Intervista a Pierre Lemaitre

Creato il 07 luglio 2015 da Tiziana Zita @Cletterarie
“In Francia ci sono solo tre cose che possono cambiarvi la vita radicalmente: il colpo di fulmine, l’infarto e il Goncourt. Io ho avuto il Goncourt”. Insegnante, sceneggiatore, grande scrittore di gialli, Pierre Lemaitre ha vinto il Premio Goncourt nel 2013 con Ci rivediamo lassù che è un libro straordinario. Questo erede del ‘romanzo popolare’ è pieno d’umorismo e i suoi romanzi hanno un ritmo incalzante anche quando non sono gialli.  Eccolo intervistato da Antonio D’Orrico all’Auditorium di Roma.Che consigli darebbe a un giovane che vuole scrivere romanzi gialli? Il romanzo giallo è molto particolare. E’ l’unico tipo di romanzo che comincia sempre dalla fine. Comincia con il delitto, con il crimine, e ripercorre a ritroso una storia che è finita. Questo costringe a fare una sorta di ginnastica piuttosto complicata, tanto più che si tratta del genere nel quale ci sono dei vincoli molto stringenti da rispettare. Per fare un vero e proprio romanzo giallo ci vuole suspense, ci vogliono dei rimbalzi, delle false piste, degli indizi, il colpevole, un commissario, un investigatore, dei complici. Ecco, tutti questi ingredienti sono necessari per cui io direi che un buon romanzo giallo è il risultato di uno slalom tra tutti questi paletti. Perciò gli direi: allenati a fare lo slalom. Lei ha dichiarato: “Cerco solo di scrivere storie che Alfred Hitchcock avrebbe voluto filmare”. Dalle conversazioni con Truffaut io mi ricordo che Hitchcock voleva filmare soprattutto due tipi di storie. La prima è quella che comincia con: bella donna in pericolo. La seconda è che Hitchcock diceva che le storie più belle sono storie d’inseguimento.Quando lavoro, molto ma molto spesso, mi ricordo dei consigli che dà Hitchcock per scrivere storie. Lui ad esempio dice che le cose importanti bisogna dirle due volte. Questo l’ho spesso constatato. Se le cose importanti le dico una volta, c’è sempre un lettore, o anche l’editore che mi dice: qui non si capisce bene. Hitchcock non si sbaglia mai. Un’altra cosa molto importante che lui dice è: migliore è il cattivo e migliore sarà la storia. Gli ho dato talmente retta, che mi sono fatto la fama di essere molto cattivo con i miei personaggi.John Irving diceva che la narrativa è una faccenda spietata. Bisogna sempre ammazzare quello a cui l’autore vuole più bene. Lemaitre ha dichiarato: “Mi sono sentito spesso vicino a Don Fabrizio Salina, il principe del Gattopardo. Vicino a quella sua aria fine secolo. Mi sembrava che la mia morale e il mio punto di vista sulla realtà non potessero trovare posto nel mondo in cui vivevo”. Volevo chiedere se questo senso di disadattamento, di essere fuori tempo nel proprio tempo, è il famoso punto di vista degli scrittori veri?Sì e comunque in buona parte è il mio. Quello che condivido con il principe di Salina è che io sono erede del XIX secolo sul piano narrativo del romanzo. I miei maestri sono Dumas, Tolstoj, Victor Hugo. Quando scrivo sono un contemporaneo, ma la mia cultura, i miei valori, la mia storia, appartengono al passato. Nei miei libri, io cerco di interrogare il tempo presente, richiamandomi a valori storicamente un po’ antichi. Questo è il mio mestiere.Però nei libri di Lemaitre c’è anche un ritmo, una percussione da rock star.Sì, cerco di essere contemporaneo. Credo che la mia scrittura sia in sintonia col mio tempo. Dopo il Goncourt ho vissuto una vita da rock star. Dicevo di recente che in Francia ci sono solo tre cose che possono cambiarvi la vita radicalmente: il colpo di fulmine, l’infarto e il Goncourt. Io ho avuto il Goncourt.In Italia sono due le cose che possono cambiare la vita di uno scrittore: lo Strega e il colpo della strega. Ora voglio fare un quiz a Pierre. Prendiamo la prima scena di Alex, che è questa bella donna che prova delle parrucche. Le prova come se provasse delle pellicce, una dietro l’altra. E’ felicissima, quasi ebbra nel provare queste parrucche. Mentre lo sta facendo vede attraverso la retina che c’è qualcuno che la fissa, un uomo, e realizza che probabilmente quell’uomo lei lo ha già visto all’inizio della mattinata che la fissava e che la pedinava. Questo è l’inizio e già ci mette un’inquietudine. Poi succede che Alex, questa donna bella, la sera va a cena in un ristorante da sola. C’è un uomo che anche lui mangia da solo e che la guarda. E’ molto hitchcockiano. Lei è lusingata e anche sessualmente attratta da quest’uomo. Sta mangiando da sola e sta leggendo un libro. Ha chiesto al cameriere una forchetta in più per tenere aperte le pagine del libro. Allora mi sono chiesto qual è il titolo del libro. Io ho immaginato Delitto e castigo. Vorrei chiedere a Pierre se lui lo sa.Ma, non lo so. Che cosa potrebbe leggere? Bella del signore? Sì, secondo me sì ed è per questo che ha bisogno di una forchetta perché è un libro molto voluminoso. E’ vero, quella scena è assolutamente hitchcockiana. Insomma io sono un intimo di Hitchcock. Forse sono un po’ pretenzioso dicendolo. Comunque questa scena, secondo me Hitchcock avrebbe potuto benissimo metterla all’inizio di un suo film.Passiamo un attimo a Irene che è il suo primo romanzo. Io mi sono fatto l’idea che lei ha letto moltissimi noir come apprendistato, anche per prepararsi a scriverne uno. E poi questo grande lavoro che in genere rimane fuori dal libro, con un’operazione geniale, Pierre l’ha fatto diventare una parte del romanzo stesso, addirittura la sua struttura. E’ andata così?Sì, adesso dirò dei paroloni, “postmoderno”, “metafiction”, me ne scuso molto, non si dovrebbero usare queste parole ma cercherò di spiegare di cosa si tratta. Questo primo libro è innanzitutto un omaggio alla letteratura. Quindi volevo che fosse un’occasione per pagare il mio debito nei confronti di alcuni dei miei maestri. Ho cercato di fare un libro che contenesse altri libri che poi è questa la definizione della letteratura postmoderna. Per un lettore è soprattutto un gioco letterario. Io cerco di fare in modo che lo scrittore capisca che gli sto strizzando l’occhio, che faccio delle citazioni. E’ una sorta di marchio di fabbrica che ho inaugurato con quel libro e credo di aver mantenuto fino a Ci rivediamo lassù. In realtà cerco costantemente di accorciare la distanza che esiste tra me e il lettore, cerco di farmelo complice. Io non scrivo per mettere le cose nel mio cassetto, io sono preoccupato per il mio lettore, gli voglio proporre delle emozioni. Io scrivo per i miei lettori e cerco di giocarci.Vorrei dire una cosa che ho capito di Pierre di cui lui mi aveva parlato in un precedente incontro a Milano, quando siamo andati in un posto ameno che mi pare che si chiami Centro Svizzero. Una specie di night. Io avevo bevuto un paio di vodke, lui aveva preso un whiskey e si stava parlando di letteratura. A un certo punto Pierre mi ha detto che la letteratura è la vita, che non c’è differenza fra la letteratura e la vita. Questa frase lì per lì non mi era piaciuta moltissimo, non ero molto convinto. Però l’ho capita leggendo Irene. Di solito si pensa che o si vive o si scrive. Da una parte c’è la vita, dall’altra c’è la letteratura. Addirittura il grande poeta Eugenio Montale aveva calcolato la percentuale. Ha vissuto al cinque per cento perché il resto l’aveva dovuto dare tutto alla scrittura, alla letteratura. Pierre rovescia questa idea e nel libro si dimostra che se uno scrive sta vivendo, così come quando guida la macchina, o quando mangia gli spaghetti.Credo che sia Borges che diceva: se la vita fosse sufficiente la letteratura non esisterebbe. La letteratura è una macchina per decodificare il reale. E’ una macchina per capire il mondo. E hai ragione nello stabilire un’equivalenza tra letteratura e vita, laddove la caratteristica della letteratura è quella di farci capire il mondo attraverso le emozioni. Sono emozioni molto vive, non sono cose astratte. La storia ci spiega il mondo a partire dai fatti, la sociologia a partire dalle cifre, la filosofia a partire dalle idee e la letteratura a partire dalle emozioni. Ora l’emozione è la definizione stessa di ciò che vive, quindi letteratura e vita sono indissolubilmente legate. Penso a Marcel Proust. Se leggete Proust, moltissime volte vi fermate e dite: quanto è vero, ma com’è vero. Questo significa che molto spesso un grande autore formula un qualcosa che il lettore avvertiva, sapeva, percepiva, ma non riusciva a trovare le parole per esprimerlo. Questo dice quanto è grande il legame tra vita e letteratura. In fondo la letteratura ci spiega costantemente la vita. Ecco a che cosa servono gli artisti, ecco a che cosa servono gli scrittori.Lemaitre è molto originale e i suoi libri sono molto diversi uno dall’altro. Ogni volta ci sorprende moltissimo. C’è un romanzo “in diretta” come Lavoro a mano armata che sembra proprio un romanzo su quello che sta accadendo ora. Comincia con un direttore del personale, un uomo di potere che ha fatto molta carriera, che a 57 anni perde il posto, non riesce più a inserirsi e finisce fuori dalla società. C’è un crollo, una caduta, una rovina. Questo romanzo è il tema di tutta la crisi economica contemporanea, ma poi come fa a scrivere un romanzo storico come Ci rivediamo lassù? Com’è possibile tenere tutto questo in una sola persona?Quando parlo del mio lavoro mi rendo conto che i lettori si seccano un po’ e ho l’impressione di essere controproducente. Questo perché molti lettori pensano ad uno scrittore ispirato, tipo Chateaubriand, una persona geniale che ha delle improvvise ispirazioni e che dà il meglio di sé nelle pagine che scrive. Mentre invece quando io parlo del mio lavoro c’è un po’ la differenza che c’è tra Chateubriand e un orologiaio. Io sono l’orologiaio. Io sono un artigiano e questo è un aspetto del mestiere di romanziere che pochi hanno voglia di conoscere. Si ha una buona idea, ad esempio scrivere sulla crisi, e poi c’è molta, molta, molta tecnica. In effetti Ci rivediamo lassù è un libro di 600 pagine. Penso che per scrivere quel romanzo ci vogliono tre settimane. Io batto molto rapidamente. Però poi ci sono diciotto mesi di correzioni e tecnica, quindi non ci si rende conto di fino a che punto questo è un mestiere che fa appello a una competenza. Raccontare una storia non è solo immaginarla ma significa anche riuscire a farla vedere agli altri e questa è tecnica pura. Mi rendo benissimo conto che non vi faccio sognare dicendovelo.Nella sua famosa teoria del noir, Raymond Chandler dice che in un noir, il mistero e la sua soluzione sono solo ciò che io chiamo l’oliva nel martini. Non è la soluzione, il segreto del noir.Se io avessi il segreto del noir non te lo rivelerei e comunque non davanti al pubblico, magari dopo dietro le quinte. E’ buffo che parli di Chandler. Idealmente in un buon romanzo giallo la sorpresa deve arrivare proprio all’ultimissimo momento. Ma è molto difficile farlo. E per questo bisogna soprattutto evitare di frequentare Raymond Chandler. Chandler scrive dei polizieschi pessimi. Se ne frega completamente della storia. Credo che sia Howard Hawks, che quando ha girato Il grande sonno, proprio in piena lavorazione del film, durante le riprese, ha telefonato a Chandler, gli ha detto:“Ray, ma chi l’ha ammazzato il giardiniere?” Chandler gli ha risposto: “Non ne ho idea”.Perché se ne fregava completamente. Non è un buon indirizzo quello di Chandler, ma se invece volete la quintessenza del noir, allora dovete andare da Chandler perché in fondo la storia poliziesca non ha nessuna importanza. I suoi sono romanzi di atmosfera. Lui descrive un mondo esattamente come George Simenon. Molti romanzi di Simenon dal punto di vista del plot, della storia, della trama non sono un granché. Sembra che ci siano vari sospetti e poi alla fine lui dice: eccolo là, è lui. Ma potrebbe essere benissimo un altro perché in realtà i romanzi di Chandler e quelli di Simenon, non si reggono sulla storia. Questo vale per Agatha Christie. Però loro sono grandissimi romanzieri perché hanno uno stile e soprattutto perché ci descrivono un universo. Tutto il mondo è contenuto in un romanzo di Chandler come anche in un romanzo di Simenon. E questo è più importante di una buona storia, ma io sono solo Lemaitre, quindi ho bisogno di buone storie.E’ molto interessante pensare che sia Simenon che Chandler abbiano scritto pessimi polizieschi dal punto di vista della regola e sono tra i più grandi scrittori del Novecento per la passione che hanno suscitato. Io ho sentito spesso, parlando con i lettori, che l’innamoramento per Simenon e per Chandler è uno dei più forti. Uno dei più grandi classici della letteratura italiana, uno dei capolavori del Novecento come Quel pasticciaccio brutto di via Merulana di Gadda è in realtà un poliziesco abortito. C’è un’indagine con il commissario Ingravallo, però anche in questo caso è un pessimo poliziesco ma un grande libro di letteratura. Irene è un grande noir ma anche un piccolo saggio sulla letteratura noir. Lemaitre ha astutamente ingannato i giurati del Goncourt perché Ci rivediamo lassù in realtà è un grandissimo noir. No, non si può dire così. Mi farei molti nemici. Bernard Pivot ha detto: “Abbiamo premiato e incoronato un libro popolare”. Io credo che intendesse dire che aveva notato che non si trattava di un poliziesco ma che comunque era stato costruito con tutti gli strumenti di un poliziesco. Anche se scrivo un romanzo storico io lo scrivo comunque come un romanzo giallo. Quindi su questo piano io non penso di cambiare registro letterario. Resto fedele a ciò che so fare. Ancora una cosa a proposito della letteratura popolare. Non so se in qui in Italia l’espressione “romanzo popolare” ha questa connotazione dispregiativa che gli attribuiamo in Francia. In fondo un romanzo popolare è un romanzo facile da capire perché in genere il popolo non gode fama di essere particolarmente intelligente, con un vocabolario rudimentale, con sentimenti facili. E’ una visione un po’ sprezzante del popolo. Però c’è un altro modo di concepire il romanzo popolare che consiste nel dire che un buon romanzo popolare è un romanzo che piace a tutti ma non per gli stessi motivi, che ciascun lettore deve poter trovare nel romanzo popolare un piacere diverso. Io penso per esempio che in Irene alcuni avranno riconosciuto subito un delitto descritto da James Ellroy e chi ha una buona cultura poliziesca si può divertire per questo richiamo, però il fatto di riconoscere il romanzo di Ellroy non è necessario per leggere quella storia e per capirla. Un libro che piace a tutti: questa è la definizione che io propongo per romanzo popolare.Irene, Alex e Camille sono una trilogia, però c’è un quarto libro. Come sarebbe, una trilogia con quattro libri?Sì, proprio così. Una trilogia di quattro. In effetti io avevo scritto una trilogia, poi mi è stato chiesto di scrivere un thriller che si chiama Rosy & John e così mi sono ricordato di Dumas e che i tre moschettieri erano quattro. Però siccome io non sono Dumas, allora non è un vero romanzo, è molto breve. Quindi è una trilogia di tre libri e mezzo.I tre moschettieri comincia raccontando il quarto…Io dico spesso ai giovani: leggete I tre moschettieri. Innanzi tutto perché è un romanzo popolare bellissimo, perché è molto leggero, facile da leggere. E’ una vera lezione di vita. Ci sono persone che si battono per un ideale e cosa c’è di più bello che battersi per un ideale? Questo è per definizione un libro per i giovani. E’ anche una trilogia. Si possono ripercorrere le età dei personaggi. Comincia in modo molto allegro, brillante e poi finisce con la perdita delle illusioni, quindi è un percorso di vita.All’inizio di Irene c’è una citazione di Roland Barthes: “Lo scrittore è qualcuno che assembla le citazioni, togliendo le virgolette”.In effetti questo è un po’ il mio concetto di letteratura, io penso che quando un autore scrive ricicla costantemente quello che ha sentito, quello che ha letto, quello che ha visto. Un personaggio dei miei libri è qualcuno che ho incrociato sulla metropolitana vent’anni fa. Spesso mentre scrivo mi torna un ricordo, o il ricordo di una lettura o di una conversazione che ho avuto. Quando si tratta di una lettura, scrivo il nome dell’autore nei ringraziamenti alla fine del libro. Io non credo nell’invenzione pura. Credo che noi continuamente ricicliamo. Questa idea è molto postmoderna. Noi continuamente costruiamo il nuovo con il vecchio.

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