Intervista a Ermanno Ferretti

Creato il 13 dicembre 2011 da Queenseptienna @queenseptienna

Dopo la recensione di Livin Derevel a libro “Per chi suona la campanella” di Ermanno Ferretti, edito da Fazi Editore, oggi facciamo quattro chiacchiere con l’autore, che ha accettato di rispondere alle nostre domande:

> 1. Chi è Ermanno Ferretti?
Un insegnante precario di storia e filosofia di 32 anni, un padre di famiglia, un appassionato di web, incidentalmente e da poco pure uno scrittore.

Sono nato e cresciuto a Rovigo, nella parte più meridionale del nord-est, e insegno ogni anno in un diverso liceo della sua nebbiosa provincia.

Su Twitter, dove scrivo cose di scuola, famiglia e altro, sono noto anche come “scrip”.

> 2. Questa è la sua prima opera o ha altre pubblicazioni alle spalle?

Diciamo che si tratta della prima opera “ufficiale”. “Per chi suona la campanella”, infatti, nasce da un libretto autoprodotto che era girato, nei mesi scorsi, nell’ambiente di Twitter, ma che poi è stato rivisto da capo a piedi (con aggiunte, cambiamenti, riorganizzazione del testo) per entrare in libreria.

> 3. Com’è venuta l’idea di scrivere adottando i Tweet, ovvero soli 140 caratteri?

È stata una cosa abbastanza spontanea. Come ho detto, il libro è nato su Twitter, nel senso che nel corso degli anni, spontaneamente e senza nessuna idea – almeno all’inizio – delle possibilità letterarie della cosa, mi sono messo a “twittare” di scuola e di altri argomenti che mi accadevano nella vita e che mi facevano ridere e/o pensare.

Col passare del tempo e con l’esperienza acquisita la qualità di questi tweet è migliorata, tanto che vari follower hanno iniziato a chiedermi di raccoglierli in un libro: in questo modo è nato “Avere un’adolescenza da sfigati è l’unico modo per diventare intelligenti”, quel libro autoprodotto di cui parlavo prima e che ha fornito la base per “Per chi suona la campanella”.

I 140 caratteri, quindi, sono in un certo senso stati una richiesta del pubblico, ma c’è anche da dire che non credo che un libro del genere avrebbe avuto senso se scritto in altra maniera; io lo vedo come una serie di sketch, una specie di raccolta di strisce a fumetti presentate però in prosa: l’intento è sempre quello di far divertire e riflettere, giocandosi tutto o quasi sulla sintesi e sulla capacità di scegliere la parola giusta al momento giusto.

> 4. Si aspettava che questa mini-raccolta finisse in un libro vero e proprio, che tutti i suoi studenti, colleghi e amici potessero leggere?

Come credo ogni autore, quando si scrive qualcosa si vive una situazione ambivalente: da un lato si pensa di aver fatto qualcosa di buono e si è quindi orgogliosi e pronti a sfidare il mondo, dall’altro si teme che il proprio giudizio non sia poi così valido e si ha quindi paura del confronto col pubblico (e, prima ancora, con gli editori a cui la cosa si propone).

Io ho provato a spedire il materiale in giro, pensando onestamente che difficilmente sarebbe emerso in mezzo alla marea di manoscritti che gli editori e gli agenti ricevono ogni giorno; invece il libro è stato notato e questo mi ha catapultato, senza averci ben pensato prima, nel mondo dell’editoria.

Con i miei studenti ero sempre stato molto riservato: scrivevo su Twitter ma, almeno per lungo tempo, ho fatto di tutto per evitare che loro leggessero quello che scrivevo, non accettando la loro amicizia sui social network e “lucchettando” i vari profili. Poi, dopo la firma del contratto con Fazi, ho lasciato perdere, perché la possibilità di rimanere “in incognito” era definitivamente tramontata; e devo dire che tutto sommato non è accaduto nulla di drammatico: studenti e colleghi sanno che scrivo e vanno a curiosare nelle pagine del libro o sulla mia pagina di Twitter, cercando magari dei passaggi in cui si parla di loro, ma io faccio finta di niente e tiro avanti dritto.

D’altronde, l’ironia del libro è sempre tutto sommato garbata, quindi è difficile che qualcuno possa ritenersi offeso da quello che vi è scritto (Gelmini a parte).

> 5. I protagonisti più o meno dichiarati si sono divertiti a rileggersi tra le sue pagine?

Sì, parecchio. In queste prime due settimane è stato un fiorire di ex studenti che ritrovavano un tweet nato in classe durante la lezione e facevano a gara a chi compariva di più.

Coi colleghi è accaduto meno, perché raramente parlo di loro, però mi ha pure scritto il bidello che compare tre o quattro volte nelle pagine del libro, prendendo le battute devo dire con molta sportività.

> 6. Pensa che ora, col nuovo governo, le cose nelle scuole potranno finalmente cambiare sul serio?

Onestamente non credo.

Il nuovo governo si occuperà penso principalmente di questioni economiche e, per quanto riguarda la scuola, continuerà la linea impostata negli ultimi anni, anche se credo con meno fondamentalismo e, spero, cercando di non rendere ancora più tesa la già difficile situazione.

> 7. Le piacerebbe scrivere un altro libro dello stesso stampo di Per chi suona la campanella, o ha preferito fermarsi, prendendolo semplicemente come un gioco?

Mi piacerebbe, è ovvio. Di per sé il seguito è già praticamente pronto, perché come dicevo su Twitter parlo non solo di scuola ma di molti altre cose, la mia famiglia in primis.

Se il libro dovesse andare bene, insomma, spero di poter dare alle stampe un secondo libro impostato sui 140 caratteri, cambiandone però il tema; troppi libri sulla scuola rischiano di diventare stucchevoli. E poi, più avanti, chissà: penso comunque che l’impostazione “a tweet” possa andare bene per qualche libro (un paio, forse tre), ma che difficilmente possa durare all’infinito; e d’altro canto a me piace cambiare, devo in primo luogo sperimentare e divertirmi io.

> 8. Pensa che questo libro le porterà fortuna?

Dipende da cosa intendiamo per “fortuna”. Di fortuna economica non penso molta, visto che coi libri – a parte casi rarissimi ed eclatanti – non si guadagna poi granché; spero però che possa andare bene perché quella è la condicio sine qua non per poter pubblicare altre cose in futuro.

Per ora le cose stanno andando molto bene, ma la strada è ancora lunga.

> 9. Le piacerebbe se uno dei suoi figli studiasse filosofia, e si innamorasse (metaforicamente) di Hegel?

Non ci avevo ancora mai pensato. In realtà nemmeno io ho studiato filosofia, nonostante nel libro la materia la faccia da padrona: dopo il liceo scientifico, infatti, mi sono laureato in storia contemporanea a Bologna, sostenendo ovviamente anche esami di filosofia ma dando ai miei studi un’impronta decisamente più pragmatica e concreta. La filosofia mi è sempre piaciuta parecchio, però quando studiavo le ho quasi sempre preferito la storia perché appunto riesce a stare coi piedi per terra, studia gli uomini comemconcretamente hanno vissuto e non si perde all’infinito in beghemmetafisiche.

Detto questo, la storia è più interessante da studiare mamla filosofia è più interessante da insegnare, perché ti permette di
mettere costantemente in crisi le idee dei ragazzi e in questo modo farli crescere.

Quindi se i miei figli studiassero filosofia all’università li guarderei un po’ storto, sfornerei le classiche frasi di circostanza («E dopo che lavoro vuoi fare? Ma lo sai che con la filosofia non si campa? Una bella ingegneria o medicina no?») ma poi credo che li lascerei fare: sono sempre stato convinto che, se uno è in gamba, non abbia da porsi troppi problemi sul mercato del lavoro.

Ah, e se si innamorassero di Hegel (cosa che, vivendo sotto il mio stesso tetto, ritengo improbabile) ovviamente li caccerei di casa.

> 10. Ha nuovi progetti letterari per il futuro?

Niente di già stabilito, però come ho già detto in caso di buone vendite un altro libro strutturato sui tweet sarebbe d’obbligo. Al di là di questo, m’interessano tutte le forme letterarie che abbiano qualcosa di nuovo o di diverso dal classico romanzo monolitico: commedie, romanzi sperimentali, romanzi epistolari, racconti, poesie… Le idee sono fin troppe, a volerle seguire tutte.

> 11. Grazie per aver parlato con noi

Grazie a voi.


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