Intervista a Maria Concetta Preta

Creato il 16 aprile 2013 da Paolo Franchini

Nome: Maria Concetta
Cognome: Preta
Ultimo lavoro: Il segreto della ninfa Scrimbia

Hai carta bianca: descriviti come preferisci.

Touché! Son così brava a descrivere gli altri – reali o immaginari che siano – che, quando si tratta di trovare le parole giuste per me, mi accorgo di fare flop! Col dono della sintesi, i tre aggettivi che mi calzano a pennello sono: autoironica, cocciuta e irrimediabilmente romantica … Un guaio di questi tempi, vero?

Ti va di raccontarci il tuo ultimo lavoro?

Cum gaudio maximo! Il mio mistery, Il segreto della ninfa Scrimbia, ritengo sia un romanzo innovativo, che ha spazzato via alcuni cliché del classico “giallo di provincia” e divenendo, in breve tempo, il libro più letto in una città dove mai prima era stata scritta qualcosa del genere. Il segreto del successo? Aver chiuso miti, leggende, tradizioni orali e superstizioni in una cornice narrativa che, pur ammiccando ai consueti stereotipi, punta al noir più profondo secondo movenze e moduli che rendono il prodotto intrigante e dove anche il passaggio erudito, funzionale allo spirito dell’opera, è smorzato dallo humour che rimane la mia cifra espressiva, in vita come nella scrittura. Ho calato la vicenda nei 70’s che ritengo anni basilari per lo sperimentalismo, l’innovazione e lo svecchiamento culturale…  E poi, amo il vintage alla follia e nel romanzo si sente il richiamo alle mode, al costume di quei mitici anni.

Quando hai iniziato a scrivere, sapevi già che – prima o poi – ti saresti imbattuta in un romanzo come questo?

Assolutamente no! Io vengo dal mondo dell’antichistica e dall’epigrafia latina classica! Fiorella Paribeni, la protagonista, è il mio alter ego. Il mio primo lavoro è stato un saggio storico sulle iscrizioni latine che avrà impressionato, al massimo, i soliti trentacinque lettori … Tutti topi di biblioteca come me! Dopo una simile pubblicazione, nessuno si sarebbe aspettato da una professoressa di latino e greco un’opera impostata in modo così anticonvenzionale e “moderno” che ribalta la vulgata sull’antichistica e la rende fruibile ad un pubblico ampio ed eterogeneo. Lo slogan che ho inventato per pubblicizzare il romanzo è: “La storia come non l’avete mai letta”.

Non ho inteso dissacrare quella che ritengo la “magistra vitae”, ma ridare linfa vitale a personaggi e situazioni reali: sfido il lettore a capire dove finisce la storia e inizia la fantasia …

Hai mai ballato sotto la pioggia?

Ballato, proprio no… Però amo correre e non evito di farlo se piove! La pioggia ha per me un significato catartico, purificatorio, quasi di rinascita. In ogni caso, è una liberazione, e rimanerne intrisi è un po’ come instaurare un rapporto “panico” tra uomo e natura.

Esiste un libro che avresti voluto scrivere tu?

Sicuramente “Il nome della rosa” di Umberto Eco, che è stato, per me che allora ero al ginnasio, un “romanzo di formazione”.

La tua canzone preferita è …?

Ce ne fosse una! Comunque ritengo che “Il cielo è sempre più blu” del grande e sfortunato Rino Gaetano, bruzio come me, sia un vero inno. E poi, essendo una maniaca dei mitici 70’s, tutta la colonna sonora di “Saturday night fever”.

Che rapporto hai con la televisione?

Altalenante, a seconda delle stagioni e dei palinsesti. Ti dirò che amo più la programmazione estiva della TV di stato e vado alla ricerca di chicche introvabili e che durante il periodo di massimo ascolto non trasmettono mai. Odio i reality (uno che mi piacque fu ”Music farm”), preferisco qualche fiction impegnata e i documentari di Alberto Angela, Mario Tozzi e Geo and Geo. Amavo “Per un pugno di libri” quando c’era Neri Marcorè. Ovviamente, non vivo senza informazione.

E con il cinema?

Sono attratta dal grande schermo, però ci vado poco, preferisco il d’essai e le rassegne autoriali o per genere. Amo il giallo-noir, il soft-thriller e qualche kolossal storico. “Frantic” è un classico che adoro e così le inossidabili spy-stories degli anni 60 e 70, quando c’era la “guerra fredda”. Ebbene sì: adoro James Bond, ma solo quello a cui diedero corpo e anima Sean Connery e Roger Moore.

Hai mai parlato al telefono per più di due ore?

Certo: in tempi in cui c’era la SIP e noi adolescenti, non avendo i social network, con una cornetta in mano parlavamo di tutto, tranne che di scuola! Parlavo così tanto che mia madre mise il lucchetto al disco del telefono! Ora amo impiegare il mio tempo libero scrivendo e ho ridotto all’osso i contatti telefonici, ricorrendo alle e-mail.

Ti piacciono i proverbi? Ne usi uno più spesso?

Mi piacciono, in quanto curiosa della cultura pop-folk e, quindi, della saggezza orale che si perpetra, anche in vernacolo. Il dialetto della mia terra, la Magna Grecia, risale al greco antico e nei proverbi si riscontrano tante espressioni che altrimenti andrebbero perse. Un detto popolare che amo, nella sua laconicità, è: “A megghiu parola è chija chi no’ si dici”  (La migliore parola è quella che non si dice). Ne convenite?

Hai tre righe per dire quello che vuoi a chi vuoi tu. Ti va di usarle?

Evito gli improperi, perché tre righe non bastano. Un grazie di cuore al poeta Dante, senza il quale non ci sarebbe la civiltà che abbiamo, ed ai grandi autori classici, almeno quelli latini. Ritengo che noi italiani non li conosciamo e non li amiamo per quanto meritano. Ne scelgo solo tre: Virgilio Seneca e Petronio. Sorvolo i Greci perché ci scriverei un poema! Alle donne dico: Leggete di più! Meglio un bel libro che una seduta dall’estetista!

Ti sei mai rapata i capelli a zero?

Sono un’ affezionata del capello lungo, liscio e nero… Però non sono Morticia della famiglia Addams! Finora ho adottato un mio stile col quale sono identificata. Comunque, mai dire mai! Non escludo… di darci un taglio!

Se potessi cambiare una cosa (ma una soltanto) del tuo ultimo lavoro, che cosa sceglieresti? Il titolo? Altro?

“Il segreto della ninfa Scrimbia” è, per me, perfetto com’è! In fondo perfectus vuol dire concluso. E per arrivare ciò, ho riflettuto parecchio. Un libro per lo scrittore è come un figlio: te lo immagini chissà come prima di “metterlo al mondo”… Poi, quando lo vedi, non lo cambieresti con nessun altro. La sua gestazione, sofferta o felice, è un compimento di un percorso voluto e atteso. Sempre se ci hai creduto fin dall’inizio.

Quando scrivi, hai un lettore di riferimento oppure scrivi solo per te stessa?

Non incarno per nulla la scrittrice isolata che vive nella sua “torre d’avorio”! Sono una donna d’oggi che si riconosce nella realtà e ama il contatto con gli altri. Sono una grandissima osservatrice e conoscitrice dell’umano. “Nihil a me alienum puto”! Non mi sfugge ciò che si riconduce all’uomo… Perciò non potrei mai concepire un’opera se non avessi un target. Il gusto sta nel coniugare le proprie esigenze con quelle altrui e riuscire a “intrigarsi mentre s’intriga” con la magia delle parole! E’ questa la sfida che mi impongo: in fondo scrivendo mi sdoppio e mi moltiplico io stessa nei personaggi e in chi li conoscerà, facendoli “suoi”. Scrivo per essere letta, mi piace mettermi in gioco.

Tra due ore si parte per un viaggio su Marte: scegli tre oggetti da portare con te e un aggettivo per descrivere l’umanità ai marziani.

Farei conoscere agli alieni la Divina Commedia, ovviamente “Il segreto della ninfa Scrimbia” e tutta la mia vita in una chiavetta USB. Se i marziani potranno comprendere tutto ciò, non so. Io stessa, come Diogene, “cerco quel rebus senza fine che è l’uomo” e, prima di tutto, me stessa. L’aggettivo per definire l’umanità è “incomprensibile”.

La cosa che più ti annoia, quella che più ti diverte e quella che più non sopporti.

Mi annoia la burocrazia che ci succhia istanti preziosi di vita, mi diverte tantissimo il mio terzogenito di otto anni con la sua semplicità e limpidezza, non sopporto affatto il cinismo e la falsità che riconosco “a pelle”.

Stai lavorando alla tua prossima pubblicazione? Se sì, ci regali un’anticipazione?

Veramente sto lavorando contemporaneamente a tre progetti, l’uno diverso dall’altro (pur all’interno del genere mistery-noir), ma che fanno parte di una trilogia a scadenza annuale. Quello di prossima uscita, entro l’anno, è “La signora del Pavone blu”. E’ un racconto vintage di marcata coloritura sociale, una sorta di cronaca nera romanzata ambientata nel 1977 in un’ anonima provincia, scossa da un delitto pressoché indecifrabile. L’anno prossimo sarà la volta del giallo “rosa” storico su cui sto facendo ricerche approfondite per i richiami al ‘500 ed al ‘600. Titolo: “L’ombra di Diana”. Infine, il tributo agli 80’s di cui mi ritengo una figlioccia: un viaggio labirintico un po’ surreale nell’underground fiorentino, una sorta di “Satyricon nella giungla degli anni ’80” (ma di questo sto ancora vagliando il titolo). Perché Firenze? Semplice: ho compiuto i miei studi accademici lì!

Prima di salutarci, l’ultima domanda è tua. Chiediti quello che vuoi, ma ricorda anche di risponderti.

Cosa pensi di lasciare di te?

Una traccia del mio passaggio su questo pianeta: l’aver dimostrato, scrivendo, che ci sono stata. E anche benone!


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