Intervista a Roberta De Tomi

Creato il 10 novembre 2015 da Cricchementaliscrittrice
Presentati.
Ciao a tutti, mi chiamo Roberta De Tomi, abito in un piccolo paese della Bassa modenese. Dopo la 
Laurea al Dams di Bologna, con la mia dotazione di sogni e passioni, tra letteratura, arte, musica e 
spettacolo, ho iniziato il mio percorso lavorativo. Un percorso lungo, costellato da parecchie 
delusioni ma anche da bellissime esperienze e conoscenze. Così, tra una collaborazione 
giornalistica, l’organizzazione di eventi culturali, concorsi letterari, pubblicazioni e lavori e lavoretti 
di vario tipo e in diversi ambiti,  arrivo a oggi, con un sogno che, almeno in parte e per il momento, 
si è realizzato: il lavoro in ambito culturale. Nel frattempo, continuo a costruire il mio castello di 
libri e storie.

Come è nata la passione per la scrittura?

Fin dalla più tenera età sono cresciuta con le storie, prima quelle sonore o raccontate dai miei 
genitori, poi con quelle che leggevo. Ero una bambina molto fantasiosa: a ogni racconto tendevo a 
ricamare sulle vicende che ascoltavo aggiungendo dettagli o immaginando nuove versioni e finali 
alternativi. Questa immaginazione, decisamente fervida, mi accompagnava nei momenti dei giochi, 
altre occasioni in cui inventavo storie, complice una certa solitudine dovuta  alla mia indole 
introversa. Poi, dopo mille vicissitudini, trascorsi anni di storie scritte e tenute ben nascoste, sono 
arrivate le prime esperienze legate alla scrittura. I concorsi letterari: la partecipazione ad alcune 
antologie di racconti con elaborati su tematiche di una certa importanza. Un racconto in particolare, 
che allora ha lasciato un segno tra i componenti della giuria, “Giulietta non muore mai”, era 
incentrato sulla relazione sentimentale tra due donne costrette ad affrontare i pregiudizi del piccolo 
paese in cui abitavano. Questo racconto è stato incluso nella raccolta 9^ Rassegna di Scrittori 
Modenesi.  Da allora sono passati otto anni, i progetti cui ho preso parte successivamente sono stati 
numerosi, molti dei quali con esiti alterni ma sicuramente interessanti e arricchenti.   

Qual è il tuo stile?

All’inizio tendevo a utilizzare un registro altisonante e ricercato, con costrutti pesanti. Lo facevo 
perché la mia scrittura voleva essere uno specchio di situazioni dell’anima, quindi giocavo molto 
con un linguaggio “poetico”, ricco di simbolismi, lo ammetto, forse anche troppo cavilloso e 
astratto.  Negli ultimi anni, invece, il mio stile è diventato più concreto; ho iniziato a lavorare nella 
direzione dello “Show, don’t tell” o almeno ci sto provando. In questo cambio di direzione sono 
state decisive sia le collaborazioni giornalistiche, sia quella con HOW2 Edizioni, per cui ho scritto 
il manuale Come sedurre le donne. Il confronto con l’editor, Daniele Corradi, e con l’editore, Dario 
Abate, mi ha fatto davvero capire cosa significa scrivere per un pubblico di lettori. 
A oggi sto iniziando ad aprire quei cassetti in cui avevo nascosto alcuni esperimenti. Ai tempi li 
consideravo troppo arditi, in realtà avevo paura a osare. Niente di più sbagliato: se vuoi scrivere, 
devi fronteggiare le tue paure e metterti alla prova, soprattutto con quello che ti risulta più ostico. 
Provare, sempre e non temere di sbagliare (mio tallone di Achille, per anni!).  

Il genere letterario che preferisci di più?

Il fantastico, in tutte le sue declinazioni. Michael Ende è il capofila, ma la lista è infinita.

Quale genere letterario non ti piace?

 Non ho un genere letterario che non mi piace. Essendo curiosa e amante delle letture, amo spaziare. 

Come nascono le tue storie?
La maggior parte nascono da un’immagine che visualizzo, magari all’improvviso. Questa immagine 
si accende in testa; dalla sua trascrizione nasce poi la necessità di realizzare una scaletta della trama 
e dei personaggi da cui sviluppare il resto della vicenda. 
Mi è accaduto per  Follia d’ardesia, contenuto in Lucide Ossessioni (AlbusEdizioni): per giorni ho 
immaginato quella che sarebbe poi diventata la protagonista di questo thriller. Così sono passata 
alla scrittura di questo romanzo. Mi è accaduto per tutti i racconti inclusi nelle antologie. Per 
Magnitudo apparente (Lettere Animate – E-book) il discorso è un po’ più complesso, in quanto è 
nato dalla terribile esperienza legata al terremoto che nel maggio 2012 ha colpito la mia zona (e non 
solo la mia). Magnitudo apparente è stata la mia salvezza, la fuga dalle conseguenze traumatiche 
del sisma, ma anche un modo per raccontare questo evento a chi non l’ha vissuto. Inoltre, è stata 
l’occasione per parlare dei Neet. Si tratta di una condizione che conosco molto bene e di cui vorrei 
continuare a parlare. Se ripercorro gli ultimi tre anni di scrittura, vedo questo: la scrittura come 
ancora di salvezza. Il resto, è stato lavoro sullo stile, sui personaggi, sulle storie.  

In genere ti immedesimi nei tuoi personaggi?

Sempre. Lascio che si impossessino della storia. La devono vivere e io stessa la devo vivere. Salvo 
poi tornare nella realtà.  

Come è nata la tua ultima opera?

Il maledetto residuo nel cuore rappresenta una sfida. Al termine dell’editing, mi sono chiesta: non 
avrò messo troppa carne sul fuoco? I temi, i personaggi, le situazioni: è uno straripamento di 
inchiostro! Un amico, lettore forte che ha letto il libro, mi ha detto che ogni personaggio sembra 
proiettare un aspetto del mio carattere. Complesso, variegato, contradditorio, bello, brutto. Non 
importa, detesto le visioni coercitive. In realtà questo romanzo ha un cardine attorno al quale 
ruotano tutte le vicende. Si tratta dell’amore. L’amore è il residuo cui mi riferisco nel titolo: può 
essere completamento, ma può diventare un’ossessione, una dipendenza che ci impedisce di vivere. 
È il caso di una delle protagoniste, Elena, precaria non per una mera ragione sociale o economica, 
ma perché è soggiogata dall’amore per Simone che approfitta del potere che ha sulla ragazza per 
fare quello che gli pare. Ma c’è anche l’amore di Melissa, futura sposa. C’è quello di Angela, 
libertina che ha sempre scansato il “folle sentimento” per temperamento, ma che ora lo deve 
affrontare. Poi c’è l’amore di Lubiana per la danza. E l’amore di altri personaggi. Infine, ma non in 
ultima istanza, c’è l’American Dream: quel sogno che accomuna un’intera generazione (la mia) e 
che non sempre sfocia nel successo come accade alla fine dei provini di film anni Ottanta come 
Fame, giusto per citarne uno.  

Stai lavorando a qualche altro libro?

Sto lavorando a un romanzo fantastico che avevo iniziato alcuni anni fa e poi avevo abbandonato. 
Nel frattempo mi sto concentrando sulla promozione de Il maledetto residuo nel cuore, anche 
attraverso il blog omonimo. Una sperimentazione? Un sequel? Un diario? Chiamatelo come volete, 
è comunque un viaggio nel mondo di Elena che ci permette di conoscere il libro e i suoi personaggi.  

Il tuo sogno?

Riuscire a pubblicare il fantasy su cui sto lavorando. È un sogno che avevo espresso a suo tempo. 
Ho provato, ma non è andata bene, ora mi rimetto al lavoro e si vedrà. Ho un altro grande sogno: 
scrivere la sceneggiatura di un musical che fonda impegno sociale e fantastico. 
Ecco, forse sto sognando troppo, torno con i piedi per terra! 


Vorrei ringraziarti per lo spazio che mi hai concesso e ringraziare i tuoi lettori per l’attenzione. 

Contatti:

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Un abbraccio!