Intervista a Massimo Bocchiola, traduttore di Irvine Welsh

Creato il 13 settembre 2014 da Joeundfreida @JoeUndFreida

Io me ne stavo lì seduto e non reagivo, ma fra me e me pensavo, ti sbagli di strabestia cicciobello, qua in questo lavoro di prospettive te ne ritrovi a fottere, e la tua piccolina era fra quelle. Le prospettive mi fanno cappottare, cazzo! Sono il sale della vita!

Lo stronzo, là, deve essere a un pelo di culo dal tirare la calza, per come se l’è sbattuta in vena, cazzo. Io mi sposto barcollando da dove mi ero addormentato, sulle piastrelle fredde, zozze, crepate del linoleum della cucina, e gli appoggio la testa sul petto: un battito debolino, che sciacquetta. «Matty, svegliati.» Presto mi pento che mi son preso la bega, che lo stronzo resuscita tutto tormento e disperazione. Prima lui e dopo Alison, che io non mi son manco accorto che stava sdraiata sul divano. Questi non fanno altro che menarla che son fottuti marci e vogliono smettere. Dopo quella Maria, la piccolina, vien fuori dalla stanza da letto dove lei e Simon dormivano, tutta tremante, e piange per lei e sua mamma e suo papà. Simon anche, è lì dietro di lei che anche lui trema con un gattino appena nato, e c’ha un occhio che sbatte in uno spasmo, e fa: «E chiudete quelle bocche da cazzi! Che branco di sfigati! Sono l’unico stronzo, qua, che se la sa godere?»

Mi aspetto che i miei amati seguaci del Bloggo, per lo meno alcuni, capiscano al volo da dove sono tratte queste citazioni, anche se ho modificato un nome nella seconda per far sì che la risposta al mio piccolo quiz non fosse troppo palese.

L’edizione italiana di Colla. Incipit in italiano qui, versione in inglese qui.

Esatto, dove ho scritto Simon avreste dovuto leggere Sick Boy e sì, ancora esatto, sono entrambi paragrafi di romanzi del mio adorato Irvine Welsh. Nel primo, tratto da Colla, potete leggere i pensieri di Gas Terry, mentre nel secondo caso ci troviamo ad avere a che fare coi giovani protagonisti di Trainspotting, tutti riesumati per il recente prequel Skagboys.

Il fatto è che la scrittura di Welsh è così particolare che si può riconoscere al volo, e le sue asprezze, le sue innovazioni, i suoi termini anticonvenzionali lo rendono indigesto per molti – e assolutamente un godìo per altri, ça va sans dire. Ovviamente Irvine non scrive in italiano, nell’originale; a seconda dei romanzi e dei personaggi, la sua scrittura spazia da un inglese formale, propriamente tipico delle opere letterarie (e dei voli pindarici del giovane Renton universitario), ad una resa grafica piuttosto originale della pronuncia marcata dall’accento scozzese. Per leggere Filth, per esempio, bisogna fare il callo ad about che diventa aboot, a to scritto tae, a ken che va letto come fosse know, e via discorrendo. Anche se si è familiari con la lingua inglese, alle volte può diventare un po’ ostico.

Edizione inglese di Skagboys. Anteprima in italiano qui, originale in inglese qui.

Ma, per nostra fortuna, i romanzi di Irvine Welsh sono stati tradotti in italiano, e con risultati del tutto soddisfacenti. Forse leggendo Tolleranza Zero, trasportati in giro da Sandy Jamieson e alla caccia del Marabou, non ci si sofferma troppo a riflettere sul lavoro che ci permette di goderci il romanzo nella nostra lingua madre. Forse, tra un capitolo e l’altro de I segreti erotici dei grandi chef, si è troppo presi dal conflitto tra i personaggi per ragionare su quanto il linguaggio stesso definisca i diversi caratteri.

Massimo Bocchiola insegna traduzione in diverse università italiane, è autore di alcuni libri di versi e, soprattutto, è traduttore di moltissimi autori di lingua inglese – tra cui appunto Welsh. La vostra Madame non studia per diventare traduttrice, anche se è nella lunga lista delle cose che mi sarebbe piaciuto fare (e da tenere a mente in caso di reincarnazione), ma è particolarmente affascinata dai meccanismi che regolano la resa di un testo, specialmente se narrativo. Capirete quindi che grande onore sia stato per me che Massimo Bocchiola abbia accettato di concedermi un’intervista per il nostro umile Blogghino.

Avrei voluto poterlo incontrare di persona, e farvi partecipi del tutto con svolazzanti descrizioni, ma come sapete mi trovo già in Finlandia. Tuttimodi, dicendola à la Welsh, la tecnologia è venuta in soccorso di Madame e il professor Bocchiola è stato così gentile da rispondere alle mie domande via posta elettronica.

Come vi avevo anticipato, insomma, ecco qui una vera chicca che i fan di Welsh non vorranno certo farsi scappare.

Mme: Lei ha scelto di tradurre il particolare linguaggio di Welsh con un insieme di neologismi, regionalismi e termini gergali che compongono una lingua non solo non regionalmente connotata, ma che, anzi, a tutti gli effetti non esiste. Perché anzitutto questa scelta? Perché non ricorrere ad una semplice resa dialettale, magari usando idioletti tipici di zone della penisola italiana depresse quanto la Scozia? Si tratta di una scelta che ha dovuto difendere contro altri pareri contrastanti?

MB: É un tema su cui ho scritto un po’ di cose. In sintesi: non avendo la Scozia un corrispettivo regionale italiano, e non essendo io amante del “pittoresco”, ho pensato a un livello linguistico basso, più che a una definizione geografica. Questo, però, vale per il lessico: sotto la resa sintattica scorre l’italiano parlato in Lombardia, a volte francamente il dialetto pavese che è la mia seconda lingua.

Copertina di Tolleranza Zero. Prime pagine in italiano qui, in inglese qui.

Mme: Molti termini che compongono il linguaggio di Welsh tradotto sono neologismi o espressioni arcaiche, che spesso non risultano familiari al lettore moderno; un esempio sopra tutti, il celebre garantito al limone che è ormai in disuso. Quali sono i motivi dietro l’uso di queste forme?

MB: Qui la risposta è semplice (quanto sia convincente, lo decidete voi). I personaggi della saga welshiana hanno pochi anni meno dell’Autore e di me stesso. Per questo non dicono bella come i miei figli, ma piuttosto al limone.

Mme: Quanto è possibile con i testi di Welsh una traduzione “diretta”, in cui sia ridotto al minimo il lavoro interpretativo e di rielaborazione da parte del traduttore?

MB: Ovviamente dipende dall’opera. Crime non è come Porno. In linea generale, a me sembra non sia molto possibile.

Mme: Meglio adattarsi al lettore, cercando di facilitarne la comprensione, o attenersi al testo originale e ricalcarlo fedelmente, magari con neologismi o fraseologie che potrebbero risultare oscure?

MB: Dilemma senza fine nella storia della traduzione. Ma Welsh è autore di rovente contemporaneità: diamo al suo pubblico,  che è sempre composto in maggioranza da giovani, ma sta anche “invecchiando” insieme a lui, delle chiavi per godere della lettura. Considerate che c’è già il problema dei “realia”, di realtà scozzesi o americane (calcio, massoneria popolare, cattolici/protestanti, geografia della Florida ecc) che costringe il lettore scrupoloso a consultare continuamente, come minimo, il Web.

Mme: Com’è stato trovarsi a dover tradurre Porno prima e Skagboys dopo, senza aver tradotto Trainspotting di persona (tradotto da Giuliana Zeuli)? Ci sono particolari scelte lessicali che si è trovato a dover accettare, pur senza condividerle?

MB: Mah, in effetti Welsh mi fu affidato essenzialmente per la buona prova che, a giudizio dell’editore, avevo dato nel tradurre un racconto di Irvine Welsh compreso nella raccolta Disco Biscuits. Ho seguito piuttosto quella falsariga.

Copertina dell’edizione inglese de La vita sessuale delle gemelle siamesi. Qui l’originale inglese, qui in italiano.

Mme: Quanto è diverso il Welsh de La vita sessuale delle gemelle siamesi dal Welsh di opere fortemente legate all’ambientazione scozzese, come Colla o Tolleranza Zero?

MB: Premesso che è significativamente diverso, l’impegno del traduttore è far notare almeno in parte queste differenze. Ho pensato di stondare il sottofondo dialettale della sintassi a cui facevo riferimento, dando più risalto a forme linguistiche “generazionali”. (Personalmente credo che sia inutile prendere le regioni italiane come riduzione in miniatura del mondo anglofono.) Ma l’oltranza linguistica è comune.

Mme: Infine una domanda da lettrice di Welsh particolarmente curiosa: come sono stati tradotti i paragrafi de Il Lercio che sono parzialmente coperti dai pensieri della tenia? I testi sottostanti esistono davvero?

MB: Sì, esistono. Non ho qui l’originale, ma se ben ricordo non fu nemmeno un’impresa tradurli. Spero che la memoria non mi inganni.

(E leggendo questa risposta, Madame è francamente andata in solluchero.)

Mme: Per ultima, quasi una provocazione; prendiamo ad esempio un lettore medio, che sia in grado di leggere in lingua inglese ma si trovi in difficoltà nell’interpretare la scrittura di Welsh. Il testo tradotto costituisce un’opera a sé o può effettivamente sostituire la lettura dell’originale?

MB: Anche qui, antica questione, e fondamentale. Consiglierei di essere sereni, altrimenti come faremmo, quasi tutti, a leggere Dostoevskij o Pamuk? Secondo la famosa espressione di Nabokov, la traduzione dovrebbe essere piatta per creare nel lettore una “frustrazione ottimale” tale da spingerlo a imparare la lingua e leggere i capolavori in originale. Ma, oserei aggiungere, ars longa, vita brevis.

Madame Freida


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