Intervista a Emanuela Mascherini

Creato il 09 giugno 2012 da Sulromanzo

In occasione del Circolo Letterario Fiorentino di marzo, Emanuela Mascherini presenta il suo nuovo libro Non ci casco più! (Ed. Kowalski-Feltrinelli). Qualche tempo dopo le chiedo di rilasciare un’intervista per Sul Romanzo, e lei, molto disponibile, si presta.

Dopo il saggio Glass ceiling. Oltre il soffitto di vetro e il successo della bio-novel Memorie del cuscino, come sei arrivata a scrivere questa sorta di manuale sul “mal d’amore”, Non ci casco più!?

Ci sono arrivata grazie a Benedetta Abbondanza, la protagonista di Memorie del cuscino, affetta da “enorme” dipendenza affettiva. Le e-mail dei lettori che condividevano le loro storie provando empatia per la situazione di Benedetta e mi chiedevano consigli sulle loro situazioni, mi hanno spronata a portare fino in fondo una ricerca sulle dipendenze affettive e sul mal d’amore iniziata inconsapevolmente con il primo romanzo. L’idea è piaciuta alla casa editrice (Kowalski-Feltrinelli), che mi ha “commissionato” di trattare l’argomento con la stessa voce narrante pungente e ironica di Benedetta. Il lavoro di ricerca è durato circa un anno e mezzo tra interviste, studio dei manuali a riguardo e consulenze in materia (uno psicanalista, Luciano Bartolini, e una sessuologa, Elena Lenzi).

Credi che Non ci casco più! sia un libro adatto anche a un pubblico maschile?

I lettori mi dicono di sì e anche gli psicanalisti. Come direbbero i latini: “Mutatis mutandis”. Insomma, basta che traducano tutto come si faceva alle elementari; se lo facevo io per loro, veniva fuori un compendio più vasto della Divina commedia. Certo, come dico sempre ai lettori che mi scrivono, magari il paragrafo sul “trucco e parrucco” possono evitare di tradurlo, non credo proprio che (salvo lecite eccezioni) li riguardi da vicino.

Anche se tratti il tema in maniera umoristica, perfettamente in linea col tuo frizzante stile di scrittura, affronti un problema piuttosto serio: la dipendenza affettiva nei rapporti interpersonali. Oltre all’esperienza individuale, ti sei servita anche di una bibliografia specifica sull’argomento? D’altra parte, nel sottotitolo viene ripreso Donne che amano troppo di Robin Norwood, un volume di riferimento per la materia che hai scelto di trattare. Ecco, immagino che questo testo ti abbia fornito degli spunti importanti per la scrittura del tuo libro Non ci casco più!.

Ti dico solo che se avessi dovuto scrivere una tesi di laurea in proposito, avrei studiato meno e letto una minor quantità di compendi in materia! Partendo appunto dal testo di Robin Norwood Donne che amano troppo, passando per i suoi successivi Lettere di donne che amano troppo e Guarire con i perché (che ha preso una piega eccessivamente mistica), per poi passare in rassegna una quantità infinita di manuali di self help umoristici sull’argomento, da Inutile piangere sul cuore spezzato di Greg Behrendt e Amiira Ruotola-Behrendt a Se lo conosci lo eviti di Sandra Brown, passando per Ho sposato un narciso di Umberta Telfner e una pila lunghissima di altri manuali, manualetti, manualoni, alcuni utili, altri un po’ meno. Per non parlare di autori di narrativa come Erica Jong e molti altri dei quali ho analizzato le immagini che creavano e che erano legate alle loro dipendenze affettive più o meno esplicite.

Credo sia molto importante sapere cosa c’è stato prima di quello che andiamo a scrivere per poter confrontare il proprio punto di vista e portare avanti la ricerca (qualunque essa sia) in maniera consapevole. Ma l’esperienza più importante rimangono comunque le persone incontrate, intervistate, esperite che ti permettono come autore di specchiare una parte di te stesso e di restituire con la tua scrittura qualcosa che non riguarda più assolutamente solo te, ma un tessuto sociale e storico tutto intero. Sono fermamente convinta che le vicende che riguardano solo me interesserebbero poco persino a mia mamma.

Nel mondo moderno le relazioni devono avere a che fare anche con la tecnologia, ormai. Secondo te, gli smartphone, i vari social network e tutto il resto hanno contribuito a mettere ulteriormente in crisi molte storie sentimentali, amplificando la dipendenza?

Più che mettere in crisi le storie sentimentali, hanno complicato la nostra comunicazione in una “iperreperibilità”, che in realtà è solo fittizia e che non fa altro che distorcere la comunicazione del “noi” che rimandiamo e lo spessore delle nostre relazioni. Sembra molto facile essere in contatto con persone dall’altra parte dell’oceano, ma siamo in realtà sempre più lontani e bisognosi di contatti reali, fisici, vis à vis che solo l’esperienza dell’incontro ci può restituire, e che purtroppo diventa sempre più rara e fugace.

Che libro ti piacerebbe scrivere in futuro? Pensi di riprendere le disavventure di Benedetta Abbondanza, la buffa protagonista di Memorie del cuscino?

Lo saprò solo dopo averlo scritto. Come sai, amo parlare solo di ciò che ho fatto. Per il momento, Benedetta vi saluta tanto e vi ringrazia per l’affetto dimostrato!

Tu sei anche attrice: ami la recitazione e la scrittura allo stesso modo?

Per me sono due percorsi imprescindibili, il che non vuol dire che non recito se non pubblico o non pubblico se non starò più in scena o davanti a una macchina da presa, ma che un percorso è per me  nutrimento per l’altro in maniera essenziale.

Per concludere, dato che sei un’autrice affermata, che consiglio daresti a un emergente che cerca di contraddistinguersi nel mercato editoriale?

Di leggere molto, perché soprattutto attraverso la lettura riusciamo a capire che tipo di letteratura e linguaggio ci rappresenta di più e ci appartiene. Di leggere anche testi che riteniamo scritti male per capire cosa non funziona e non cadere negli stessi errori. Ma, soprattutto, di lavorare sulla propria identità nella vita e poi sulla carta. Questa credo che sia la ricerca di ogni essere umano e il percorso di una vita intera. Ogni esperienza contribuisce a trovare un pezzettino del puzzle, ma quello che esprimiamo è frutto di quello che siamo, quindi consiglierei di lavorare soprattutto su questo. E infine di avere consapevolezza di cosa è “il mercato editoriale”, se non altro di chiedersi cosa sia. Ci sono mille motivi per cui le persone scrivono ma se una persona è intenzionata a pubblicare è in dovere di conoscere “chi” pubblica “cosa” e “perché”, o almeno di farsene un’idea. Conosco autori bravissimi che lamentano di non pubblicare ma che scrivono cose che io stessa non saprei a chi indirizzare perché non troverebbero una collocazione sul mercato. E questo va benissimo se l’autore è consapevole di fare un prodotto elitario e “di nicchia”, ma non va altrettanto bene se è convinto che il prodotto potrebbe andar bene per una distribuzione nazionale.

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