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Intervista ad Annarita Curcio, autrice del volume Il Dragone d’Acciaio

Creato il 08 giugno 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Questa volta ci occupiamo di qualcosa di diverso dal cinema, ma che ha a che fare comunque con l’espressione artistica su un territorio, quello cinese, la cui conoscenza è diventata fondamentale a livello globale. Annarita Curcio intervista alcuni tra i principali artisti cinesi nel suo libro, Il Dragone d’Acciaio. L’abbiamo intervistata per parlarci della sua esperienza:

Banalmente, come è nato questo progetto? Ovvero, come mai questo asse Roma (dove vivi)/Beijing (dove risiede il cuore delle exhibition cinesi)? Qual è il tuo rapporto con la Cina e qual è il tuo rapporto con l’arte. Come si sono incontrati?

Mi occupo da parecchi anni ormai di fotografia, tuttavia non ho mai smesso di coltivare i miei primi due campi di interesse, ovvero cinema e arte.

Come sono arrivata alla Cina?
Qualche anno fa ho pubblicato il mio primo libro (Le icone di Hiroshima. Fotografie, storia e memoria)  il quale verteva sul Giappone e su un suo periodo storico molto cruciale e piuttosto recente che lo ha profondamente segnato: lo sgancio di due bombe atomiche da parte degli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki, il 6 e 9 agosto del 1945.

Ora, sto forse per dire un’ovvietà, ma è utile per comprendere il mio percorso: il Giappone è notoriamente debitore nei confronti della Cina per una serie di motivi, dalla Cina infatti il paese nipponico deve la sua scrittura ideogrammatica, nonché il buddismo, il tè, il confucianesimo; quindi era per me inevitabile approdare alla Cina anche per meglio comprendere lo stesso Giappone.
Inoltre, l’ascesa della Cina a livello internazionale è diventato un fatto non solo inconfutabile ma ha assunto una portata tale da esigere una riflessione. Insomma, le decisioni di Pechino sono diventate determinanti anche per noi. Ovviamente io non potevo che farlo dal punto di vista delle arti visive. Le quali, a partire dal 1979, anno di nascita del primo movimento d’avanguardia – il gruppo Star di cui faceva parte anche un giovane Ai Weiwei – che si poneva in aperto conflitto con i dettami imposti all’arte da Mao nei suoi quasi quaranta anni di potere, conoscono un grande rinascita, attraversate come sono da una voglia di sperimentare e di uguagliare lo sviluppo dell’arte occidentale.

Come sono stati selezionati gli intervistati? Li conoscevi già?

Alcuni di loro sono molto famosi anche in Occidente, le loro opere sono regolarmente in mostra alla Biennale di Venezia, a Documenta a Kassel o in gallerie rinomate di città come New York e Londra. Mi riferisco ad esempio a Haung Rui, membro anche lui del gruppo Star, pioniere dell’arte sperimentale cinese, a Liu Bolin, ai Gao Brothers, a Zhang Dali, a Li Wei, insomma era inevitabile chiedere proprio a loro di essere intervistati. Mi rendo conto che dieci interviste non sono molte, in quanto quello dell’arte sperimentale cinese è un mondo fatto di mille individualità diverse, ma anche di mille movimenti, mi vengono in mente il Mao Pop, la Scar Art, il Cynical Realism. Tuttavia, mi auguro di aver raggiunto al meno in parte il mio scopo: offrire al lettore l’opportunità di conoscere “dal di dentro” gli sviluppi dell’avanguardia artistica cinese, attraverso, appunto, la testimonianza diretta di chi la sperimentazione, la dissidenza, la censura – tutte tematiche, queste, che emergono durante le mie conversazioni con questi dieci artisti – l’ha vissuta in prima persona.

Come saprai l’arte e cultura cinese sta esplodendo e c’è una vaga polemica per cui il favoritismo nei confronti degli artisti cinesi crea uno scarto enorme di qualità. Come ti poni davanti a questa discussione?

E’ un fenomeno piuttosto complesso. Il mercato dell’arte, i collezionisti e i curatori vedono nella nuova arte cinese un polo d’attrazione molto forte. Nel 2013 a un asta a Hong Kong, l’opera The Last Supper dell’artista Zeng Fanzhi è stata venduta a un acquirente anonimo alla cifra di 23 milioni di euro. Un vero record! Alcuni degli artisti che ho intervistato sono piuttosto confusi a riguardo e non nascondono una certa disapprovazione rispetto al potere del mercato e dei collezionisti che fanno perdere a certuni loro colleghi  l’autenticità della ricerca artistica, di fronte a certe opere viene, infatti, il sospetto che taluni preferiscano compiacere il gusto occidentale piuttosto che assecondare il proprio furor artistico al di là delle tendenze e delle mode.

La cultura cinese è molto distante da quella occidentale e segue logiche totalmente diverse, tra le quali una certa manipolazione della verità. Come si può leggere tra le righe il vero senso della nuova arte cinese nella tua raccolta?

La mancanza di libertà di espressione, la censura sono disfunzioni  della Cina note ai più, questo ha profondamente influenzato l’opera degli artisti cinesi, alcuni di loro hanno infatti lasciato la Cina per non tornarvi mai più; altri, lo stesso Ai Weiwei, Zhang Huan, Zhang Dali, Lin Tianmiao, hanno scelto anche loro l’autoesilio, salvo poi decidere di ritornare a vivere nel loro paese. Si sa, i media cinesi sono sottoposti a censura, l’accesso alla verità di informazione è in Cina piuttosto complicato, per questo i Blog, pare ce ne siano qualcosa come 50 milioni tra cui quello di Han Han, forse il blogger più famoso, godono di una credibilità molto alta. Alcuni degli artisti che ho intervistato sono stati perseguitati dalla censura eppure non hanno mai smesso di credere in quello che facevano, nei più giovani invece si può riscontrare un certo “disimpegno”, non ne vogliono che sapere di combattere il sistema, di chiedere riforme in senso democratico o di denunciare i mali della loro società! D’altronde, va anche detto che a partire dal 2000 l’atteggiamento del governo cinese nei confronti dell’arte è mutato, esso ha compreso che ostacolare i propri artisti significava fare un clamoroso autogol, al contrario appoggiarli avrebbe implicato lanciare un messaggio vincente all’esterno. Infatti, giusto per fare un esempio tra i tanti, che la dice lunga su questo cambio di rotta, nel 2005 è nato a Shanghai il MOCA, un centro di arte contemporanea supportato da aiuti governativi, la cui mission è proprio quella di mostrare il meglio dei più giovani artisti cinesi.

Domanda di rito in questo caso. Cosa sai e cosa ne pensi di Ai Weiwei? A livello artistico, politico e culturale.

Ai Weiwei è senza alcun dubbio l’artista cinese più conosciuto in Occidente. Cosa penso di lui? Confesso di non apprezzare ogni sua opera o performance, ma come si sa Ai Wewei non è solo un artista, è anche architetto, fotografo, disegnatore, e soprattutto attivista politico. E’ un commentatore molto acuto dei mali della società cinese, ammiro  il suo coraggio, è sicuramente un gran comunicatore dotato di carisma e validissime argomentazioni. Dalle pagine del suo Blog, che ha tenuto dal 2006 al 2009, anno in cui è stato chiuso dalle autorità per i suoi contenuti politicamente scorretti, si può facilmente evincere la statura dell’intellettuale, un certo gusto per le provocazioni e per il paradosso dietro cui di nasconde però il dolore per un popolo, quello cinese, che ha rinunciato da molto, troppo tempo a opporsi a ingiustizie e abusi di potere. Credo che questo prolifico artista avrà ancora molto da dire, e francamente me lo auguro!

Gianluigi Perrone



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