Intervista a Kechiche: “Adele, la mia Indiana Jones viscerale”

Creato il 21 ottobre 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Resta incollato sulla pelle il nuovo, incandescente, memorabile film di Abdellatif Kechiche, dal titolo “La vita di Adele”, che ha vinto tre Palme d’Oro allo scorso Festival di Cannes, e già conquistato la Francia, primo paese in cui è uscito (registrando subito ben 260mila ingressi). Una storia di formazione, tenera e sensuale, quotidiana e travolgente, quella che vede la giovane e talentuosa attrice Adele Exarchopoulos cercare la sua identità, non solo sessuale, nel bel mezzo dei tumulti adolescenziali.

Accanto a lei, un’intensa Lea Seydoux dalla chioma blu, con cui esplode un’alchimia che valica lo schermo e arriva, prorompente, a chi le guarda. 250 ore di girato, che ne diventano appena tre: in Italia il film uscirà in 150 sale il 24 ottobre, incontriamo il regista Abdellatif Kechiche.

Il film, dopo il trionfo a Cannes, ha avuto una vita avventurosa, tra apprezzamenti della critica, ovazioni pubbliche, lacrime e polemiche. Ce la commenta?

La vita avventurosa del film è iniziata già durante le riprese, in realtà. Forse per i temi affrontati, è un film che ha toccato da vicino tutti coloro che vi hanno partecipato anche per il dolore che esprime. Un po’ come se il film fosse uno specchio di quello che si vive. Le reazioni scatenate dal film sono viscerali, forti: ecco perchè sono piovuti premi, critiche, polemiche, tutto molto passionale.

Come ha diretto le sue straordinarie attrici?

Ho un bisogno viscerale di sviluppare relazioni molto forti con le mie attrici, vicine all’amore. Ho un grande rispetto e tenerezza per loro. Certo, come in tutte le storie d’amore, gli incontri possono essere mancati o sbagliati, bisogna stare molto attenti di chi ci si innamora. In generale come regista mi appassiona vedere fino a che punto un interprete si trasformi per seguire il suo personaggio, in maniera spontanea, interiore, istintiva, senza bisogno di ricerche di mesi. Qui poi avevo due attrici brave e dai volti particolari, mi piaceva starci vicino con la macchina da presa, inquadrarne le espressioni.

Qual è la sua concezione di cinema?

Il cinema ci permette di esplorare in modo più profondo le verità che abbiamo dentro di noi, lo schermo protegge e permette di mettersi a nudo anche come esseri umani, per questo scelgo solo attori in grado di darsi nella maniera più completa.

La verità: si aspettava che uno come Spielberg (Presidente di giuria a Cannes) la premiasse?

Ero certo che Spielberg e il resto della giuria avrebbero colto molti aspetti del film. Non mi ha sorpreso il giudizio di un cineasta come lui, conosce a fondo il cinema, in fondo non trovo le nostre cinematografie tanto lontane: Adele è la mia Indiana Jones, una vera eroina, un personaggio quasi da romanzo che dimostra coraggio, senso di abnegazione e soprattutto grande libertà.

La vita di Adele

È un film che fa scalpore anche per i temi che tratta in modo esplicito e diretto.

Sono temi che mi girano in testa da tanti anni, non mi interrogo mai sul senso della storia quanto sui temi che voglio sviluppare, per questo trovo che dal mio primo film ad oggi ci sia un continuum, un modo di abbordare il cinema, il mio, che è un approccio particolare. Uno dei temi del film è l’amore: parla di un incontro d’amore e dell’importanza che ha il destino. Poi certo c’è anche il confronto tra classi sociali, il tema di come l’amore possa resistere alle differenze. E il tema della fame della protagonista: quello che colpisce di Adele è l’appetito per la vita in tutti i suoi aspetti, e chi vuole soddisfare la propria fame di vita e se ne assume il coraggio si mette a rischio, è destinata anche a cose pericolose.

Se potesse rifare il film da capo cambierebbe qualcosa?

È la domanda che mi faccio alla fine di ogni film. Forse avrei dovuto fare meglio o di più, mi rispondo ogni volta, ma non è possibile. Questa volta ho meno frustrazione: credo che il film abbia la forza giusta per imporsi e camminare da solo. E sa bene dove vuole andare.

Un’ultima curiosità: Adele è una maestra, come mai ha scelto questo mestiere per la protagonista?

Già ne La Schivata avevo affrontato il mondo della scuola, avevo incontrato tanti Insegnanti e ammirato l’impegno che ogni giorno mettono in ciò che fanno. È un lavoro che resta nell’ombra, per questo nel film l’ho messo a confronto con uno dei mondi in prima linea, quello dell’arte. Era un modo per rendere omaggio ai maestri: non voglio educare con il mio cinema, ma mi piaceva riaccendere un interesse per il mondo della scuola attraverso il mio film.

Di Claudia Catalli per Oggialcinema.net

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