Intervista ad Adriano Bon alias Hans Tuzzi

Creato il 23 maggio 2012 da Sulromanzo

Oggi vi voglio raccontare di una festa dedicata ai libri più difficili da trovare in libreria e alla piccola editoria.

Piccoli editori, Mantova 2012 è la terza edizione di una rassegna letteraria dedicata ai piccoli editori che vede coinvolti insieme biblioteche, librerie e lettori, una festa al Centro Culturale Gino Baratta di Mantova per l’editoria di qualità che ha rilevanza nazionale. Per darvi un’idea letteraria del prossimo week end, Adriano Bon alias Hans Tuzzi, ospite della rassegna domenica 27 maggio ha regalato a Sul Romanzo un’intervista in anteprima.

Chi è Adriano Bon? In che rapporto sta con Hans Tuzzi?

Adriano è un sessantenne che ha vissuto molto e pubblicato poco, Hans è arrivato nel 2000, e ha pubblicato molto vivendo alle – o sulle – spalle di Adriano.

Signor Bon lei ha iniziato a scrivere pubblicando saggi sulla bibliofilia col suo vero nome e in seguito si è dedicato al romanzo giallo utilizzando lo pseudonimo di Hans Tuzzi.

Perché ha scelto di alternare la scrittura di saggi e di romanzi?

Non è esatto: con il mio nome ho firmato negli anni Settanta saggi sulla letteratura italiana e altre cosette. Tuzzi è nato proprio con il primo saggio di bibliofilia – Collezionare libri – perchè non volevo essere giudicato sulla base del mio nome, e poi, visto il successo, ha prevaricato anche nel secondo titolo, Il Maestro della testa sfondata, primo dei miei romanzi. Non si può dire che ho scelto di alternare i due generi: scrivo in parallelo saggi e romanzi, poi le regole dei calendari editoriali suggeriscono l’alternanza.

Perché ha scelto uno pseudonimo per la sua identità letteraria da romanziere? Che origine ha questo nome?

Ripeto, lo pseudonimo non riguarda soltanto il romanziere, bensì anche il saggista, e ho detto il perché della scelta. Vorrei però aggiungere che va messo in conto quello stesso esclusivismo fisico e morale che ispirò a Stendhal l’amore per la mistificazione. Ricorda? “Je porterais un masque avec plaisir, je changerais de nom avec délices.” Aggiunga una propensione per la vita appartata, un tratto che amo credere comune a coloro per i quali la letteratura è necessità, non mestiere.

Il capodivisione Tuzzi è un personaggio dell’Uomo senza qualità di Musil che considera con molta freddezza, ma non con indifferenza, la relazione pericolosa che sua moglie sta instaurando con il protagonista del romanzo, e mette in atto una strategia di condotta dignitosa e sottile. Come non fraternizzare? (Mi accorgo che, detto questo, è bene aggiungere che io non mi sono mai sposato).

Lei si sente più saggista o romanziere?

Mi sento più Hans Tuzzi. Fuor di battuta, amo un certo ibridismo nei generi, e Gli occhi di Rubino è forse il mio vertice di eccellenza, sotto questo aspetto. Non possiedo, comunque, un’intelligenza sufficientemente esatta per essere un bravo saggista, né sufficientemente arida per essere solo un saggista.

Lei ha lavorato per le maggiori case editrici italiane come critico, saggista e infine romanziere. C’è una differenza nella struttura e nello stile di lavoro delle case editrici che pubblicano saggi e in quelle che propongono sul mercato romanzi?

“Le maggiori case editrici”: detto così, sembra ch’io sia un qualcuno... In genere, ma è una mia impressione, la saggistica aveva personale più vicino, per preparazione ma anche per certi vezzi, al mondo accademico. Questo ai giovani profani non risultava immediatamente percepibile con le redazioni di narrativa. Bastava una conversazione un po’ approfondita per farti ricredere.

Com’è cambiato nel tempo il mondo editoriale italiano? Com’è cambiato il lettore?

Volendo riassumere in una battuta, l’industria culturale ha più industria e un po’ meno cultura. Non che si facciano libri meno belli, o li si facciano meno bene. È proprio cambiata la prospettiva. Ci sarebbe da fare, poi, un lungo e doloroso discorso sul mercato del lavoro: l’abbondanza di laureati in materie umanistiche ha fatto sì che, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, si venisse a formare una editoria fondata sul precariato e su forti turn over, nonché sul portare all’esterno, affidandole inizialmente persino al vecchio personale pensionato, le fasi di lavorazione più squisitamente editoriale. Nessuno, invece, si è mai sognato di affidarsi a società di marketing esterne. Chissà perché. Per lo stesso motivo, un marketing man può dire al suo editore “io vendo libri come vendo scarpe” e ricevere in risposta un raggiante sorriso. Se dicesse a un industriale calzaturiero “io vendo scarpe come vendo libri” riceverebbe, giustamente, un calcio nel lato B. Il lettore è cambiato in meglio: i pochi iperspecializzati e iperculti continuano a esistere, ma, ed era ora, si è allargata la base “media”, che grazie alla rete ha anche maggiori occasioni di confronto e di scambio. Non mancano ingenuità, leggerezze e presunzioni superficiali (spesso si trovano lettori che letteralmente non sanno di cosa parlano, eppure parlano) ma, nell’insieme, evviva.

Quando scrive saggi chi sono i suoi lettori? E per i romanzi, crede che i suoi diversi pubblici abbiano caratteristiche diverse?

Sempre e comunque scrivo per un lettore più intelligente, più colto e più esigente di me. Non lo conosco, non so se mi legge, ma so che c’è. Che poi questo lettore abbia una personalità schizoide, e la sua metà che legge i miei romanzi non legge i saggi e viceversa, è più che logico. Anche se alcuni miei titoli risultano una lettura godibile indipendentemente dal genere.

Nei suoi romanzi coniuga passione bibliofila e trame noir. Com’è nata in lei questa scelta stilistica e di contenuti?

Non soltanto bibliofilia, direi meglio collezionismo. Che è uno dei tanti modi curiosi di porre un diaframma fra sé e la morte. proprio come scrivere. Il primo poliziesco – il Maestro – fu tuttavia una scommessa: scrivere un giallo che parlasse con competenza del libro antico. Consideri che allora la moda di accostare crimine e bibliofilia non era diffusa come è accaduto poi.

Nei suoi romanzi Milano fa da sfondo a scenari noir da cui emerge una società in crisi d’identità. Che rapporto c’è tra il luogo in cui è ambientata una vicenda e la sua Milano?

Il Novecento ha vissuto cambiamenti veloci; nato alla metà del secolo, non ho conosciuto quelli tragici delle due guerre mondiali ma quelli più sottili di una società mutata senza traumi apparenti dal suo stesso interno. Se mia nonna ha fatto in tempo a conoscere tre imperatori e, nata prima dell’aeroplano, a vedere l’uomo calpestare il suolo lunare, io ho visto sparire rapidamente l’Europa rurale ancora ben viva sino ai primi anni Sessanta; ho visto smantellare le conquiste sociali ottenute in centocinquant’anni (non ancora del tutto, ma la strada è segnata); ho assistito alla morte delle ideologie, sostituite da quelli che a me paiono balbettìi e borborigmi, proprio come alla generazione dei miei padri apparivano balbettìi e borborigmi gli slogan che noi si gridava nel Sessantotto. E mi trovo in difficoltà con le nuove tecnologie. In Italia Milano, la città dove son nato e ho quasi sempre vissuto, ha riassunto e rappresentato meglio di altre queste contraddizioni. Nel suo smarrimento, è il luogo che conosco meglio: vedo benissimo anche la città che ormai non c’è più, nelle cui strade faccio muovere Melis, che di questo mutare dei tempi è testimone avvertito.

Quand’è che ci si può definire scrittori?

Quando, senza saper spiegare come, ci si trova padroni di uno stile.

In quanto collezionista di libri antichi e bibliofilo cosa pensa degli e-book e del futuro dell’editoria?

A fine Ottocento, quando l’impero ottomano stava per collassare, l’Europa impazziva per le turqueries; alla morte dell’Urss e del suo impero tutti volevano gli orridi orologi sovietici e qualcuno persino la Trabant. Oggi, una diffusa passione per l’oggetto libro – la carta, la rilegatura, capitelli di seta, incisioni protette da velina – farebbe pensare il peggio. Ma sono ottimista. Si continuerà comunque a leggere. L’importante non è il supporto ma il contenuto. L’e-book imita la forma libro, che esiste da millesettecento anni, ma ha considerato che la schermata del computer si srotola come un papiro, che fu la forma del libro per cinquemila e più anni?

ADRIANO BON scrittore e studioso milanese, con lo pseudonimo Hans Tuzzi - nome di un personaggio del romanzo "L'uomo senza qualità" di Robert Musil - ha scritto una serie di romanzi noir ambientati a Milano, che hanno come protagonista il commissario Norberto Melis. È autore inoltre di testi di critica letteraria di stampo divulgativo e di fortunati saggi di bibliofilia. Insegna al Master in editoria cartacea e multimediale dell'Università di Bologna, diretto da Umberto Eco.

Adriano Bon, è ospite della rassegna Piccoli Editori, Mantova 2012 domenica 27 maggio alle ore 11. Conversa con Simonetta Bitasi a proposito dei Professionisti dell’Editoria.

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