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Intervento della familiare Rosalia al Forum Visiting Sicilia 2014 che si è svolto a Palermo il 31 Gennaio 2015

Creato il 18 febbraio 2015 da Raffaelebarone

La “casa” intesa come ambiente familiare, come insieme di ruoli e competenze emotive che assicurano a ciascun membro solidarietà, rifugio; ogni “casa” è fatta di stanze, e in ogni stanza ci sarà qualcuno pronto ad aiutare; in ogni “casa” si trova accoglienza e in ogni casa ciascuno dei conviventi vive il tempo, il tempo che ingoia tutti ma in tempi diversi: il momento opportuno, l’occasione giusta, il tempo favorevole; in ogni “casa” c’è il dolore, qualcosa che tutti, per istinto, fuggiamo; in una “casa” tutti i suoi componenti puntano premurosamente e affettuosamente “ alla cura della fatica di vivere” dell’altro cercando sempre per quel che è possibile di dare il massimo valore, la massima attenzione alla vita.
Queste oggi sono le comunità, “case” in cui si nutre il rispetto per la “ fatica di vivere” di tutti coloro i quali hanno bisogno di ascolto, di sostegno, di consigli, di riabilitazione per affrontare al meglio “la fatica di vivere” e poiché la “casa” che accoglie componenti diversi per genere, per natura, per indole, per soggettività diventa una famiglia, le comunità, la comunità “Sant’Antonio” di Piazza Armerina ha scelto di sostenere anche le famiglie dei suoi ospiti perche la famiglia è a mio avviso un’importantissima risorsa unica e irripetibile.
Dato che sempre secondo il mio modestissimo parere, il Dott. Basaglia non negava l’esistenza della malattia ma combatteva piuttosto “ il modo” in cui la malattia veniva trattata, parlando di una “ messa tra parentesi” della malattia come premessa necessaria per “scoprire” la persona , per entrare in un rapporto reale con essa affrontando tutte le angosce, le paure, che ciò comporta, sostenendo che la “ follia” non aveva, non ha un luogo dove esprimersi ecco che nascono, si moltiplicano, crescono, si evolvono le Comunità che sopperiscono fortunatamente i manicomi di una volta e supportano o sostituiscono le famiglie là dove queste non ci fossero o non fossero propriamente adeguate ad essere rifugio per quei familiari affetti da gravi patologie mentali che hanno tanto bisogno di essere accuditi, curati, avvolti, protetti, preservati, difesi, riscattati da se stessi e dai loro problemi.
Questo è quanto ho potuto constatare frequentando la Comunità Sant’Antonio di Piazza Armerina dove vive da cinque anni mio fratello.
In questi cinque anni di frequentazione costante della Comunità dove la famiglia ha investito un ruolo centrale nel percorso riabilitativo dei propri familiari, partecipando alle riunioni mensili di gruppo estese globalmente ai familiari, agli utenti che preferisco chiamare conviventi, alla equipe terapeutica, ai medici, al supervisore nella persona del Dott. Raffaele Barone, agli operatori, ai cuochi ho proprio respirato aria di familiarità, gli uni seduti accanto agli altri, tutti insieme come una famiglia numerosa, allargata, riunita per la condivisione in tutte le sue forme anche quella del pranzo, per il confronto civile e democratico, per lo scambio di emozioni forti, per la volontà di mettersi in gioco tutti e ribadisco tutti, senza distinzione alcuna di ruoli o di competenze, per l’impegno a voler risolvere nel miglior modo possibile le varie problematiche che assillano ciascuno di noi. Nel momento in cui in un nucleo familiare uno o più membri vengono investiti, travolti da grave patologie psichiatriche in cui la loro sofferenza mentale e psicologica e il loro disagio sociale toccano livelli molto elevati queste condizioni rendono spesso attivo un bisogno di ascolto e di sostegno in ognuno dei familiari. Per tutto ciò è stato molto importante per me e per mia madre (non ho più il papà ne altri fratelli o sorelle) essere coinvolte nel percorso riabilitativo in quanto persone che stanno affrontando la difficile esperienza di vita al fianco del proprio congiunto. Infatti creare una rete di supporto e di comunicazione tra il paziente, la sua famiglia, l’equipe terapeutica, gli altri pazienti, i familiari degli altri pazienti allo scopo di migliorare l’integrazione e a facilitare la reciproca comprensione dei bisogni di ciascuno evita a mio avviso quei rischi di frammentazione che comporterebbe per il soggetto il doversi relazionare con due modi tra loro non comunicanti.
La corretta informazione della famiglia e il suo coinvolgimento nel programma terapeutico consentono, invece, di allargare il campo di indagine e rinforzare le modalità di approccio al soggetto.
Rendendo la famiglia sempre più protagonista è possibile stimolarla ad una maggiore collaborazione, rendere più accettabile la malattia, diminuire lo stress e il disagio che questa comporta per l’intero nucleo familiare con un conseguente rinforzo non solo dell’efficacia del lavoro riabilitativo ma anche dei bisogni affettivi che necessitano di un più intenso e sollecito riconoscimento per rendere sempre più fluido e possibile il lavoro di collaborazione e di attenzione a tutto il mondo “mentale”.
Ciò sarà maggiormente possibile col progetto visiting. Grazie alla Comunità Sant’Antonio di Piazza Armerina ho potuto partecipare ad alcuni visiting credo tantissimo nell’efficacia di questo progetto perchè il suo intento è quello di dare sempre più corpo, anima e colore alle personalità al di là della sintomatologia (per quanto riguarda i pazienti), dare sempre più voce e ascolto ai familiari e andare oltre il mansionario ( per quanto riguarda lo staff terapeutico in tutta la sua globalità) ed è suo intento dare l’opportunità alle Comunità Terapeutiche di creare fra loro una rete dentro la quale esse troveranno più stimoli, più passione per cercare una strada autentica di progresso, di cambiamento perché avranno la possibilità di riflettere continuamente, attraverso un intervento comunitario e condiviso, su quale sono i punti di forza e i punti di debolezza di ciascuna Comunità creando così le basi per un continuo confronto arricchente e perché no anche di un maggiore supporto reciproco, magari nei momenti di maggiore criticità. Così facendo sono sicura che le singole comunità non si sentiranno più nomadi, isolati, che pur svolgendo il proprio lavoro con serietà, professionalità e scrupolosità non riescono a raggiungere gli obbiettivi prefissati a causa magari delle dimensioni piccole e inadeguate delle strutture e ancor peggio a causa dei mezzi a loro disposizione generalmente molto scarsi per apportare migliorie la dove ce ne fosse la necessità per realizzare sempre più progetti finalizzati all’integrazione sociale , lavorativa dei loro assistiti.



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