con le strade che piano piano riconquistavano i loro spazi, finalmente, io, dopo sei anni e rotti (da quando è nato Andrea...) sono riuscito ad andare al cinema!
Un'emozione oltre ogni limite.
A partire dall'acquisto del biglietto. Ora si può scegliere le poltrone (fantascienza!), i posti sono numerati (pazzesco!) e non devi entrare con la scimitarra per conquistare la poltrona che vuoi passando sul cadavere dei tuoi simili meno scaltri di te.
Poi gli spazi: ci stanno le gambe!, e poi le poltrone imbottite, una volta solo esclusività dei cinema di altissimo bordo (ricordo il President ora scomparso...).
Insomma per una sera mi sono sentito il 'provinciale' cascato nella grande città, alle prese con tutte le novità che aveva sempre sognato e che non aveva mai visto. Ubriaco di luci e di rumore.
Per la cronaca mi sono sciroppato Habemus papam, del prode Moretti.
Bellissimo film, delicato, struggente, e divertente, che ci sbatte in faccia non tanto il tema del mondo ecclesiastico chiuso al mondo e fuori dal tempo, ma quello dell'inadeguatezza dell'uomo a vivere il suo ruolo, la sua vita, il suo dolore.
Bello andare al cinema. Credo proprio che nei prossimi sei anni ci riproverò.
I figli sono gioie...