Questa volta, però, tutto ok, perché le domande le faccio io. In occasione dell'uscita de Le stanze buie, primo libro di Francesca Diotallevi, lei si è infatti prestata a un mio piccolo interrogator—ahem! volevo dire, a una mia piccola intervista.
Inizialmente, per porre le domande, avevo indossato la tonaca da domenicano e preso il mazzafrusto, poi mi sono accorta che la sedia chiodata non era bene oliata. Damn it, io sono una professionista, e certe cose non le tollero! Ho quindi ripiegato su un trattamento diverso.
Quello che segue è il fedele resoconto di come è andata.
Immaginatevi una stanza con pareti grigie, senza finestre. Un ventilatore a soffitto si muove lentamente. Nel mezzo della stanza c'è un tavolo con sopra una lampada accecante, e seduta su una sedia di ferro, con le mani in grembo e sul viso un'espressione ostinata, Francesca. Non dirò nulla, mi promettono i suoi occhi. Ma io ho i miei metodi per farla parlare.
In piedi davanti a lei, con il cappello Borsalino calato sulle ventitré e la sigaretta senza filtro che mi pende a lato della bocca, faccio un ghigno e allungo la mano verso la lampada, dirigendo la luce verso i suoi occhi.
«Questo trattamento è inaccettabile!» protesta Francesca portando il braccio davanti al volto per proteggersi dalla luce. «Se avessi saputo cosa intendevi quando mi hai detto: "solo un paio di domande"...»
«Risparmia il fiato per vuotare il sacco» la interrompo io, e la sigaretta ondeggia su e giù mentre parlo. «E per la cronaca, non è affatto un trattamento inaccettabile. La lampadina è a risparmio energetico.»
Nina: E adesso parla! Chi è Francesca Diotallevi? Cosa sai di lei?Francesca: Accidenti, mi sento come il gangster di un film anni 40! Essere oggetto di interrogatorio (per quanto eseguito con lampadine a basso consumo) è una cosa nuova per me, inoltre non è mai semplice parlare di se stessi… proverò a essere concisa. Ho vissuto con i libri da quando ho memoria per ricordare, sono la costante della mia vita e, oltretutto, i miei genitori si sono conosciuti in una libreria: predestinata? Ho troppe storie in testa e vado in giro con l’aria da svampita, cosa che, in una città come Roma, mi fa rischiare la vita ogni volta che attraverso una strada. Ho sempre un libro nella borsa e una volta sono stata in grado di sbagliare per ben quattro volte di fila la fermata della metropolitana, perché non riuscivo a staccare gli occhi dalla pagina nel momento in cui avrei dovuto scendere. Mi sto ancora chiedendo come diavolo ho fatto. Ho lavorato in una biblioteca, e questo, temo, mi ha rovinata definitivamente. Vivo con il mio futuro marito in un appartamento con un grande terrazzo e un piccolo, delizioso, studiolo.
È andata più o meno così
Di cosa parla il tuo libro? Non mentire o ti sbatto in isolamento!Devo dire che i tuoi metodi sono piuttosto convincenti! ... il mio libro parla di una casa dalle stanze buie e di un uomo che deve fare i conti con i fantasmi del suo passato. Un passato doloroso e mai esorcizzato, che si intreccia con segreti inconfessabili e un’antica, terribile colpa. Una storia di riscatto, dunque. Ma anche, e soprattutto, una storia d’amore...La Torino del 1864. Bei tempi, quelli. C'era più rispetto per gli anziani e per gli ispettori di polizia burberi. Perché hai scelto proprio quel luogo e quel tempo?Per un motivo ben preciso: Torino, in quegli anni, era la capitale di un’Italia appena nata. La città più in vista, la più viva, dove si concentrava il fermento politico e sociale. La più difficile da lasciare, dunque, per un uomo che aveva fatto del lavoro, della carriera, l’unico scopo della sua vita. Ma non solo. Torino, così snob e rigida nell’etichetta, riflette il protagonista. Le Langhe, invece, sono l’ignoto, il mondo contro lui si scontra. Un mondo che non conosce e non comprende e che stravolgerà la sua razionalità, portandolo a mettere in discussione ogni cosa.
Cosa si prova nello scrivere, e nel pubblicare, il primo libro?E’ una sensazione euforizzante, unica. Sapere che qualcuno crede nel tuo lavoro e ha deciso di investirci ti fa camminare a un metro da terra! La fase di scrittura non è stata semplice, all’inizio, perché per la prima volta mi sono trovata ad affrontare un soggetto completamente mio (vengo dal mondo delle fan fiction) e una trama che andava oltre il semplice racconto. Credo che tanti scrittori alle prime armi si siano sentiti così, come giocolieri inesperti e terrorizzati: se ti cade una pallina è la fine! Il segreto, però, è crederci. Io ho mollato tante storie dopo le prime pagine, perché non ci credevo abbastanza, non le sentivo nella pancia. Con questa è stato diverso, non ho mai allentato la presa. Non che sia stata una passeggiata: raramente le cose vengono bene al primo colpo. Perciò ho riscritto, tanto. Quando ho finito ho praticamente ricominciato da capo. Ho tagliato e ricucito. Ho ascoltato pareri e fatto tesoro dei consigli ricevuti. Ho aspettato mesi prima di rileggere e, di nuovo, rivedere tutto, cercando di essere il più obbiettiva possibile. Non sono mai stata indulgente con me stessa. E quando la casa editrice ha risposto, ho pianto di incredulità. Perché credevo nella storia, ma non in me stessa. Questo per dire che, insomma, scrivere non è un gioco facile, ma è un gioco bellissimo.
Quando si commette un reato, di solito si hanno dei complici. Quali sono i tuoi? Ci sono scrittori che ti hanno spinto a prendere la penna in mano, o film che ti hanno colpito al punto di dire "voglio dare anche io certe emozioni", o frammenti di vita vissuta che ti hanno fatto diventare scrittrice?Assolutamente sì, sono circondata di complici! Il Grande Colpevole è certamente Stephen King: mi ha reso una lettrice seriale ed è da lui che ho imparato l’amore per i dettagli, per le storie che si vedono, si sentono e si toccano. Adoro la scrittura sensoriale, coinvolgente, ricca di particolari. Poi ci sono le sorelle Brönte, Henry James, Rebecca West, Kazuo Ishiguro, Sarah Waters, Tracy Chevalier, tutti scrittori che mi hanno ispirato e spinto a migliorare: nel momento stesso in cui leggevo i loro libri volevo essere loro, volevo avere la loro testa e le loro mani. Ultimamente mi sono imbattuta in Anya Seton e nel suo Verde oscurità. Una rivelazione! Adesso voglio scrivere come la Seton...
Come scrivi, Francesca? Di notte, di giorno? Buttando giù una sinossi scarna o prevedendo ogni scena?Non ho orari, scrivo quando mi capita, quando ho abbastanza tempo per buttare giù almeno qualche riga. “Le stanze buie”, però, l’ho scritto principalmente in tarda serata, quando rientravo dal lavoro. E’ stato la mia valvola di sfogo. Per quanto riguarda la trama, non faccio scalette e non pianifico nulla. Partire organizzata non è nel mio stile! Sono fermamente convinta che l’importante non sia avere le idee chiare, il quadro completo, ma iniziare a scrivere, semplicemente. Basta un’intuizione, una sensazione. Quando ho iniziato “Le stanze buie” non sapevo nulla della storia, sapevo solo che sarebbe stata la storia di un maggiordomo impeccabile e intransigente. Sono partita dal protagonista, dunque, e piano piano gli ho costruito attorno un mondo. Gli ho cucito addosso la vicenda come un vestito su misura.
È una cosa che adoro percorrere le stesse strade che immagino percorrano i miei personaggi, cercare di entrare nella loro testa e guardare con i loro occhi.
E adesso, dicci come recuperare il bottino. Dacci link, scorciatoie di blog e mappe informatiche per raggiungere il tuo libro.Il libro è solo in formato cartaceo e si può prenotare in tutte le librerie, mentre dovrebbe essere presente in quelle grosse le Feltrinelli. Sul web è possibile acquistarlo su svariate librerie online (e con un bello sconto!), tra cui: IBS, Amazon, Libreria Universitaria, Mondadori. Oppure direttamente sul sito della Mursia. Per chi volesse seguire le news sul libro, invece, c’è la mia pagina Facebook.
L'interrogatorio è finito. Puoi andare, ragazza, ma ti tengo d'occhio, sappilo. E in effetti, potremmo rifarlo, prima o poi. È stato divertente, no?È stato divertente, sì. E, dal tuo ghigno, immagino lo sia stato molto anche per te!
Ti ringrazio per questa ‘chiacchierata’ Nina, e spero, un giorno, di poter ricambiare l’interrogator…ahem! La cortesia.