A questa domanda ha risposto, con la sentenza di data 25.10.2011, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea indicando i criteri preferenziali per ottenere ristoro (in sede civile) del danno patito.
Diversamente dalla diffusione di un testo a stampa − più circoscritta territorialmente −, la pubblicazione e diffusione di contenuti su Internet si caratterizza per l’istantaneità della consultazione da un numero indefinito di internauti localizzati territorialmente in diverse parti del mondo. Risulta, pertanto, che una diffusione “universale” sia idonea ad aumentare la gravità delle violazioni dei diritti della personalità rendendo, al contempo, difficile individuare i luoghi di concretizzazione del danno derivante da tali violazioni.
Interessata sul punto da due distinte vicende (una relativa a un cittadino tedesco condannato per omicidio e poi ammesso alla libertà condizionale il cui nome era segnalato, per esteso, su un sito web di informazione austriaco; l’altra riguardante un noto cittadino francese che lamentava violazioni della sua privacy e del diritto all’immagine, a seguito della pubblicazione sul sito internet del Sunday Mirror di un articolo di gossip che lo riguardava), la Corte di Giustizia ha stabilito i seguenti principi:
a) l’art. 5, punto 3, del regolamento (CE) n. 44/2001 (concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale) deve interpretarsi nel senso che, in caso di asserita violazione dei diritti della personalità per mezzo di contenuti messi in rete su un sito internet, la persona che si ritiene lesa ha la facoltà di esperire un’azione di risarcimento, per la totalità del danno cagionato, o innanzi ai giudici dello Stato membro del luogo di stabilimento del soggetto che ha emesso tali contenuti, o innanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova il proprio centro d’interessi;
b) in luogo di un’azione di risarcimento per la totalità del danno cagionato, tale persona può altresì esperire un’azione dinanzi ai giudici di ogni Stato membro sul cui territorio un’informazione messa in rete sia accessibile oppure lo sia stata (questi ultimi sono competenti a conoscere del solo danno cagionato sul territorio dello Stato membro del giudice adito);
c) l’art. 3 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione (direttiva sul “commercio elettronico”), deve essere interpretato nel senso che esso non impone un recepimento in forma di norma specifica di conflitto. Nondimeno gli Stati membri devono assicurare che, fatte salve le deroghe autorizzate alle condizioni previste dall’art. 3, n. 4, della direttiva 2000/31, il prestatore di un servizio del commercio elettronico non sia assoggettato a prescrizioni più rigorose di quelle previste dal diritto sostanziale applicabile nello Stato membro in cui egli è stabilito.
In definitiva, poiché l’impatto di un’informazione, messa on line, relativa a diritti della personalità di un soggetto può essere valutata meglio dal giudice del luogo in cui la vittima possiede il proprio centro di interessi, la Corte ha ritenuto di individuare proprio quest’ultimo come quello competente per la totalità dei danni causati sul territorio dell’Unione europea, precisando che il luogo in cui una persona ha il proprio centro di interessi corrisponde, in via generale, alla sua residenza abituale.