Alfredo Castelli, nato a Milano nel 1947, è un personaggio poliedrico e dai molti interessi: autore televisivo e radiofonico, sceneggiatore, giornalista, saggista e storico del fumetto (nelle vesti di divulgatore ha scritto numerosi testi sul fumetto di fine 800 ed inizi del 900). Tra i massimi autori del settore è tra i più prolifici interpreti del fumetto italiano. Giovanissimo, nel 1965 crea, con Paolo Sala,
Le sue serie vengono tradotte in una quindicina di Paesi. Dal 1971 collabora con l’editore Sergio Bonelli iniziando con storie per Zagor, Mister No e due episodi di Un uomo un’avventura. Nel 1982 crea Martin Mystère e tutte le edizioni correlate, e di cui cura personalmente il licensing ed il merchandising.
Nel 1965, Paolo Sala, co-creatore della fanzine “Comics Club 104” e io bussammo presso tutti gli editori di fumetti di Milano per cercare di venderne qualche copia. Passammo anche per la Bonelli, che allora si chiamava Araldo; ci aprì Liliana Gentini, la prima persona della casa editrice che ho conosciuto, ancor oggi in prima fila negli uffici di via Buonarroti, la quale ci disse che ci avrebbe fatto parlare con “Sergio”. Io non avevo la minima idea di chi fosse: il suo nome non compariva negli albi, in più allora era estremamente schivo e solo quelli del mestiere sapevano di chi si trattasse. Con mia sorpresa acquistò una decina di copie: un atteggiamento generoso nei confronti di chi dimostrava di amare i fumetti che ha portato avanti fino alla fine.
Quasi immediatamente dopo, mi offrì di scrivere una storia del fumetto italiano per la “Collana Oceano”; poi mi affidò qualche sceneggiatura di “Carabina Slim” per Bernadette Ratier di “Aventures et Voyages”, con cui la Bonelli era in stretti rapporti di lavoro. Scrissi la prima storia per Zagor, “Molok”, verso il 1968, anche se fu pubblicata solo nel 1971.
Sei uno degli autori che ha iniziato l’attività in età molto giovane, hai lasciato la facoltà di architettura tuffandoti nei mille aspetti della creatività, hai lavorato per giornali, radio, televisione… alla fine, iniziando come il primo “fanzinaro” italiano, sei rimasto nel settore fumetto: perché?
In realtà le mie collaborazioni televisive e d’altro genere sono sempre state episodiche,
Un aspetto, una delle tue tante sfaccettature, è quella di saggista e autore di volumi sulla storia del fumetto, soprattutto degli albori delle nuvolette, dalla fine dell‘800 in poi. Da cosa deriva tale scelta?
Al solito, al mio interesse nei confronti del fumetto. Mi sono dedicato in particolare agli albori di quel mezzo espressivo in quanto non esiste molta documentazione in proposito e quella che esiste è, in genere, incentrata soltanto su pochi argomenti ed è spesso talmente accademica da risultare di difficile lettura.
Aslan Sukur: copertina Turca stata rifatta sull'originale di Alessandrini N.112
Martin Mystère: viste le origini (gestazione di 7 anni) e i vari tentativi fatti con diversi editori, si può dire che ti sei accanito con lui, lo hai voluto con una determinazione forse unica rispetto al resto di tutta la tua produzione. Perché?
E’ vero e non è vero. Effettivamente la prima incarnazione del BVZM, allora battezzato “Allan Quatermain”, risale al 1975: presentai il progetto a “Il Giornalino” che non lo accettò. In quell’epoca un rifiuto non costituiva certo un dramma: il mercato funzionava molto bene, ed esistevano varie riviste che proponevano serie a episodi; se una cosa non andava se ne proponeva un’altra, senza troppi problemi. L’idea scartata poteva poi essere ritirata fuori al momento opportuno, come accadde con Allan Quatermain che uscì nel 1979 in “SuperGulp”. Dopo la chiusura del settimanale, la riproposi a Bonelli nella formula attuale nell’80; un paio di anni per la preparazione di un pacchetto di storie e siamo subito nell’82.
Martin non è l’unico mio personaggio a lunga gestazione. Avevo proposto “Zio Boris”, con l’ignobile nome di “Cattiverius Jr” alla sorelle Giussani nel ’64; non uscì mai ma venne pubblicato lo spin-off “Scheletrino”, che era un personaggio della serie poi noto come “Skull”. Nella sua versione definitiva Zio Boris uscì sei anni dopo, in “Horror”, nel 1970. Per quanto riguarda “Gli Aristocratici”, avevo scritto la prima sceneggiatura nel 1971 e l’avevo proposta alla Lug di Lione, per la quale lavoravano molti autori italiani. L’avevano accettata, ma pagavano talmente poco che preferii tenermela e utilizzarla in tempi migliori. Uscì nel 1973 nel “Corriere dei Ragazzi”, illustrata da Tacconi.
L’uscita di Martin Mystère non denota dunque una particolare determinazione. Nei casi del BVZM, di “Zio Boris”, degli Aristocratici, ero convinto che il prodotto proposto fosse buono e valesse la pena di riprovarci. Tanti altri progetti, invece, sono “morti lì”, non ho più tentato di riprenderli e me ne sono del tutto dimenticato.
Mystère e soprattutto tu siete dei grandi estimatori e fruitori della tecnologia, diciamo che siete sempre un po’ più avanti rispetto alla massa. Quando è uscito nell’82 ha rivoluzionato in qualche modo il concetto di fumetto, domani sarà il primo bonelliano a lasciare la carta e finire su tablet, ipod, e varie altre diavolerie tecnologiche?
Più che “estimatore” userei il termine “curioso”: mi interessa conoscere e per quanto mi è possibile comprendere le nuove tecnologie perché prima o poi dovremo averci a che fare, e vale la pena di essere preparati. Non è vero (ne sarei onorato) che MM “ha rivoluzionato in qualche modo il concetto di fumetto”; al massimo ha introdotto nuove tematiche nella linea Bonelli aprendo la strada ad altre pubblicazioni e ha contribuito a spezzare la barriera che esisteva tra il cosiddetto “fumetto popolare” e il cosiddetto “fumetto d’autore”. Nel campo dell’elettronica/informatica è stato il primo bonelliano a tentare certi esperimenti (come, per esempio, un primitivo videogame per ZX Spectrum),
Martin Mystère ha la residenza a NY con un indirizzo vero: è stato un omaggio a Sherlock Holmes o è solo un tuo “vezzo” visto che anche Gli Aristocratici abitano a Londra all’11/A di Belgrave Square…
A dire la verità “Gli Aristocratici” hanno avuto un indirizzo soltanto in occasione della ristampa de “Il Giornalino” intorno al 2000; prima abitavano semplicemente in una palazzina da qualche parte di Londra. In effetti, come ben sapevano Arthur Conan Doyle o Rex Stout, fornire un indirizzo verosimile (il N. 221B di Baker Street di Sherlock Holmes, la casa di arenaria nella 35a Strada Ovest di Nero Wolfe) contribuisce a rendere un personaggio più reale; nel mio caso ho esagerato un po’, perché il N. 3 di Washington Mews non è un indirizzo solo verosimile, ma vero. L’avevo scelto perché quella casa (ora un po’ lasciata andare) mi piaceva molto; non immaginavo che molti lettori si sarebbero recati a fotografarla lasciando perplesso il residente, con cui poi ho preso contatto per scusarmi del disturbo. Anche in Italia il BVZM ha un indirizzo vero, ma stavolta ho voluto essere sicuro che non ci abitasse nessuno: al 2 di via dell’Anguillara a Firenze, sorge un piccolo ufficio poco utilizzato del Comune/Zona 1, con cui all’epoca avevamo realizzato alcune iniziative, che ci aveva permesso di utilizzarlo come residenza ufficiale fiorentina di Martin nel fumetto.
Sta di fatto che, un po’ a causa dell’indirizzo esistente, un po’ perché sono usciti parecchi articoli scritti da me ma firmati “Martin Mystère”, un po’ altre ragioni ancora, molti lettori del Detective dell’Impossibile si divertono a credere che esista davvero e che io sia solo il suo umile biografo, come io stesso amo definirmi: un onore riservato a non molti personaggi, tra cui i già citati Holmes e Wolfe.
All’epoca del decennale anticipasti una miriade di novità che sarebbero seguite all’evento: la targa omaggio allegata all’albo, il costruire storie autoconclusive in due soli albi, appuntamenti ed incontri con vendita di gadget… ecc. ecc. Cosa ci aspetta durante e dopo il trentennale?
Dal decennale al trentennale è passato – guarda caso – un ventennio e, nel bene e nel male, in tutto questo tempo di novità ce ne sono state parecchie; MM ha raggiunto la maturità (per così dire) quindi non pretendere troppo. Il numero dell’anniversario, con il suo omaggio cartaceo l’avete già visto. Gli incontri con vendita di gadget (tra cui prossimamente una riproduzione della copertina del N. 320 in 3D lenticolare) continuano grazie all’Amys, cioè all’Associazione Nipoti del Buon Vecchio Zio Marty. Degli esperimenti informatici vi ho già parlato. Gli “ecc. ecc.” li troverete annunciati nell’albo al momento opportuno.
Nei suoi trent’anni di vita Martin risulta primo in molte classifiche; tra queste è il personaggio che ha le edizioni fuori collana più numerose di tutti; anzi, senza dubbio hai “inventato” e sperimentato le edizioni collaterali: gli special, gli almanacchi, i bis,
Lo “Special” estivo con relativo allegato è nato in parte per rinforzare la serie, che – erroneamente – sembrava prometteva male, e per sperimentare se la presenza, appunto, di un allegato poteva aumentare le vendite. Le altre iniziative, invece, sono nate per gli stessi motivi per cui nascono tutti i libri, le riviste, i film, i telefilm: l’impressione di aver qualcosa da dire al di là del prodotto principale, e che quel qualcosa possa interessare i lettori.
Tu da buon titolare del personaggio hai avuto nei suoi confronti periodi con diverse fasi di affezione: quella iniziale un po’ distaccata, quella evolutiva alquanto altalenante e quella matura di quasi completa identificazione: ce le spieghi meglio?
All’inizio ero un po’ distaccato in quanto il personaggio non mi convinceva del tutto: basta leggere la ristampa della prima storia sul N. 320 per capire che era una sorta di James Bond di serie B, non molto nelle mie corde. Poi Martin ha assunto la sua attuale personalità e mi ci sono affezionato, con alti e bassi qualitativi dovuti a vari fattori di vario genere, tra cui non ultimo lo scorrere del tempo. Trent’anni non sono pochi e credo di essere l’editor della Bonelli che si è occupato più a lungo del proprio personaggio senza affidarne la tutela ad altri curatori; non è detto che questo sia un bene.
Sei, tra le tante peculiarità, anche il primo autore ad essersi occupato direttamente del merchandising e licensing dei suoi personaggi, parlaci un po’ di quest’aspetto “commerciale” legato al fumetto e del perché secondo te in Italia è così poco sviluppato come settore
Valgono le considerazioni riferite alle “nuove tecnologie”. Anche il licensing, se ben gestito (il rischio è quello di trascurare il prodotto principale, cioè il fumetto, in favore dei derivati) può rivelarsi un prezioso alleato: un ottimo esempio è quello di “Diabolik” che, grazie al merchandising, ha abbondantemente recuperato le perdite dovute alla crisi dell’editoria. Il settore non si è mai sviluppato sia perché esistono pochi personaggi adatti (in estrema sintesi: per funzionare nel licensing non basta la popolarità, ma un personaggio dev’essere “coccolabile” come Snoopy o Lupo Alberto, leader assoluto del settore, oppure “giocabile” come un soldatino, come Batman o Diabolik), sia perché gli editori non hanno mai creduto troppo ai prodotti derivati e non hanno mai investito in strutture anche minime per espandere l’attività di licensing. La Bonelli non ha personaggi coccolabili e ha pochi personaggi “giocabili” (primo tra tutti Zagor). In particolare Sergio ha sempre detestato e persino un po’ disprezzato gli sfruttamento collaterali non editoriali e ha sempre cercato di scoraggiarli; quel poco che è stato fatto l’ha più che altro subìto, magari, come nel mio caso, solo per amicizia nei miei confronti.
A proposito di iniziative commerciali fuori dalle pagine dell’albo, parlaci della serie animata “ispirata” a M.M., perché in realtà a dispetto del nome non è il cartone di M.M., vero?
Come ho scritto molte volte, una versione animata di Martin Mystère rigorosamente fedele al personaggio sarebbe stata noiosissima, come quella di “Corto Maltese”. Una versione solo un po’ adattata sarebbe stata né carne né pesce, come quella di “Diabolik”.
Tra le varie iniziative che vedono protagonista Mystère, ci sono anche i fascicoli o le campagne in cui il nostro professore veste i panni di testimonial (e anche quest’aspetto è una caratteristica tipica del personaggio, condivisa forse solo con Lupo Alberto per costanza e varietà). Questo da un lato ha contribuito a far cambiare il concetto di “fumetto” elevandolo culturalmente e bruciando definitivamente il luogo comune che lo identificava come mezzo “ingenuo” per fruitori “ingenui”, e dall’altro ha fatto entrare nella realtà del tessuto sociale il personaggio. Quale è la tua chiave di lettura?
Così come era contrario ai gadget, Sergio Bonelli era favorevole a operazioni editoriali di carattere culturale come quelle che hai appena descritto e le appoggiava anche se quasi sempre economicamente in perdita: come tu stesso hai detto, simili iniziative possono infatti “elevare culturalmente” il nostro mezzo di comunicazione favorito. O, se non altro, avvicinarlo al mondo della scuola e dell’istruzione, il quale pare aver accettato Martin Mystère senza riserve, cosa di cui sono molto fiero. Posso aggiungere che il personaggio si presta piuttosto bene a questo tipo di utilizzazione, perché le sue caratteristiche di tuttologo e di curioso, che vive ai nostri giorni e non è imprigionato da uno specifico genere (il western, la fantascienza, l’horror e via dicendo), gli permettono di occuparsi di qualunque argomento senza snaturarsi.
Martin è un personaggio sospeso tra due mondi, quello reale e quello di fantasia: ha una data di nascita precisa e dunque invecchia contrariamente alla maggioranza dei character a fumetti, ma non precisamente come nella realtà (oggi dovrebbe “festeggiare” i 70 anni!): come si concilia ciò?
A questa domanda ho ormai pronta una raffica di risposte fisse, tra cui non ti resta che scegliere:
- a) come ormai la scienza ha accertato al di fuori di ogni dubbio, esattamente all’opposto di quanto accade a cani e gatti, i personaggi di fumetti invecchiano di un anno in circa otto anni della vita delle persone reali; quindi, a partire dal 1982, per Martin sono trascorsi circa 4 anni;
> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="250" width="270" alt="Intervista ad Alfredo Castelli per i 30 anni di Martin Mystère >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-50289" /> - b) nel racconto “Affari di famiglia” lo zio Paul Mystère ha regalato a Martin una specie di elisir di lunga vita ricavato da una rara pianta indiana che, in una certa misura, rallenta l’invecchiamento;
- c) settant’anni non sono poi così tanti: in fondo Harrison Ford, che non è un personaggio di fantasia, è nato diciassette giorni dopo Martin e l’anno scorso ha avuto a che fare con “Cowboys e Aliens” in un film che – come pochi sanno – avrebbe potuto essere intitolato “Tex Willer” [1] ;
- d) quando Martin sarà troppo vecchio per continuare come protagonista di un fumetto avventuroso, la testata verrà trasformata in un sitcom tipo “Villa Arzilla” con gag sulla terza e la quarta età;
- e) Martin è un personaggio di fantasia; per tornare a Rex Stout, questi scrisse a proposito di Nero Wolfe: “Potrei farlo invecchiare davvero, creargli nuovi problemi legati al mondo reale e non più a una sorta di 1939 cristallizzato. Ma i lettori gli vogliono bene così com’è, e, beato lui, può restare nel suo mondo”.
Martin ha una famiglia: si è sposato e spesso affronta anche quelle che sono le problematiche di convivenza. In questo contesto cosa rappresentano, oltre ad essere “spalle” per l’avventura, le figure di Diana e Java.
Java è il classico amico che tutti vorremmo avere: generoso, fedele, leale, forte, intelligente e in qualche modo invisibile,
Diana, invece, è forse meno perfetta ma più concreta e reale; ama riamata Martin e non gli lesina critiche e soprattutto stimoli. Per una volta mi permetto di fare un complimento a mia moglie e dire che per parecchi tratti dell’attuale Diana (trent’anni fa era una specie di Minni isterica e gelosa) mi sono ispirato a lei. Ti sei dimenticato di chiedermi di Angie, di cui non parlerò per non incorrere nelle ire di Diana.
A proposito di famiglia, lavori con Alessandrini dal ‘72 quindi, se festeggiamo i 30 anni di MM, tu festeggi i 40 di collaborazione con Giancarlo. È quasi un matrimonio! Cosa ha rappresentato e rappresenta per te, al di là del rapporto umano, l’autore di Jesi per Martin Mystère?
Tralascio il mio apprezzamento per i disegni di Giancarlo che ho già fatto in non so quante occasioni; mi piace sottolineare come Alessandrini rappresenti un fortissimo elemento di continuità, grazie alle copertine della serie, che la contraddistinguono fin dal primo numero. Non a caso Martin Mystère è l’unico personaggio che, insieme a Zagor, non ha mai cambiato copertinista.
Invece, contrariamente a quanto mi hai chiesto, voglio parlare proprio del rapporto umano che ci unisce da quando abbiamo iniziato la nostra collaborazione presso il glorioso “Corriere dei Ragazzi”. Dovete sapere che, come in ogni matrimonio che si rispetti, Giancarlo e io litighiamo periodicamente (una volta ogni paio d’anni) e in modo piuttosto feroce, di solito per qualche ragione legata alle copertine. Sul momento la faccenda sembra vitale per entrambi e pare impossibile trovare un accordo, così la crisi si trascina per qualche giorno; poi, sbollita l’ira, tutto si risolve in una chiacchierata di mezz’ora.
Prima abbiamo parlato di quello che ci aspetta dopo il trentennale che rappresenta l’oggi… ma domani? Insomma cosa ci aspetta nel “cinquantenario”!
Dunque. Ammesso e non concesso eccetera eccetera, fatti tutti i debiti scongiuri, toccato tutto quanto è toccabile e anche pubblicamente non toccabile, al cinquantenario di MM io avrei 85 anni e lui 90. Insomma, a parte Villa Arzilla, che cosa vuoi aspettarti?
Bene. Prima di fare gli auguri a te a Martin e a tutta la famiglia “Mysteriosa” dall’Editore, ai collaboratori e ai lettori, ti chiedo un breve scritto su qualcosa di misterioso a cui tieni particolarmente e che non ti ho chiesto.
Mi sembra giusto, visto che fino a qui non ho scritto abbastanza.
Troveremo Alfredo Castelli più avanti nel corso dello speciale con un articolo scritto per l’occasione per il nostri sito. Non mancate!
Note:
- Altro che lunga gestazione di Martin Mystère!
Cowboys and Aliens è uscito nel 2011 e io ne ho sentito parlare per la prima volta nel 1996. Ervin Rustemagic, allora agente della Bonelli, era anche socio insieme a Scott Rosenberg di un Entertainment Studio di Hollywood, la Platinum. Gli Entertaiment Studios sono agenzie ad alto livello che gestiscono progetti di film prendendo contatti con i possibili registi, i possibili attori, addirittura stendendo una pre-sceneggiatura e realizzando bozzetti preparatori per i costumi e le scenografie; poi, in un’operazione chiamata “pitching”, cercano di venderlo a qualche casa di produzione, possibilmente una “Major”. L’”Hype” (idea della trama riassunta in uno slogan) del film che la Platinum voleva vendere era già presente nel titolo provvisorio: uno scontro tra cowboys e creature venute dallo spazio. Un vero soggetto non era ancora pronto ed Ervin chiese a Bonelli se era possibile utilizzare Tex e i suoi pards nella parte dei buoni. Sergio – giustamente – rifiutò, in quanto riteneva che Tex non avesse molto a che vedere con un racconto di fantascienza. Il progetto così continuò con un protagonista generico.
Perché battezzare un film con il nome di un personaggio praticamente sconosciuto in USA, spendendo per di più parecchio denaro per acquisirne i diritti? Ogni volta che negli Stati Uniti una Major annuncia il titolo o il soggetto di una nuova pellicola, si scatena un’orda di individui che, in buona o cattiva fede, sostengono di essere stati plagiati, i quali vengono incoraggiati a fare causa da avvocati che li patrocinano in cambio di un’elevata percentuale del ricavato in caso di vittoria. Prima di investire in una produzione multimilionaria, le Majors vogliono essere tranquille dal punto di vista legale, sicché le cause costituiscono un intralcio che porta via tempo e molto più denaro di quello pagato in media per l’acquisizione dei diritti. Se il film viene invece annunciato come tratto da un fumetto, un romanzo o un’opera preesistente, nessuno ha nulla da ridire. “Cowboys and Aliens” ebbe moltissime cause di autori che sostenevano di aver inventato questo tipo di contrapposizione; le vinse tutte, anche perché uno dei primi resoconti di scontri tra cowboy e mostri venuti dallo spazio era The Damned Thing scritto da Ambrose Bierce nel lontano 1893. Le cause costarono varie centinaia di migliaia di dollari e il pitching subì un ritardo di un paio d’anni. [↩]
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