Osmel, facci una breve autopresentazione, raccontandoci ciò che preferisci, indicativamente che età hai, dove vivi, qual è la tua attività prevalente (o vivi di sola musica?), se hai studiato canto e qualche strumento, quando sei diventato “frontman” del gruppo “I Maghi di Ox”, che fanno “ska jazz” e “rocksteadybeat” …. sono domande “aperte”, nel senso che le puoi sviluppare a piacere.
Ciao, sono Ox (alias Osmel Fabre), ho 38 anni, vivo appena fuori Roma. Sono motion grapher in Rai, attività con la quale mi mantengo anche se, “da grande”, vorrei mantenermi con la musica e l’arte in generale. Infatti, oltre ad essere musicista e grafico sono anche fotografo, quindi l’arte mi circonda in ogni aspetto principale della mia vita.Per quanto riguarda la musica a 15 anni ho preso lezione di chitarra classica per un paio di anni, ma la prima cosa che ho fatto è stato imparare due accordi e poi scrivere una canzone “Flying on a cloud”, mi pare si intitolasse.Per anni ho scritto (e studiato poco), solo recentemente ho ripreso, ma con una marcia più…mirata!
Con il canto, ci ho provato…ehehh, ho preso qualche lezione col Maestro Roberto Sterpetti e con la fantastica Cinzia Spata. Ho fatto poi un grosso lavoro personale, una ricerca approfondita su che tipo di voce volevo e che tipo di sonorità mi interessava avere, e su questo ho lavorato per quasi due anni e tutt’ora è una ricerca continua. Per questo non mi definisco né cantante né chitarrista, mi limito a quello che senza dubbio so fare meglio, essere un cantautore.
Ma la vera “scuola” è stata il palco.E’ sulla scena che ho iniziato a misurarmi veramente, dapprima cimentandomi in qualche jam session, poi entrando a far parte della band “I Maghi di Ox” con i quali ho passato ben 8 anni a suonare sui palchi di Roma e varie città italiane.
Diciamo che il percorso con “I Maghi” è stato all’inizio un percorso formativo e goliardico. Nel tempo si è trasformato in qualcosa di più viscerale. Il Senso dello Spettacolo. Lo stare sul palco è diventato un’esigenza, un piacere carnale. Vedere i volti della gente che canta, che balla, che ascolta si è trasformato in un bisogno.
Ad un certo punto però, per via di alcuni cambiamenti nella mia vita privata, ho ripreso a scrivere dopo quasi 10 anni che avevo smesso dedicandomi alla fotografia. E questo nuovo filone iniziava a diventare interessante sebbene acerbo. Così fra una crisi dei Maghi e l’altra, tra una conferma e l’altra sulle mie canzoni, ho iniziato a vedere del materiale interessante tra quello che scrivevo.
La conferma morale l’ho avuta dopo essere stato una settimana a Londra a suonare in vari locali da solo, chitarra e voce. Lì ho percepito la forza del progetto e tornato a casa mi sono messo al lavoro con più profondità.
Nel frattempo il progetto con i Maghi andava molto a rilento, sia la scelta editoriale che la crisi del mercato, non giocavano a nostro favore. Poche serate pagate poco. Quindi diciamo che lo sforzo fisico ed intellettuale non valevano più la candela. A quel punto ho pubblicato “When Things Come Easy” e ho deciso di provare a seguire il mio progetto.
Oggi porto avanti la mia musica e ogni tanto facciamo dei concerti-evento con i Maghi per puro spirito gogliardico.
Dalla tua biografia si apprende che sei nato a Santo Domingo e ti sei trasferito ad appena 4 anni in Italia; spesso, in chi è originario di un luogo ma per l’intervento delle più svariate circostanze si trova poi a vivere altrove, convivono due (o più) “anime” distinte, è così anche per te? Si riflettono nella tua musica?
Non non credo che le mie origini si riflettano nella mia musica. Sono cresiuto qui, con tutto quello che ne consegue. Il mio lato latino quindi non ho mai avuto modo di coltivarlo,mentre invece sono sempre stato fortemente attratto dalla musica anglosassone.
La musica leggera “mainstream” di consumo, corrente e commerciale, che spesso e volentieri, purtroppo, scade nel “banal-melodico”, da noi, in Italia e che pure vanta un ampio spettro di diffusione di massa, è molto distante dal tuo “sound”, lo vorresti definire per noi e precisare in che cosa si differenzia dal gusto imperante?a quali modelli ispiratori (se ci sono) ti riallacci, preferibilmente?
Beh, ascoltando a mia musica è abbastanza facile capire quali siano i modelli a cui mi sono ispirato. Il rock anni ’90 principalmente. Sono cresciuto ascoltando Queen, Dire Straits, Bon Jovi, Eric Clapton anche se poi, nel corso della crescita, sono stato fortemente attratto dal soul e dalla musica nera. Non credo che la musica italiana viva nel banal-melodico. Il vero problema del mainstream italiano è che si somiglia tutto. Ma suppongo che la colpa sia la mancanza di etichette e produzioni coraggiose, che investano davvero nel “personaggio” e nella sua musica. Oggi chi fa tendenza è normalmente chi si va ad inserire nell'”indie”. Ma, a parer mio, troppe volte si cerca l’estremo, non curando più né l’aspetto melodico né quello lirico. La tendenza quindi è che anche chi è “indie” oggi tende ad appiattirsi nella speranza di poter somigliare a qualcuno che l’ha preceduto con più fortuna. Ne deriva, quindi, che indie e pop ormai stanno diventanto sempre di più un calderone.
Anche io, a modo mio, faccio parte di una corrente, il pop-rock o rock melodico. L’unica vera differenza è che non seguo il mercato italiano, il che mi porta ad essere “originale” nella scelta, ma allo stesso tempo, fuori mercato.
Diverse volte mi hanno suggerito di scrivere in italiano, ma il problema sta nella composizione del sound. Scrivere in italiano comporta pensare in italiano anche la canzone. Di conseguenza il risultato finale suonerà, appunto, all’italiana.
Quando compongo, scrivo e penso in inglese direttamente, per abitudine e affinità. Tutti sappiamo, inoltre, quanta plasticità ha la lingua inglese per adattarla ad una melodia.
Hai vissuto una parentesi londinese, canti, anche, in inglese, che occasioni offre, rispetto all’Italia, a un giovane musicista, un ambiente notoriamente “internazionale”, agli antipodi da certo “provincialismo” che da noi persiste ancora? Com’è stata la tua esperienza?
La mia parentesi londinese è stata ricreativa, formativa e onirica. Trovarsi in una metropoli cosmopolita e confrontare la mia musica scritta per quel genere di mercato, con la sua vera realtà e scoprire che il connubio è stato creato correttamente, è qualcosa di esaltante. Ma non ho mezzi a sufficienza per definire l’andamento del mercato all’estero. Sicuramente, il vero vantaggio del suonare all’estero, è che chi ti ascolta non vuole che somigli a qualcuno. Vuole che tu sia unico, te stesso. Non gli interessa il remake pasticciato di qualche altro artista, cosa che invece in italia è la condizione predominante. Normalmente all’estero, non favoriscono le cover e tribute bands, al contrario di qui. Questo permette agli artisti di potersi scavare una traccia per il loro percorso e seguirla. Non a caso, l’affermazione della personalità artistica fuori è molto più forte e definita che qui in italia. Noi abbiamo casi extra che arrivano dal passato, Ligabue, Vasco, Gianna Nannini, e qualcun’altra, che vivono da artisti e sono fortemente definiti. Il resto del mercato presenta un meshup di toni grigi che non fa risaltare nessuno in particolare. Anzi, se cerchi di distinguerti troppo, di tendere all’eccentrismo, vieni additato. All’estero è l’esatto contrario: più ti definisci stilisticamente, dall’abbigliamento al sound, più diventi riconoscibile e caratterizzato. A quel punto la strada è molto più dritta. Dobbiamo imparare a smettere di sentirci paesone e iniziare a pensare da cosmopoliti, e fare in modo che l’identità personale smetta di adeguarsi alla massa ma emerga definita e definitiva per poter fare la differenza.
E’ forse scontato, ma parliamone, cosa ne pensi dei “talent show”?quali sono le strade alternative percorribili, per un artista agli inizi?
Purtroppo, ricollegandomi appunto alla domanda precedente, le possibilità di emergere in Italia, non sono molte. Sia per i motivi di cui sopra, sia perchè, come dicevo, non ci sono investitori. Il genere italiano, funziona bene solo nei paesi latini. Ma il mercato principale è quello anglofono, sia per ricchezza che per risorse. Ne consegue che la vera e forse unica chance per chi vuole emergere qui, sono i “talent” (che di talent han ben poco). Se dapprima li condannavo, oggi li tollero. Non li appoggio, ma nemmeno li “evito”. Mi sono avvicinato anche io a queste risorse data la povertà di alternative, ma resto dell’idea che, se alle spalle non hai sostanza, potrai anche avere una bella voce (purtroppo non cercano altro) , ma se non sei pronto, con le ginocchia e le gambe ben salde, il successo resta solo temporaneo….e spesso deleterio.
PROSSIMAMENTE:
SAB 7 MAR LIve con “I MAGHI DI OX” – Ska and Rocksteady beat band – al MAHALIA, via Ilia 12 – Roma
SAB 21 MAR Live con “I MAGHI DI OX” – Ska and Rocksteady beat band – al GARAGE28, Via Sciadonna 28 – Frascati
[by Fede]