“Non siamo destinati a salvare il mondo, ma ad abbandonarlo. È la missione per cui sei stato addestrato” dice il professor Brand (Michael Caine) a Cooper (Matthew McConaughey). È ciò che fa lo stesso Nolan: non salvare o conservare un genere e la canonica concezione del tempo, ma abbandonarli, poiché è quello per cui si è auto-addestrato sin da Memento.
Se Inception in un certo senso era il principio, l’Alfa della sua riflessione sul tempo (non dimentichiamoci che è stato pensato in dieci lunghi anni intervallati da due episodi del Cavaliere Oscuro), Interstellar ne è il sommo compimento, l’Omega nella quale la dimensione del sogno non è tanto dissimile da quella dei mondi paralleli e del viaggio intergalattico.
Interstellar è un film gigantesco, impressionante, ricchissimo in ogni sua sfumatura, dove nessun dettaglio è decorativo ma funzionale ad una trama che non dimentica nessun filo narrativo di quelli tirati. Innanzitutto è la rifondazione e il superamento del genere fantascientifico per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. È fanta-scienza dell’uomo portata tra le stelle, che parte dalla Terra per approdare in un’altra galassia e atterrare su un’altra terra. Ma l’uomo, il suo spirito, le sue convinzioni, i suoi sentimenti superano il tempo, lo spazio, ogni terza, quarta e quinta dimensione, oltre ogni Teoria delle Stringhe. La specie umana che emigra non cambierà se stessa, lo spazio-tempo non annulla l’indole umana, il folle volo oltre l’orizzonte ignoto di un buco nero, l’animo umano, il suo istinto (di sopravvivenza) che fa solcare gravità e relatività per amore di una figlia, ma anche per egoistico bisogno di compagnia, di confronto e di tradimento per sentirsi vivi e per cancellare un fallimento che disonora, proprio come accade al dottor Mann (Matt Damon). L’uomo, l’uomo prima di tutto, solo e soltanto l’uomo. È questo l’imperativo di Nolan. L’anima, oltre ogni dimensione fisica conosciuta, si conserva tale e quale, così come l’amore. Quell’amor che move il sole e l’altre stelle.
Nolan va oltre i generi e la citazione, va oltre la distinzione classica tra significato e significante. Va nel mezzo, nell’inter-spazio più che nell’iper-spazio. È così che porta il cinema tutto intero nello spazio tra gli spazi. Interstellar si apre con le testimonianze di anziani sopravvissuti come Titanic di James Cameron e si chiude come Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher dove la cronologia del tempo si confonde tra giovani e vecchi, comincia con un’ambientazione alla Signs di Night Shyamalan e prosegue con fughe in pick-up alla Guerra dei Mondi di Spielberg e messaggi video alla Moon di Duncan Jones, strizzando l’occhio ad Alien di Ridley Scott (vedi gli interni dello shuttle sporchi, usurati, e l’astronauta di colore che muore tra i primi) e 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick (il robot TARS è il gemello buono e umano di HALL e richiama al monolito nero scoperto dagli ominidi del film del 1968).
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