Intervista a Giuseppe Catozzella - redattore Mondadori

Creato il 13 maggio 2010 da Sulromanzo

Di Morgan Palmas
Intervista a Giuseppe Catozzella
Buongiorno, vorrei anzitutto chiederle qual è stato il percorso professionale che l’ha portata a divenire redattore in una casa editrice.
Mi sono laureato in Filosofia, poi ho conseguito un master in Comunicazione tra Oriente e Occidente, ma non credo che il percorso formativo – a parte la generica matrice umanistica – abbia influito molto. Più di tutto, alla fine del mio percorso di studi – avevo 25 anni, terminato il servizio civile e il master – desideravo lavorare all’interno di una casa editrice, nella sezione editoriale. Ho inviato curricula a tutti gli editori d’Italia, e l’unico che mi ha risposto – con mia grande sorpresa – è stato Mondadori. Cercavano uno stagista per l’ufficio del marketing operativo, nella sezione dell’editoria scolastica. Ho fatto lo stage di 6 mesi e, alla fine, in quell’ufficio, mi hanno proposto un contratto di lavoro. Ho rifiutato – con enorme disappunto dei miei genitori, che non potevano credere che avessi trovato un’occupazione in un settore come quello dell’editoria (loro mi avrebbero voluto medico o avvocato) – perché volevo lavorare all’interno di una redazione. Nel frattempo mi ero fatto convincere a far avere delle cose che avevo scritto a una lettrice di Sperling&Kupfer, che lavorava tre piani sotto di me, e lei ha voluto a tutti i costi mettermi in contatto con l’editor della narrativa italiana. Ricorderò sempre quella telefonata. Era la primissima prova professionale sulle cose che andavo scrivendo. Quell’editor, Anna Pastore, che lavora ancora per Sperling e Frassinelli, mi disse che il mio abbozzo di romanzo era buono, ma non me l’avrebbe pubblicato. Mi chiese però di leggere romanzi in lingua per lei. Così cominciai a fare il lettore. Per la verità ci fu un buco in mezzo di un anno, perché a quel punto partii per l’Australia e ci rimasi quasi 12 mesi. Al mio ritorno, oltre che dal francese e dallo spagnolo, potevo leggere libri dall’inglese, che per la verità è la lingua principale da cui noi italiani traduciamo. Dopo aver lavorato per alcuni mesi come lettore – un lavoro davvero poco pagato, ma molto bello – ho cosparso di nuovo di curricula tutte le case editrici, e in alcuni casi li ho portati personalmente. Ho così avuto la fortuna di incontrare, dentro l’edificio della Mondadori, Sandrone Dazieri, che proprio in quel periodo stava cercando un lettore. Così ho iniziato a leggere anche per le sue collane, e poi è stato lui a presentarmi – dopo più o meno un anno – alla redazione per cui ancora lavoro, dove a lungo ho corretto bozze. Ora svolgo compiutamente il lavoro del redattore.
Esistono un percorso standard o canali privilegiati oppure ritiene che vi siano più possibilità per diventare un redattore?
Non lo saprei dire. So che ci sono varie scuole di redazione e di “editoria”, anche master. Conosco quello molto buono della fondazione Mondadori, ma non l’ho frequentato. Canali privilegiati ce ne sono, eccome. Sono i classici canali delle conoscenze. Questo rimane il canale privilegiato in assoluto per entrare a lavorare nell’editoria, che sia letteraria o di giornalismo. Ma in alcuni casi tanta volontà può aiutare a ottenere in moltissimo tempo ciò che alcuni ottengono per nascita.
Come è in concreto la sua giornata lavorativa? Quali sono le sue specificità imprescindibili?
La mia giornata lavorativa prevede la lettura di un testo. Io mi occupo quasi esclusivamente di narrativa straniera, quindi quello che faccio principalmente è l’editing sul testo italiano che mi viene consegnato da un traduttore. A volte le traduzioni sono davvero molto buone, quasi delle opere letterarie a loro volta, altre no, e bisogna intervenire sulla lingua, consultando anche il traduttore. È molto importante non imporre la propria mano, ma cercare di entrare nel ritmo del traduttore, nel ritmo preordinato del romanzo, per come mi viene consegnato. Solo una volta entrato in empatia col testo è giusto intervenire, trovare quei punti in cui lo stesso traduttore – per mille motivi – non ha seguito il ritmo che lui stesso aveva impostato. Successivamente il testo si impagina, e poi viene dato in lettura a un correttore di bozze. In alcuni casi si fanno due giri di bozze. È interessante anche il lavoro sulle quarte di copertina, che naturalmente variano, nella tipologia, da collana a collana. Ci sono collane che riportano una frase particolarmente bella, accattivante o indicativa del romanzo, e allora bisogna individuarla (sentirla, cercarla quasi da rabdomante, con una sorta di memoria emotiva), altre per cui la quarta di copertina consiste in un sostanziale riassunto della trama, eccetera. In altri casi lavorare come redattore può voler anche dire predisporre apparati al testo – appendici, glossari, e simili.
Nel mondo editoriale vede più merito rispetto al “sistema” Italia o reputa invece che il pensiero comune dell’amata raccomandazione sia purtroppo la via più comune? Quali percentuali fra le due?
Il mondo editoriale, come tutti i mondi economicamente poveri, non può dar lavoro a molte persone, quindi le case editrici e i giornali sono perennemente sotto organico o in lotta con i tagli dei costi. Questo si applica trasversalmente a tutte le case editrici, siano esse grandi, grandissime o piccole e piccolissime. Ciò vuol dire che i posti a disposizione sono pochi. E questo, tradotto nella realtà italiana (conosco per esempio molto bene quella anglosassone, francese e tedesca), vuol dire – inspiegabilmente, sotto il profilo dell’efficienza delle imprese – lavoro a chi si conosce, nella stragrande maggioranza dei casi e, ovviamente, per la mia esperienza. Devo dire di conoscere davvero poche persone che lavorando in una casa editrice non conoscessero qualcuno al suo interno anche prima di lavorarci. In più, senza un’amicizia forte, muoversi è difficile.
Se crede nel merito, quali sono le sue azioni quotidiane per favorirlo?
Come ho detto prima non credo molto nel merito, non nelle case editrici grandi, per lo meno, dove è difficile essere scorti. E non per entrarci, di certo. Credo solo, al massimo, in una strenua forza di volontà, e in un po’ di fortuna. So di dirigenti di case editrici che non conoscono lingue straniere, a malapena sanno usare il computer e di letteratura non si intendono molto. Non più di un comune lettore, per dire. Questo non significa che non ci siano contemporaneamente grandi eccellenze, persone che fanno il proprio lavoro con enorme energia e dedizione, e molto talento.
Che cosa stima in uno scrittore esordiente e che cosa invece detesta?
In uno scrittore esordiente non detesto niente. Stimo invece moltissimo una lingua propria, una personalità, che poi sono le cose che stimo anche nella vita, sono le cose che colpiscono tutti, che entrano, che fanno affezionare, che fanno ricordare. Poi la maestria nel costruire una storia, che è cosa altrettanto intima e personale. Da un lato la lingua. Dall’altro la visione della vita, che costruisce l’intreccio di una storia. Senza la seconda la prima sarebbe poesia. Senza la prima la seconda sarebbe una sceneggiatura. La sceneggiatura di una fiction tv, mettiamo, o di una pièce teatrale.
Quali sono le qualità della sua casa editrice e le prospettive?
La casa editrice per cui lavoro ha un catalogo immenso, e dentro davvero c’è tutta la letteratura universale. Come tutte le imprese (ovvero tutte le case editrici, finché sono in vita, cioè finché resistono), si caratterizza per l’attenzione al fatturato. Ma il fatturato si può raggiungere con alcuni libri, che consentono che altri siano meno “vendibili” e più, diciamo banalizzando, “di qualità”. Quindi il catalogo, appunto, è davvero vastissimo. Dai libri di cucina ai Meridiani, all’edizione critica dell’opera omnia di Hölderlin, mettiamo.
Che cosa pensa delle case editrici a pagamento?
Penso che abbiano deciso di raggiungere con una scorciatoia quello che le altre si sforzano di portare a casa confrontandosi con il mercato, con i lettori, ovvero ancora il fatturato, la ragione della loro non-chiusura, o del loro guadagno, degli stipendi di chi ci lavora. E, nel fare questo, fanno leva su una delle pulsioni più piccole e ridicole dell’essere umano: la vanità.
Un consiglio a chi vorrebbe intraprendere l’attività di redattore.
Sapere in anticipo che è un lavoro anche molto solitario non è sbagliato. A uno davvero convinto di voler fare questo lavoro consiglio di inviare curricula, cercare di portarli a mano dentro le case editrici, proporsi per stage. E non perdersi d’animo per i primi dinieghi. Non mollare.
La ringrazio e buon lavoro.
Grazie a lei.     


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