13 novembre 2014 di Pierluigi Camboa
Archimede in un dipinto di Domenico Fetti (1620) da Wikipedia
Saper riconoscere la realtà è uno dei problemi più difficili da affrontare nella vita quotidiana, non solo per i problemi che spesso si porta dietro, ma anche perché è già difficile saper riconoscere e definire il significato del termine “realtà”. Cos’è la realtà, dunque? Senza ricorrere a polverosi trattati, possiamo definire la realtà come “ciò che effettivamente esiste e che si contrappone a ciò che è immaginario ed illusorio”; tuttavia questa definizione non è esente da critiche, dato che, visto che in un’accezione soggettiva la realtà è tutto ciò che è oggetto delle nostra esperienza, la nostra percezione della realtà potrebbe essere fallace e non rappresentativa di ciò che effettivamente è.
Cominciamo male con questi “contorcimenti intestinali” e allora decidiamo di essere, per una volta, positivi e propositivi e mettere a disposizione della collettività un metodo “scientifico” che ci possa permettere di minimizzare gli errori di interpretazione delle senso-percezioni e di avvicinarci alla vera essenza della realtà. Questo nostro metodo è stato definito come “Metodo delle 3 C” e si tratta di un approccio tridimensionale all’interpretazione della realtà, finalizzato a riconoscere i problemi da affrontare e di ipotizzarne le soluzioni adeguate.
A sua volta, problema è termine derivato dal greco πρόβλημα (sporgenza, ostacolo, promontorio, impedimento), che trae a sua volta origine dal verbo προβάλλω (metto davanti). In pratica, per problema si intende un qualsiasi ostacolo che si frappone tra la volontà di raggiungere l’obbiettivo fissato e l’obbiettivo stesso, rendendone difficile il raggiungimento.
L’approccio al problema deve essere sempre tridimensionale, cioè finalizzato a prendere in esame i 3 parametri (o “dimensioni misurabili”), che lo caratterizzano:
- Caratteristiche quali-quantitative intrinseche del problema (Caso).
- Quadro ambientale e struttura organizzativa (Contesto).
- Situazioni spaziali, temporali e modali di sviluppo del caso (Circostanze).
Caso: il termine definisce l’entità (aspetti quantitativi) e le caratteristiche (aspetti qualitativi) del problema; perciò, la sua valutazione consiste nella misurazione delle “dimensioni” del problema, in termini di livello di complessità e di effetti prodotti (in caso di mancata soluzione). Se il caso viene esaminato solo con la misurazione delle sue dimensioni intrinseche, sfuggono al rilevatore le situazioni di contesto ambientale (tendenzialmente stabili nel breve periodo) e le circostanze contingenti ed aleatorie (spaziali, temporali e modali), che ne modificano, talvolta in modo radicale, le dimensioni complessive; perciò, come argutamente ci fa rilevare il grande “filosofo della salute” Nino Trimarchi, un corretto approccio al caso (misura non solo del caso ma anche degli effetti del contesto e delle circostanze), finisce per diventare una cosa, in genere abbastanza facile da gestire; se invece si prende in considerazione il caso estrapolandolo da tali variabili esterne, esso può trasformarsi in caos.
Contesto: è l’insieme degli elementi del quadro ambientale nel quale si sviluppa il caso e dei nessi che con esso stabiliscono. È legato a caratteristiche al momento fisse e stabili (risorse, cultura, tradizioni, ecc.) ed alla struttura organizzativa nella quale ci troviamo ad operare.
Circostanze: sono le situazioni particolari, a carattere contingente ed aleatorio, nelle quali si è sviluppato il caso. In altre parole, il termine indica qualsiasi particolarità di luogo, di tempo, di modo ecc., che accompagna un fatto o una cosa.
Rinviando gli approfondimenti tecnici sul tema a più specifiche pubblicazioni, è opportuno chiarire che spesso bisogna prendere in esame anche una quarta importante “C” (il “Culo”, il “Fattore C” per antonomasia, popolare sinonimo di fortuna sfacciata); in tal senso sembrano deporre i seguenti esempi di grande mistificazione della realtà e di assoluto disprezzo da un lato per la meritocrazia e dall’altro per la giustizia sociale.
Le omelie di “Papa Cajazzu”: questa è una storia spiritosa, forse un paragone irriverente, ma nello stesso tempo anche un esempio emblematico di una certa tendenza di manifestazione dei poteri forti (e per far comprendere come l’importanza di un caso si modifica radicalmente in relazione al contesto ed alle circostanze); per entrare nell’argomento, vogliamo farvi notare un (quasi blasfemo) parallelismo tra una delle più note frasi del sommo Dante Alighieri “Vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole e più non dimandare” e la meno celebre frase con la quale Don Galeazzo (Papa Cajazzu), il leggendario “donnabbondiamo” curato di Lucugnano (sperduto villaggio del Capo di Leuca) concludeva le sue celebrazioni sacre intorno al XVII secolo. Infatti il nostro, per ingraziarsi le simpatie dei signorotti locali, sempre seduti in prima fila, concludeva tutti i suoi sermoni con la ormai “storica” frase: “Signore, provvedi alli provveduti, ca tantu li sprovveduti aci suntu ‘bbituvati de quannu su’ nati, pocca!” (Signore, concedi sempre ricchezza e salute alle persone agiate, perché i poveri riescono a convivere bene “solo” con le malattie e con la miseria).
Il Nobel (anche) di Ennio De Giorgi (solo) a John Nash: nel 1957, il grande matematico leccese Ennio De Giorgi risolve il XIX problema di Hilbert, alla cui soluzione si erano dedicati infruttuosamente per oltre mezzo secolo i più importanti studiosi di matematica del mondo; si narra inoltre che si fosse ricorsi persino all’aiuto di uno dei primi (preziosissimi e costosissimi) prototipi di cervello elettronico che, a causa dello “sforzo” superiore alle sue possibilità, riportò danni gravi e irreparabili. Nel 1994, John Nash, matematico ed economista di grande fama, ricordato dai più per avere ispirato il drammatico film “The Beautiful Mind”, riceve il Nobel per l’economia con la sua “Teoria dei giochi”, per la stesura della quale aveva utilizzato la soluzione del XIX problema di Hilbert. Per dovere di verità, nel ricevere il premio John Nash ammette, con grande onestà, che: “Fu De Giorgi il primo a raggiungere la vetta”. Ma tant’è!…
Un altro premio Nobel scippato a un italiano: nel 1963, il fisico italiano Nicola Cabibbo – il suo cognome suona tanto di beffa – elabora la teoria delle particelle elementari (il “quark”) e tale teoria prende il suo nome (Teoria di Cabibbo). Nessun grande riconoscimento al nostro Cabibbo, se non nei consessi scientifici, in genere noti solo agli addetti ai lavori; invece, nel 2008 (ben 25 anni dopo la scoperta del nostro Cabibbo), il ricercatore nippo-americano Yoichiro Nambu, in condivisione con i colleghi giapponesi Makoto Kobayashi e Toshihide Masakawa, riceve il Nobel per la fisica per la rottura di simmetria e le trasformazioni delle particelle di “quark” di Cabibbo.
Il federalismo “alla Nando Moriconi”: il mitico Nando Moriconi, l’americano de Roma, è un giovane trasteverino affascinato dal mito americano. La sua vita è tutto un rifarsi ai modelli d’oltreoceano, appresi solo dai film, di cui imita atteggiamenti e frasi. Qualcuno di molto simile al Nando nazionale, ma con un idioma assolutamente diverso, direi quasi transpadano, si è reso protagonista di un nuovo “E io te magno!”, mistificando il significato originario del termine “federalismo”, quello solidale di Tommaso Fiore e di Antonio De Viti De Marco (manco a dirlo, due pugliesi!) e trasferendolo in un tanto semplice, quanto metafisico: “Tanto produci, tanto puoi spendere… (e magnare)”… Nel frattempo, ci è capitato di leggere il fantastico testo “Per una sanità di valore” di Sir Muir Gray e Walter Ricciardi, nel quale si raccomanda di attuare il finanziamento dei servizi sanitari avendo cura di privilegiare le popolazioni povere, che sono quelle più esposte alle malattie. L’esatto opposto di quanto proposto con il modello attuale di federalismo, sempre che non si intervenga con robusti correttivi, anzi con una vera e propria revisione sostanziale del provvedimento. Che dire? Evidentemente, nelle sue occasioni di lettura, qualcuno preferisce, agli stucchevoli autori di sanità pubblica, il sempre vivo (e attuale) messaggio del buon Papa Cajazzu: “Signore, provvedi alli provveduti, ca tantu li sprovveduti aci suntu ‘bbituvati de quannu su’ nati, pocca!” (Signore, concedi sempre salute e ricchezza alle persone agiate, perché i poveri riescono a convivere bene con le malattie e con la miseria).
Che fare, allora?… Prendiamola con filosofia e ridiamoci su, ma ricordiamo anche due preziosi e (si spera) utili e pratici concetti:
- Nelle procedure di interpretazione della realtà (diagnosi ed identificazione dei problemi) non esiste un modello universale del tipo “copia e incolla”.
- Ogni valutazione deve tener conto del caso, del contesto, delle circostanze… e del “Fattore C”; infatti – e per finire in bellezza – molto spesso non basta aver identificato (e, magari, persino risolto) il problema: bisogna anche sperare che non ne diano il merito agli altri!