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INTERVENTO DI MARIO MONTI SULLE DICHIARAZIONI DEL PRESIDENTE RENZI SUL CONSIGLIO EUROPEO DEL 18-19 DICEMBRE 2014, Senato della Repubblica, 16 dicembre 2014

Creato il 16 dicembre 2014 da Paolo Ferrario @PFerrario

INTERVENTO DI MARIO MONTI SULLE DICHIARAZIONI DEL PRESIDENTE RENZI
SUL CONSIGLIO EUROPEO DEL 18-19 DICEMBRE 2014

Senato della Repubblica, 16 dicembre 2014

Signor Presidente del Senato, signor Presidente del Consiglio e Presidente del Consiglio dell’Unione europea, signore e signori senatori,

ringrazio il presidente Susta, che mi ha offerto di prendere la parola nel tempo attribuito al Gruppo di Scelta Civica per l’Italia, benché – cercando di interpretare correttamente il ruolo di senatore a vita, dopo la parentesi governativa – abbia rinunciato a qualunque appartenenza di partito.
Desidero rallegrarmi con lei, signor Presidente del Consiglio, per due aspetti in particolare dell’azione che ha svolto in Europa, durante il periodo della Presidenza italiana. Il primo è il punto della politica estera: lei ha dimostrato di voler scommettere, anche con un notevole rischio, insistendo per la designazione di una personalità italiana ad Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e questa scommessa l’ha vinta. Credo come lei che la politica estera sia essenziale, anche per dare identità alla stessa Unione europea e mi è piaciuto il suo riferimento all’allargamento. Si tratta di un tema di cui oggi si parla poco, ma – diciamo la verità – è stato quello il filone più ricco di risultati della politica estera europea degli ultimi 15 anni.

Inoltre, ho apprezzato l’azione che ha svolto sulla crescita economica. Ricordo che la crescita economica è diventata un obiettivo primario dell’Unione europea con il Consiglio europeo del giugno 2012, in cui – su impulso del Governo italiano e in particolare con la riunione tenuta a Villa Madama pochi giorni prima del Consiglio europeo, con i capi di Governo di Germania, Francia e Spagna – si misero a punto sia il patto per la crescita, sia gli strumenti per la stabilizzazione dell’allora così inquieto mercato nell’ambito dell’eurozona.

Lei ha ripreso con forza il tema della crescita, su cui dirò una parola nei prossimi pochi minuti.

A proposito del 2012, signor Presidente, desidero sgombrare il campo da supposte differenti posizioni sul tema delle Olimpiadi.

Sono assolutamente convinto, signor Presidente, che, se si fosse trovato in quella posizione nel febbraio 2012, non avrebbe preso una decisione diversa da quella di allora, perché anche lei avrebbe avuto molto caro il disegno di una Italia olimpica, ma al tempo stesso sarebbe stato terribilmente preoccupato dall’idea di mettere a repentaglio, con la sua firma su una garanzia in bianco, la situazione finanziaria precaria degli italiani per i prossimi anni, in un momento in cui eravamo in estrema difficoltà.

Sono lieto che, con l’attività del Governo di allora e di quello successivo, si siano creati uno spazio e degli strumenti perché lei, oggi, abbia potuto prendere la decisione che ha assunto, nella quale non entro nel merito. Lo spazio c’è, perché la finanza pubblica italiana non è nelle condizioni di allora. E ricordo che siamo il primo Paese del Sud ad essere uscito – come lei sa – dalla procedura di disavanzo eccessivo. E poi anche gli strumenti e ciò che è stato fatto con il pacchetto, a fine 2012, in materia di anticorruzione, che il suo Governo sta sviluppando, dovrebbero mettere abbastanza al riparo da certi rischi.

Lei ha molto sottolineato il tema del piano Juncker, che anche a me sembra centrale. Vorrei contribuire all’azione del Governo italiano con una riflessione sugli investimenti pubblici, tema da lei più volte evocato.

Come le è noto, dal momento in cui il patto di stabilità è stato confezionato, nel 1996, sostengo la necessità di dare uno spazio distinto e più favorevole agli investimenti pubblici. Una prima affermazione ufficiale recepita dall’Unione europea c’è stata soltanto nel 2012-2013 quando, dopo alcune battaglie nel Consiglio europeo, la Commissione e gli altri Paesi hanno accettato che, per i Paesi non sottoposti alla procedura di disavanzo eccessivo, ci potesse essere uno sguardo particolarmente favorevole agli investimenti pubblici. Su quella linea, oggi arriviamo al piano Juncker. Vorrei darle a questo riguardo, se mi consente, due suggerimenti e un ammonimento, certamente superfluo.
In merito al primo suggerimento, è possibile prendere il piano Juncker e dire che ha delle lacune quantitative al suo interno, come è stato sostenuto più volte da Lei stesso e dai suoi Ministri. In ogni caso, sarebbe incoerente – nel momento in cui nasce il piano Juncker ma c’è anche una grande esigenza di sussidiarietà, molto avvertita attraverso l’Europa – dare un trattamento privilegiato solo a quegli investimenti che passano attraverso la centralizzazione, che speriamo non sia troppo burocratica. Sarebbe molto più coerente non dare l’esenzione dal Patto di stabilità soltanto ai contributi nazionali dati al fondo Juncker, che tra l’altro potrebbero non riversarsi minimamente in maggiore crescita economica del Paese che li eroga, ma anche agli investimenti pubblici nazionali, pur se sottoposti a definizioni e criteri rigorosi.

L’ammonimento, credo superfluo, è che ogni voce sugli investimenti pubblici che venga dal Governo italiano è accolta con qualche reticenza, dato che i nostri Governi non sono proprio stati molto capaci di mettere sempre a frutto i fondi provenienti dall’Unione europea, anche se in questi anni sono stati compiuti progressi. Certamente è anche cruciale, per la credibilità dell’ulteriore battaglia italiana sugli investimenti pubblici, che la legge di stabilità non abbia scivolamenti dell’ultimo momento. Credo sarebbe davvero pericoloso, per l’intero Paese e per la sua azione in Europa, se – come qualche volta si legge, spero solo per un eccesso di allarme – ci potessimo trovare di nuovo in una situazione a rischio di troika. Quello sarebbe il fallimento di tre anni di sacrifici degli italiani. Speriamo non accada.

Concludo con un’osservazione: spesso in quest’Aula, nell’altra Aula parlamentare e nell’opinione pubblica si ha l’impressione, qualche volta anche un po’ alimentata da dichiarazioni governative, che, se l’Italia riesce a spuntare l’autorizzazione ad un disavanzo maggiore oppure, anche senza autorizzazione, in modo molto maschio si fa spazio e supera i limiti, quella sarebbe una vittoria sull’Europa e una vittoria sulle tecnocrazie. No, per due ragioni: l’Italia si indebolirebbe maggiormente nella sua capacità contrattuale ; e poi recheremmo un vulnus non all’Europa, ma ai nostri figli e ai nostri nipoti. Infatti questi sono nella situazione terribile in cui sono perché l’Europa, con la sua disciplina finanziaria nata con l’accordo di tutti gli Stati, è arrivata troppo tardi ; non perché sia arrivata troppa Europa.

Un’ultima considerazione: nelle sue dichiarazioni sull’Europa, signor Presidente del Consiglio, lei coniuga – con la sapienza che le conosciamo, anche sul piano didattico e oratorio – politica, regole e tecnocrazia. Ora – premesso che la tecnica, utile nel proprio ambito, diventa a mio parere tecnocrazia solo quando la politica prende paura, molta paura, chiede essa stessa di poter fare un passo indietro e chiede ad altri, comunque designati, di fare un passo avanti – è indubbio che in Europa occorre più politica, più politica seria, una politica che, con la forza e con la capacità di convincere, porti a regole migliori. Ma attenzione, signor Presidente del Consiglio, a non svilire le regole e a non assimilarle a tic nervosi di burocrati, perché, in una comunità come quella europea, senza regole e senza istituzioni terze capaci di farle rispettare (la Commissione, la Corte di giustizia), è il più forte che prevale. Allora sarebbe un tragico errore per l’Italia – la quale ritiene, non ingiustamente, che le regole attuali siano state troppo influenzate dal potere tedesco – far perdere credibilità al sistema delle regole e della sua osservanza. Questo sarebbe un regalo alla peggiore Germania, non alla Germania che vuole essere una responsabile forza in Europa, ma ad una Germania che potrebbe tornare a dilagare. Questo sarebbe il più grave errore strategico che l’Italia potrebbe compiere.

Desidero infine rendere omaggio in questa giornata, di fronte a lei, nella nostra Aula, ad una personalità che, per la credibilità e la tenuta del nostro Paese in Europa, grazie al grande credito che si è guadagnato negli anni, ha saputo esercitare un’azione discreta ma fondamentale, specialmente nelle fasi più difficili per il rapporto tra il nostro Paese e l’Europa : il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.


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