(c) Myriam Meloni
Myriam Meloni (nata nel 1980 a Cagliari) è una fotografa italiana. Dopo la Laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna e la specializzazione in criminologia e esecuzione penale presso l’Università Autonoma di Barcellona, si avvicina alla fotografia frequentando per 3 anni il Fotografic Institut de Catalunya (IEFC). Dopo essersi trasferita in Argentina, si specializza in fotogiornalismo e si iscrive all’Associazione dei fotoreporter di Argentina (ARGRA) e partecipa a diversi laboratori. I suoi lavori si concentrano sul sociale, con un approccio molto intimo. Nel 2010 ha ricevuto il premio per il miglior portfolio nella 4a Biennale di Tucumán fotografia documentaria e viene selezionata per le sezione portfoli transatlantici di PhotoEspaña a Managua. Nel 2011 si candida per il Joop Swart Masterclass del World Press Photo e viene selezionata per le proiezioni di nuovi autori di Festival Photon a Valencia. I sui lavori sono stati esposti in gallerie e festival in tutto il mondo foto, con mostre personali alla galleria fotografica del Teatro San Martin (Fragile, Buenos Aires, 2011) e mostre collettive nella Galleria Forma, a Milano, al Teatro Lliure di Barcellona, al Festival SevillaFoto, nella galleria “Officine Fotografiche”, a Roma, durante la PhotoEspaña al Cervantes, Madrid, 2011; In Su Palatu, Sardegna.
Il suo lavoro Fragile è stato dichiarata di interesse sociale e culturale da parte del governo di Buenos Aires. Attualmente sta lavorando come fotoreporter freelance e collabora con diverse realtà internazionali.
Con il lavoro Important things are said softly si aggiudica il II posto al WinePhoto 2012.
Pubblichiamo di seguito l’intervista realizzata da Massimiliano Tempesta, Collettivo WSP.
1) Nata a Cagliari, laureata a Bologna, studi di fotografia a Barcellona, sei stata per quattro anni fotografa a Buenos Aires. Direi che nella tua vita non manca il movimento. Italia, Spagna, Argentina, cosa lega e cosa no queste tre nazioni a livello fotografico?
I n Sardegna, con i suoi tempi lenti ed i suoi paesaggi rudi ho imparato ad osservare; a Bologna ho imparato ad amare; a Barcellona ho imparato a sognare ed a Buenos Aires che c’é una sola vita per farlo!Ognuno di questi luoghi ha rappresentato moltissimo nel mio modo di essere, e quindi di vedere, però è solo 4 anni fa, in America Latina, che ho iniziato a sperimentare la fotografia sulla mia pelle, ed a realizzare i miei primi progetti. L’America latina è un continente enorme, vario, nella storia, nella geografia, nelle tradizioni: ogni paese si fa porta voce di una identità propria, che si riflette poi nelle tematiche e nelle forme: il risultato é una fotografia viscerale, spontanea, unica. Vedendo le opere di giovani fotografi contemporanei ( Gihan Tubbeh in Perú, Martin Weber e Alejandro Chaskielberg in Argentina, o Julio Bittencourt in Brasile, per esempio), risulta evidente e chiara la volontà di esplorare in maniera profonda la propria realtà, recuperarne l’essenza e farlo con forme nuove e contemporanee. Ho l’impressione che anche in Europa, in Italia come in Spagna, in risposta alla crisi economica , tanto nell’arte in generale, che nella fotografia, ci sia una forte tendenza a recuperare il nostro “essere”: si ritorna ad osservare le cose vicine, a rivalutare il nostro bagaglio culturale e sociale, mossi dall’esigenza di esplorare e capire la realtà di cui facciamo parte, la sua trasformazione, di capirci noi stessi, di informare, di creare.
A volte basta un incontro fortuito, uno sguardo, una conversazione. In un istante sento che ho davanti la storia che voglio raccontare. Poi iniziano i mesi di lavoro…Per quanto riguarda i progetti a lungo termine, cerco di mantenere questo incontro genuino con le storie, senza che le leggi del mercato influenzino le mie scelte.Ognuno di noi ha una sensibilità differente. È attratto e attrae differenti tipi di persone, di mondi. La fotografia implica parte di se, della propria personalità, le proprie paure ed i propri desideri. Essere onesto con quello che siamo è la base di qualsiasi buon lavoro. É vero poi che non sempre un buon lavoro é vendibile, però si credo che tutti i buoni lavori diano i loro frutti: magari non economici, ne così immediati, però certamente a lungo termine, aiutano il fotografo a posizionarsi, ad essere più sicuro di se. E tutto ciò, sopratutto agli inizi della propria carriera, é altrettanto importante che avere dei lavori “vendibili”. Ovviamente bisogna avere i mezzi ed il tempo per dedicarsi ai propri lavori personali, e per questo esistono i lavori commerciali, dove si, bisogna cercare di trovare un equilibrio fra i propri interessi e quelli editoriali. Penso che una delle cose più difficili per un fotografo sia accettare che esiste anche questa parte, in cui uno non è solo creatore di immagini e storie interessanti: per poter vivere della fotografia documentale é necessario avere l’organizzazione di un perfetto uomo d’affari, la conoscenza di un ottimo giornalista, e l’abilità di un gran PR!
3)Che consigli daresti ad un giovane fotografo?
Di essere curioso, di non fermarsi alla superficie. Di scavare dentro di se per poter capire l’altro. Lasciarsi appassionare: dalle cose, dalle persone, dai colori. Non smettere mai di sorprendersi. Non avere fretta. Avere degli obiettivi, delle aspirazioni, ma che non siano mai così definiti da non lasciare spazio all’imprevisto, alle sorprese. Di non perdere tempo cercando la tematica perfetta. Di non pensare che le storie più interessanti sono sempre lontane. Di non pretendere che il proprio lavoro piaccia a tutti. Di essere organizzati. Costanti. Crederci. Persone con talento, è pieno il mondo. Credo che la gran differenza la faccia chi non si scoraggia, chi è pronto a fare degli sforzi, e a volte dei sacrifici. Chi non si limita ad applicare formule. Non sempre si ha la possibilità di lavorare su temi nuovi, originali. L’originalità sta nello sguardo. Insomma: essere capaci di mettersi in gioco! E metterci il cuore.
4) Nel lavoro “The important things are said softly” in cui in maniera molto delicata e poetica narri la storia di una madre prostituta possiamo scorgere più piani di lettura che vanno al di là della storia in se. Come si realizza un lavoro del genere? Già sai che taglio dargli o lasci tutto all’editing finale?
Ho conosciuto Yesica, la protagonista di “Important things are said softly” mentre facevo un a serie di ritratti in una Limousine. Siamo rimaste sole nell’auto per pochi minuti e le ho chiesto se potevo ritrattarla. Mentre la fotografavo per la prima volta, sono stata attratta dal suo modo di muoversi di fronte alla macchina fotografica, dal suo modo si guardarmi, dal suo attuare sensuale ed ingenuo allo stesso tempo. Ho deciso di seguire la sua vita. Il risultato finale del lavoro, sono mesi di incontri, di chiacchiere, di serate passate insieme a lei ed i suoi figli. Il mio modo di fotografarla è cambiato poco a poco. Ho superato i miei propri pregiudizi e le mie fotografie si sono adattate a quello che poco a poco stavo scoprendo: una donna, una madre, un amica. La prostituzione si è trasformata nel filo conduttore di una storia fatta di sentimenti, di giochi, di paure, di amore. Ho lasciato da parte le foto puramente descrittive dei primi giorni in cui tutto è nuovo, tutto ti seduce. Il linguaggio è divenuto mano a mano sempre più simbolico. Le fotografie hanno smesso di descrivere situazioni, per parlare di sensazioni. E l’editing ha rafforzato il messaggio.
5) Rivedi mai tuoi lavori pensando che potevi realizzarli diversamente?
Sono solo 4 anni che mi dedico professionalmente alla fotografia, però devo dire, che anche se in poco tempo, sento che la mia maniera di fotografare è cambiata, maturata. Certamente ci sono cose che farei in modo diverso, perché oggi sono una persona diversa. Penso che tutto sia parte di un processo, in cui uno si scopre, sperimenta, investiga, fino ad arrivare a sentirsi padrone di un linguaggio con il quale si sente comodo. Il linguaggio di oggi, non é mai esattamente lo stesso linguaggio di ieri, ne quello di domani. Tanto il modo di fotografare, come le tematiche che uno sceglie, sono in constante evoluzione, dipendono dalle proprie esperienze di vita, e dalla propria crescita come persona.
6)Cosa di “non fotografico” influenza il tuo essere fotografa?
I viaggi, gli incontri, la bellezza di una paesaggio. L’amore, le delusioni d’amore. La giustizia e l’ingiustizia. L’arte in tutte le sue forme. La vita stessa.
(c) Myriam Meloni