Franco La Torre è nato a Palermo nel 1956 e risiede a Roma. E' esperto in cooperazione internazionale allo sviluppo. Tra il 1991 e il 1992 ha coordinato da Gerusalemme le ong del Cocis. Dal 1995 al 2008 è stato responsabile delle attività europee e mediterranee di Ecomed, l'Agenzia per lo sviluppo sostenibile nel Mediterraneo di Roma. Ha ricoperto l'incarico di organizzare e coordinare i progetti di Roma per la pace a Gerusalemme, iniziativa del Comune di Roma per il rilancio del processo di pace in Medio Oriente. Lavora attualmente presso l'Ufficio relazioni internazionali del gabinetto del sindaco di Roma, come responsabile per il Mediterraneo e il Medio Oriente e per le attività inerenti agli obbiettivi di sviluppo del millennio. Dal 2009 è nell'area Progetti internazionali di Risorse per Roma spa.
Il libro
Qual è l'odore dei falafel? C'è veramente la guerra a Gerusalemme? Avete presente come sia facile perdersi nella Città Vecchia? Vi è mai capitato di fare la fila a un check-point? Come possono vivere insieme israeliani e palestinesi? Cosa hanno in comune? Quali sono le ragioni di un conflitto che sembra non avere mai fine? Queste sono solo alcune delle questioni che si pone questo libro. Franco La Torre ci racconta la sua esperienza all'interno del conflitto più lungo di questi ultimi due secoli, con la lucidità di chi vuole liberarsi da quel nemico insidioso che si chiama preconcetto, nemico capace di rendere lucido il fango e invisibile la realtà. Frammenti di sguardi e di ascolti per capire, per spingersi oltre le barriere dei preconcetti, per strappare il velo dell'ovvietà di conclusioni, fatta a colpi di "copia e incolla"!
L'intervista
1. Per vent’anni, passando da una esperienza all’altra, ha vissuto in prima persona il problema della cooperazione internazionale riguardo al conflitto arabo-israeliano. Cosa l’ha spinta, adesso, a fermarsi a raccogliere i ricordi e la memoria di queste esperienze?Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 stavo lavorando su un progetto di Roma per la Pace a Gerusalemme, l’iniziativa a sostegno del dialogo tra israeliani e palestinesi del Comune di Roma. Si trattava di realizzare una casa editrice su internet, un’idea condivisa da giovani scrittori di quella martoriata parte del mondo, aperta a scrittori italiani e del Mediterraneo. Un’impresa che, nonostante i costi ridotti dalla sua natura “virtuale”, necessitava comunque di decine di migliaia di euro. Il nostro budget era molto limitato ma contavamo sulla capacità del marchio “Roma” per mobilitare risorse sufficiente. Era già successo: quando abbiamo realizzato Pace of Peace, il cartone animato ideato da studenti israeliani e palestinesi, con il contributo gratuito dei migliori studi italiani , delle cantanti Noa e Rim Banna e di tanti altri e, grazie a RAI 3, che lo acquistò, persino il documentario che ne racconta la storia. Cominciai, quindi, insieme a Gianmaria Turi che, dall’Istituto di Cultura di Haifa, ne aveva seguito la nascita, ad incontrare case editrici, per cercare di convincerle ad investire sull’iniziativa. Per farla breve, non riuscii nell‘intento. Enrica D’Augè, direttrice editoriale di Iacobelli, che si era dimostrata molto interessata, alla fine, fatti i conti, mi disse che non se la sentivano, che era un’impresa al di sopra delle loro possibilità. Al termine di quell’incontro, prima di salutarci con una certa mestizia, mi chiese se avevo mai scritto qualcosa sulla mia esperienza: Risposi di no e allora mi domandò se mi fosse piaciuto farlo. Le dissi che non ci avevo mai pensato, lei mi propose di farlo e io accettai.
2. In particolare, tra le varie forme possibili, perché ha scelto proprio quella di un libro? Che rapporti ha con la scrittura? Non ho mai pensato di avere doti particolari, da studente non ero forte nei temi d’italiano. Mi piace molto leggere e il lavoro mi ha portato ad affinare le mie capacità di scrittura. Non nascondo che ogni tanto ho pensato di poter scrivere un libro, non credo di essere il solo ma non sono andato oltre alle sollecitazioni scaturite da pensieri notturni. Cimentandomi per la prima volta, ho scoperto che la scrittura è un esercizio fantastico. Ho ritrovato ricordi che pensavo di non avere, immagini che avevo dimenticate. Un processo affascinante e imprevedibile.
3. Il suo libro risulta un riuscito collage di reportage giornalistici, memorie personali e anche parti narrative. Si tratta di una scelta pensata sin dall’inizio, o magari i ricordi personali hanno cominciato a mescolarsi spontaneamente ai passaggi più giornalistici? Credo per la consapevolezza dei miei limiti, mi è venuto quasi spontaneo ricorrere alla scrittura e alle parole di altri, anche perché meglio di me descrivevano quello che volevo raccontare e che mi avevano aiutato a comprendere. Mi sentivo in debito e ho voluto, in qualche modo, ricompensare chi mi aveva aiutato.
5. Qual è la cosa più importante che ha imparato in Israele e Palestina?Evitare i pregiudizi e gli schematismi, cercare di comprendere le ragioni vere del conflitto e che i due popoli vogliono la pace.
6. Gerusalemme è la geografia della paura: così è scritto tra le prime pagine. Un’espressione netta: cosa l’ha portata in particolare a questa conclusione?Una città definita santa dovrebbe emanare un generale senso di quiete, di equilibrio, di comprensione, di gioia. Gerusalemme ha dentro di sé tutto ciò ma non può esprimerlo, dilaniata da un conflitto, che produce intolleranza, contrasto, contrapposizione e terrore. Prima finirà il conflitto e prima si libererà la sua vera energia.
7. In un altro passo, viene detto che il problema del conflitto tra israeliani e palestinesi è essenzialmente emotivo. La storia ci insegna che gran parte dei conflitti hanno ragioni economiche, e con essi ci ha tramandato anche le possibili soluzioni. Quale può essere, allora, la soluzione per un conflitto così emotivo?La componente emotiva è messa in risalto da David Grossman e si somma alle cause diciamo tradizionali, quelle economiche e strategiche, rendendo evidente la complessità di un conflitto, la cui risoluzione risiederà nella capacità delle parti di fare in conti con se stessi, oltre che con gli altri. Ognuno è, ormai, consapevole che dovrà rinunciare a qualcosa e il farlo richiederà, allo stesso tempo, amor proprio, per superare la rinuncia e generoso altruismo nel contribuire alla soddisfazione dell’altro.
8.
David Grossman e Edward Said sono gli scrittori più citati nel suo libro. Da quali altre personalità sente di esser stato influenzato?Sono stato influenzato e, per così dire, guidato da coloro che non hanno mai cessato di credere che alla fine avrebbero prevalso la ragione e la giustizia. Ho cercato di raccontare di loro nel mio libro e spero di averlo fatto degnamente.9. Il suo libro è scritto e pensato per un lettore italiano. Pensa possa esser letto anche da un israeliano e un palestinese? Come reagirebbero?Ho cercato di offrire al lettore una visione del conflitto, che comprendesse il punto di vista di coloro che si battono perché abbia fine, raccontando quello che pensano e che fanno tanti israeliani e palestinesi, insieme a coloro che li sostengono. Racconto la mia esperienza di italiano ma non ho pensato di scrivere per un lettore italiano. Israeliani e palestinesi conoscono bene ciò di cui ho scritto ma, sinceramente, non riesco a immaginare come reagirebbero. Quelli che conosco o mi farebbero le pulci, o mi prenderebbero in giro, o tutte e due.
10. Parliamo del presente: di cosa si occupa, adesso?Continuo ad interessarmi del conflitto israelo-palestinese ma non a tempo pieno. Il mio lavoro, attualmente, mi porta ad occuparmi di sviluppo urbano sostenibile.
11. E nel futuro? Tornerà a Gerusalemme?Nel futuro non escludo di tornare a Gerusalemme, da dove manco da un po’ di tempo, non solo come visitatore.
Grazie a Franco La Torre, e buon lavoro!
Intervista di Tancredi