Internet for peace... ma ne siamo sicuri?

Da Ugobarbara
Sono abbonato a Wired. Mi sono abbonato subito, non appena ho ricevuto a casa l'invito a farlo, perchè nel '94, quando stavo a NY, fu la prima rivista a parlarmi di Internet e dell'e-mail. Wired Italia e Wired Usa non sono la stessa cosa. Per fortuna. Vorrei avere più tempo per leggerla da cima a fondo perchè è davvero una buona rivista e meriterebbe ogni minuto del tempo che richiede. Solo che poi ha varato questa cosa, internet for peace, per candidare la rete al Nobel per la pace. Ora, premettendo che non l'avrei mai dato a Yasser Arafat per quello che ha fatto nè a Barack Obama per quello che potrebbe fare, stiamo pur sempre parlando del massimo riconoscimento su quanto di più aleatorio, controverso, fragile e utopistico ci sia sulla Terra. Eppure quelli di Wired sono convinti che la rete si meriti il premio. Negli stessi giorni in cui lanciavano la loro campagna - che, diciamocelo, fa molto tech-glam - ho scritto di un rapporto del Centro Wiesenthal secondo cui su Twitter, Facebook e YouTube il numero degli attacchi a sfondo razziale o di matrice terroristica é aumentato del 20 per cento nell'ultimo anno. Il Rapporto sull'odio in digitale, che ha preso in esame 11.500 siti, ha rilevato che il linguaggio carico d'odio trova sempre più spazio sul web.A questo voglio aggiungere una notazione molto più banale e dal valore statistico decisamente meno rilevante. Durante il mio ultimo viaggio in treno da Milano ho dovuto percorrere cinque carrozze per arrivare fino al bar. Ne ho approfittato per contare quante persone avessero il computer portatile accesso e per sbirciare per cosa lo stessero usando. Molti, moltissimi avevano un portatile ed erano connessi a Internet nonostante la precarietà del collegamento. Approssimativamente il 20% stava lavorando; il 50% guardava film (magari scaricati illegalmente) e il 30% stava su... Farmville.Non metto in discussione il fatto che senza il Twitter gli studenti iraniani non avrebbero potuto dar voce alle loro proteste, né che senza ProPublica il giornalismo sarebbe più povero, ma se vogliamo dare il Nobel alla rete dobbiamo darlo prima all'inventore dell'aria condizionata per aver scongiurato innumerevoli omicidi scatenati dalla calura estiva; all'inventore della macchina per il caffè per aver evitato chissà quanti colpi di sonno in autostrada e a quello della lavapiatti per il sostegno dato al movimento per l'emancipazione della donna. Diffido di un mondo in cui un groviglio di fibre ottiche e doppini ramati viene confuso con una filosofia di vita. La rete è solo uno strumento e nient'altro. E come ogni strumento non è buono o cattivo in sé, ma a seconda dell'uso che se ne fa. Oppure un Nobel per la pace non si nega a nessuno, nemmeno a Nadia Cartocci per aver trovato un papero solitario nella sua fattoria virtuale?

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