Intervista alla egittologa Francesca Pontani

Creato il 18 luglio 2015 da Isabelje60754 @IsabelJE60754


Francesca Pontani ha conseguito la laurea quadriennale in Lettere, indirizzo Egittologia, con il massimo dei voti presso l’Università di Roma La Sapienza, discutendo la tesi dal titolo: Kahun. Città del Medio Regno.
Ha partecipato a numerose campagne di scavo archeologico, come l’indagine condotta presso il Tempio della Magna Mater sul Palatino a Roma, diretta dal Prof. P. Pensabene e lo scavo che ha interessato la sommità dell’antica acropoli della città etrusca di Populonia, a Poggio del Telegrafo (Piombino), diretta dalla Prof.ssa G. Bartoloni.
In Turchia ha preso parte al gruppo di ricognizione archeologica di superficie, guidata dal Prof. G. M. Di Nocera, intorno all’antichissimo sito di Arslantepe, nella piana di Malatya (Turchia orientale), con l’obiettivo di individuare, schedare e geolocalizzare i siti archeologici, soprattutto facenti parte dell’arco cronologico del V-II millennio a.C.
Svolge la professione di redattrice di testi per l’editoria online, collaborando come consulente nella programmazione tematica e redattrice nella stesura di testi, principalmente di carattere turistico-culturale. Collabora come redattrice di articoli di carattere archeologico per il magazine Mediterraneo Antico, facente parte del portale www.egittologia.net.

Maschera funeraria di Tutankhamon

D1. Quando e perché è nato il suo interesse per l’Antico Egitto?
Indubbiamente, come un po’ tutti, la principale spinta ad avvicinarmi allo studio dell’antico Egitto è stata la meraviglia della scoperta di Tutankhamon e delle piramidi dell’Antico Regno di Giza.
Tuttavia io, abitando da piccola a Roma, con la macchina o a piedi passavo spesso sotto la Piramide di Caio Cestio nel quartiere Ostiense e già attraverso questo edificio fantasticavo su questa antica civiltà.
D2. Perché ancora oggi l’Antico Egitto suscita un notevole interesse anche fra i non addetti a i lavori?
L’Antico Egitto suscita notevole interesse fra i non addetti ai lavori soprattutto perché l’immaginario collettivo è ancorato su alcuni episodi di questa civiltà ben precisi: le tre piramidi di Giza, la Sfinge, l’opulenza dell’oro unita alla raffinatezza dell’esecuzione della tomba di Tutankhamon, la maestosità mistica e architettonica di Karnak, Luxor e l’ipotetica nascita del monoteismo con Akhenaton (da alcuni ahimè considerato addirittura un alieno sulla base delle fattezze fisiche).
Certamente tutti argomenti estremamente affascinanti e interessanti, ma sicuramente c’è tantissimo altro in una civiltà che muove i suoi primi passi perlomeno dal IV millennio a.C. per terminare (dando un termine cronologico definito) nel 31 a.C. con la battaglia di Azio e la sconfitta di Antonio e Cleopatra da parte di Ottaviano.
D3. Ritiene meritata la fama del faraone Amenophi IV (Akhenaton), morto quasi 3500 anni fa?

Stele di Akhenaton con Nefertiti e le figlie

Certamente l’età Amarniana introduce tutta una serie di innovazioni e di rotture rispetto a quell’eterno presente che volutamente, per tutta la storia millenaria dell’antico Egitto, la classe dirigente aveva voluto mostrare attraverso una serie di codificate convenzioni. In questo senso io ritengo che la fama di Akhenaton sia meritata; è pienamente meritata per il coraggio di aver reso pubbliche e visibili a tutti, per esempio, le scene di vita quotidiana della famiglia reale: un fatto mai avvenuto prima e che, dopo di lui, non si ripeterà più. Gli anni di regno di Akhenaton mettono in vista un gusto artistico innovatore (già in parte iniziato con suo padre Amenhotep III) che per noi moderni apre uno squarcio sulla vita ieratica, compassata e priva di emozioni umane, che da secoli aveva caratterizzato le immagini regali. Nel nuovo stile viene eliminata la calma statica e subentra il movimento nel suo massimo grado, scopriamo che anche la coppia regale prova emozioni e forte è la cura per gli aspetti di esasperato realismo. Tutto quello che fino ad allora era stato irrigidito in un’immobilità che alludeva all’eterno si mette in movimento: la movenza, gli atteggiamenti, i comportamenti delle figure esprimono i rapporti delicati e affettuosi che legavano i membri della famiglia reale. Accanto al dinamismo scopriamo che anche il faraone d’Egitto e la sua consorte - come tutti - provano vere e umane emozioni: baci, abbracci, tenerezze e assistiamo anche al pianto di Akhenaton e Nefertiti sul corpo privo di vita della piccola Maketaton, la loro amata figlia.
D4. L’egittologo Arthur Weigall definì Akhenaton un romantico, dotato di tutte le virtù ed isolato in un mondo troppo duro. Cosa ne pensa?

Romantico sognatore o terribile pazzo dispotico? Se l’idealismo religioso di Akhenaton farebbe pensare più alla prima ipotesi, il suo approccio e le sue azioni spostano più l’ago della bilancia su una personalità più vicina al secondo tipo. La regalità in Egitto era pienamente e inscindibilmente inserita nella teologia e non era intenzione di Akhenaton diminuire il potere del faraone. Anzi Akhenaton voleva fare proprio il contrario perché erano proprio il re e la sua famiglia (non la sua famiglia in senso lato ma lui, la principale consorte e le figlie avute con lei) gli unici intermediari tra il Sole, datore di vita e tutti gli altri uomini. Quindi da questo si dedurrebbe più che altro un assolutismo teocratico.
La forza divina che oltrepassa la comprensione umana era rivelata solamente attraverso il rappresentante in terra dell’Aten: cioè il re e, nello specifico, proprio Akhenaton.

La famiglia reale venera Aton

Nelle preghiere dei cortigiani Akhenaton e Nefertiti erano invocati come divinità insieme all’Aten: è così che il nuovo culto non lasciava spazio alla devozione personale del popolo; non era un culto democratico ma, potremmo definirlo, un mezzo per catalizzare l’attenzione dei sudditi, per assicurarsene la lealtà.
Sicuramente ad Akhenaton va riconosciuto il coraggio di operare un netto e forte distacco dal comportamento tradizionale dei re d’Egitto, tentando di effettuare una riforma religiosa. Come e perché Akhenaton giunse ad operare questo netto distacco dalla mentalità del proprio tempo resta un mistero, che forse non risolveremo mai. Quello che è certo è che cercò di creare un culto nuovo e, soprattutto, più semplice, più diretto, privo di intermediari.
Una composizione che inizia a circolare durante la XVIII dinastia a partire da Thutmosi III, che venne riprodotta sulle pareti di alcune delle tombe regali di Tebe, nota come Litania di Ra, invoca il dio-sole Ra con i suoi 75 nomi, che sono quelli di altri dei. É così che il dio-sole Ra si manifesta come il corpo di Atum, di Shu, di Tefnut, di Geb e di Nut. Questo per dire che, già prima di Akhenaton, è documentata una ricerca tesa a trovare un equilibrio e un’armonia di pensiero per mezzo della quale evitare la potenziale incompatibilità tra la molteplicità delle divinità e l’unità del potere divino: era già presente il tentativo di affermare l’idea dell’esistenza di molti dei contenuta in un involucro mentale che racchiudeva al suo interno una unità finale, la cui essenza era espressa dal potere del Sole.

Akhenaton si ricollega a questo muovendosi, però, verso una ulteriore semplificazione: lui rifiuta la principale evoluzione del culto solare dalla forma umana (il dio Amon o Amon - Ra di Tebe) e inizia il culto del Disco del sole, visibile a tutti e percepibile da parte di tutti senza intermediazioni. L’Aten poteva essere visto direttamente nel cielo, senza misteri. Akhenaton vedeva l’Aten come il creatore universale di ogni vita e lo celebrò in diversi inni. I sentimenti che vi erano espressi non erano, però, di per sé una novità in Egitto. Un inno del Museo del Cairo, anteriore al regno di Akhenaten, per esempio, si rivolge al dio Amon con termini simili di potere universale e di immagini solari. Però l’inno di Akhenaton differisce nel fatto che non ha più i riferimenti agli altri dei i quali, invece, negli inni più antichi erano considerati aspetti complementari di Amon. L’originalità di Akhenaton sta nell’avere percepito la semplicità della religione solare priva ormai di quei tipici giochi di parole del linguaggio teologico tradizionale.
D5. É radicata convinzione tra gli egittofili che la compilazione del Salmo biblico 104 sia stata fortemente influenzata dal testo, appartenente ad Akhenaton, dell'Inno ad Aton. È andata veramente in questo modo?
Fin dagli inizi dell’egittologia gli studiosi si sono sempre domandati se la riforma religiosa compiuta da Akhenaton sia da considerare una forma di monoteismo e se questo monoteismo egizio abbia potuto influenzare il monoteismo che conosciamo, espresso nell’Antico Testamento, della tradizione giudaica. Sicuramente, dal mio punto di vista, è quasi impossibile rispondere a una domanda posta nei suddetti termini. Questo perché il fenomeno di formazione, sviluppo e affermazione di una corrente/pensiero religioso è un fenomeno troppo elaborato per essere incasellato così semplicemente. L’evoluzione di tutto quello che fa da base e costituisce il pensiero giudaico-cristiano ha avuto tanti e innumerevoli apporti culturali e approcci, anche estremamente sottili e complessi, che hanno portato allo sviluppo e all’affermazione delle manifestazioni della divinità, ben di più di quelli che implica la semplice parola di monoteismo. Molto banalmente e semplificando al massimo, se io fossi un’archeologa giunta da un altro pianeta o vivessi in un’altra epoca in un lontano futuro, entrando nelle maggiori chiese italiane, il numero e la varietà delle immagini sacre presenti mi porterebbero a ricostruire l’esistenza di un sistema policentrico di credenze.

Museo egizio del Cairo

Akhenaton visse molto prima della fondazione del Regno di Israele, ma è anche vero che le immagini dell’Inno ad Aten hanno chiari echi nel Salmo 104. Di certo c’è che in entrambi è presente la ricerca di raggiungere la definizione della natura di dio, una definizione di dio che abbia i caratteri dell’essenzialità, della schematicità, che sia ben definita senza ulteriori sovrastrutture e orpelli. Ma, purtroppo, la mancanza di una consistente e abbondante documentazione contemporanea, proveniente dalla regione, costituisce il nostro principale ostacolo per sapere se questo fu un fenomeno intellettuale più ampio, diffuso in tutto il Vicino Oriente, che si manifestò in forme diverse e di cui abbiamo traccia solo in Egitto e in Palestina.
Quello che è certo è che i risultati furono diversi, perché erano completamente diversi i contesti in cui questo pensiero religioso si andò ad innestare. L’Aten era una forza che governava benevolmente, ma in modo distante; non era un dio che doveva dettare regole di comportamento perché in Egitto l’insegnamento morale era stabilito da lungo tempo e tendeva ad essere separato dalla teologia. La religione di Akhenaton non aveva come oggetto di interesse la condizione o il destino dell’uomo, ma si manifestava semplicemente come fonte di vita.
Il giudaismo mosaico, invece, con il suo codice di vita e le sue regole, si poneva come una forza legante, agglutinante di tutti i suoi componenti, perché doveva dare agli Israeliti quel senso di unità e di identità in un mondo che intorno a loro vedevano (o percepivano) totalmente ostile. Divenne un mezzo per rifiutare le culture degli altri.
Quello che ci possiamo chiedere, senza per ora avere una definitiva risposta, è: attraverso Akhenaton possiamo vedere una tradizione di dissenso intellettuale normalmente non visibile, ma che tuttavia esisteva? Essendo un re fu quindi capace di rendere visibile e di pubblica conoscenza una visione alternativa che già esisteva da tempo o che c’era sempre stata? Non sappiamo se la sua visione alternativa ebbe un carattere puramente teologico o fu anche politica, per cercare di contrastare ed eliminare l’indubbio potere economico e politico che al suo tempo era strettamente tenuto in mano dal potente clero del dio Amon di Tebe.
D6. Nefertiti, la sposa di Akhenaton, è diventata il simbolo della bellezza della donna egizia. Ma è opportuno ricordarla solo per il suo aspetto gradevole?
Sicuramente Nefertiti, anche per i non addetti ai lavori dello studio dell’antico Egitto, è il simbolo per eccellenza della bellezza femminile, soprattutto per il famosissimo busto ritrovato nell’atelier dello scultore Thutmose a Tell el-Amarna. Tanto più che il suo stesso nome significa la bella è giunta.
Ma dal punto di vista storico è doveroso andare oltre il banale punto di vista estetico di facciata, per restituire lo spessore storico e politico a questo personaggio che fu tra i protagonisti della riforma Amarniana di Akhenaton, anche se non in maniera appariscente, ma che noi percepiamo da tanti indizi.

Akhenaton e Nefertiti

Molto spesso Akhenaton viene identificato con il Nilo, in quanto incarna le inondazioni annuali; perciò egli è la madre che tutto partorisce, che nutre milioni con le sue vivande. Akhenaton e il suo dio manifestano perciò anche una sfera femminile, come tra l’altro iconograficamente ci dimostra la presenza di Nefertiti sempre accanto ad entrambi: una presenza che secondo alcuni studiosi non sarebbe semplicemente di natura politica, ma religiosa. Nefertiti è accanto ad Akhenaton e, assieme a lui, al disco dell’Aten, costituendo così una trinità come spesso si incontra nel pantheon del Nuovo Regno.
A Karnak alcuni santuari vengono eretti e dedicati ad Aten e sembrerebbe che uno degli edifici sacri fosse stato dedicato esclusivamente alla Prima Sposa del re, Nefertiti, perché qui Akhenaton non è presente in nessuna raffigurazione, ma anzi è la regina ad occupare, sola o con le sue figlie (femmine), quegli spazi e quelle stesse prerogative cultuali che normalmente erano riservate al sovrano.
Nefertiti è definita dono di Maat e colei che atterra i nemici, tutti appellativi solitamente riferiti al faraone.
Quindi da tutti questi elementi veniamo a sapere che Nefertiti occupa una posizione che va oltre il ruolo religioso, che già in parte era stato rivestito da Tiy (la Grande Sposa Reale di Amenhotep III). Nei gruppi statuari Nefertiti è raffigurata alla destra del re e con la gamba in avanti, in procinto di avanzare. Assiste il sovrano in tutte le operazioni cultuali, anche nel cosiddetto abbattimento dei nemici ed è rappresentata perciò in posa trionfale. In origine le sfingi dell’omonimo viale, che conduce da sud al tempio di Karnak, recavano le effigi alternate di Akhenaton e Nefertiti, prima che Tutankamon le trasformasse in protomi di ariete in onore di Amon.

D7. Gli antichi Egizi furono politeisti, con la eccezione del periodo amarniano. Vuole presentare brevemente le principali divinità dell’Antico Egitto?

Ra, dio supremo del pantheon egizio, lo troviamo abbondantemente presente nel culto e nei miti. La rappresentazione del percorso ciclico del sole, del suo viaggio diurno e notturno sulla sua barca ogni 12 ore, simboleggiava l’eterno ciclo della creazione e delle forze rigeneratrici. A partire dalla IV dinastia emerge forte e chiaro il rapporto privilegiato che univa il faraone e il dio solare, soprattutto reso evidente dal titolo di figlio di Ra attribuito al sovrano.
Horus, sotto questo nome si raccolgono numerose divinità regali e celesti idrocefaliche, raffigurate sotto forma di falco. Già i primi sovrani furono considerati come Horus divini e in questa veste associati alla creazione cosmica. Nella teologia di Osiride Horus rappresentava il suo successore, il garante dell’ordine del mondo, mentre Seth ne costituiva la controparte selvaggia.
Osiride, il dio con il corpo multiforme che indossava la corona (atef). Rappresentava il mondo ordinato, in opposizione al selvaggio e caotico dio del deserto Seth. La lotta tra i due simboleggiava l’azione creatrice e dinamica tra gli opposti e la morte di Osiride, che ne conseguiva, costituiva la base per l’origine dell’aldilà. Osiride infatti muore, ma grazie a Iside e Nephtis risorge nell’oltretomba dando vita al suo successore Horus, che continua la lotta contro Seth. Osiride, supremo dio e giudice dei morti, era il responsabile del giusto ordine del mondo.
Seth, dio della tempesta, la sua voce è il rombo di tuono. Seth era spesso designato come dio del deserto e delle terre straniere e nel mito di Osiride rappresenta l’elemento caotico e selvaggio, la forza che uccide suo fratello Osiride e prosegue la sua lotta per la sovranità contro Horus.
Amon, il dio principale della città di Tebe, il cui nome significa il nascosto. Le dinastie dei faraoni di Tebe ne fecero il loro dio dinastico. Ma soprattutto nel Nuovo Regno il suo culto divenne particolarmente importante e il gigantesco tempio di Karnak a lui dedicato testimonia il favore del quale godeva e la ricchezza del suo clero.
Maat, la dea che impersona la rettitudine e l’equilibrio cosmico voluti dal demiurgo nel momento della creazione. Attraverso la Maat il mondo creato si manteneva nella sua integrità e gli dei se ne nutrivano. Rappresentava il principio che struttura il mondo: l’ordine, la regolarità, i valori etici e la giustizia, la cultura. Era cioè l’opposto di tutto quanto è selvaggio, distruttivo e ingiusto. Uno dei compiti più importanti cui erano chiamati i faraoni egizi era proprio quello di garantire la maat.
Thoth, dio con la testa di ibis. Figura di assoluto spicco nel pantheon egizio. Fu venerato su tutto il territorio dell’Egitto a partire dall’Antico Regno ed Ermopoli fu il suo principale luogo di culto. Nel suo ruolo di dio lunare era responsabile della suddivisione dell’anno, del computo del tempo e della matematica. Registrava quindi gli anni di regno del sovrano e ne scriveva il nome sulle foglie del sacro albero (ished) di Eliopoli. Era considerato l’inventore della scrittura e del linguaggio, custode dell’ordine divino e del sapere segreto.
Iside, sposa del dio Osiride e madre di Horus. Il mito di cui è protagonista, diffuso anche oltre la Valle del Nilo, è uno dei più noti dell’antichità: Osiride che regnava con giustizia nella Valle del Nilo, viene ucciso dall’invidioso fratello Seth, il quale lo smembra e ne disperde le parti. La moglie Iside, aiutata dalla sorella Nephtis, cerca e ricompone amorevolmente i suoi frammenti. Fecondata da Osiride, Iside genera Horus, destinato a vendicare il padre e a esserne l’erede sul trono d’Egitto. Rappresentava il potere regale, che aveva ricevuto da Osiride in qualità di sua sposa e che trasmetteva come madre di Horus. Faceva da punto di unione tra il mondo terreno e quello ultraterreno, era divinità dei defunti e della maternità.
Ptah, nella teologia menfita compare come dio-creatore, a capo dell’Enneade. In epoca ramesside formava con Amon e Ra la grande triade dinastica. Uno dei miti della creazione considera Ptah all’origine di tutti gli esseri viventi, ai quali avrebbe dato vita mediante la semplice parola. 

D.8 Gli antichi Egizi quanta importanza davano allo studio e alla cultura?
Riguardo a quanti egizi erano in grado di leggere e scrivere, non è possibile dare una risposta sicura. Certo la lunga e faticosa istruzione, necessaria per imparare i geroglifici, era riservata ad una percentuale molto limitata della popolazione (soprattutto agli scribi di professione), ma comprendeva, in misura ridotta, anche gli artigiani addetti alla decorazione delle pareti di templi e sepolture, i sacerdoti, i funzionari e forse anche gli alti ranghi militari. Nelle scuole per scribi gli allievi imparavano a scrivere copiando testi di opere di letteratura, ritenute dei classici. In questo modo memorizzavano come unità di senso compiuto le immagini che costituivano una parola e non i singoli segni: un metodo di apprendimento che anticipa le più moderne acquisizioni della didattica linguistica.
Sia i privati che i templi possedevano delle biblioteche. I templi possedevano delle sale particolari: le sale dei libri. Questo è, per esempio, il nome di una stanza del tempio di Dendera sulla cui porta figura incisa una paletta di scriba, mentre sulle mura era registrato il catalogo delle opere che conteneva.

Scriba

Ai grandi templi erano collegati dei centri di cultura chiamati case di vita. Sappiamo poco su queste istituzioni, ma sembra che dipendessero da questi centri gli scribi, il cui compito era quello di copiare i libri funerari venduti ai privati cittadini affinché li collocassero nelle loro tombe. Nacque qui la conoscenza scientifica degli egizi, fu nelle case di vita che i sacerdoti insegnavano le tradizioni religiose. Erano senza dubbio i professori di questi centri i responsabili dell’insegnamento letterario e sacerdotale impartito ai ragazzi che frequentavano le scuole dei templi. La letteratura ci ha tramandato degli esempi in cui i faraoni si recavano a consultare gli scribi delle case di vita per sottoporre loro delle questioni di carattere religioso o cultuale: sembra che le case di vita fossero una specie di accademia della civiltà egizia.

D9. Negli ultimi anni diverse università statali italiane hanno eliminato o ridotto gli insegnamenti di egittologia a differenza di quanto hanno fatto in Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Come si può spiegare tutto ciò?

Purtroppo in Italia la classe politica ritiene che si debba perseguire una politica di spending review, tagliando le risorse in quei settori in cui si pensa, falsamente, che la società non possa trarne alcuna utilità. Invece, il settore dell’archeologia in generale e dell’antico Egitto (qui nel caso specifico) è in continua espansione. Con l’aumento dell’acculturamento delle masse, attraverso i più disparati mass media e, io direi, anche dei social media, l’Egitto e i suoi misteri sono diventati sempre di più fonte di fascino e di interesse da parte di tutti, divenendo per questo necessaria la formazione professionale e accademica di persone in grado di interfacciarsi in maniera adeguata tra la civiltà dell’antico Egitto e il resto delle persone.
Comunque conoscere il passato significa conoscere anche noi stessi e avere in mano quegli strumenti di carattere morale e intellettuale per vivere meglio il presente con tutte quelle dinamiche politiche, umane, sociali che poi (in fondo) sono sempre le stesse in tutte le epoche storiche. Inoltre, immaginando l’individuo che può decidere di applicare tagli alla cultura e all’offerta formativa dell’università su questo settore, mi viene solo da pensare ad una persona che non è mai entrata in un museo e, soprattutto, mi chiedo che gente frequenti. Questo perché io da sempre conosco, incontro e parlo con individui che, in modi diversi e con livelli diversi di istruzione, sono sempre curiosi ed estremamente appassionati del mondo antico e, soprattutto, dell’antico Egitto e dei suoi misteri.
D10. In questo momento a cosa sta lavorando e quali sono i suoi programmi per il futuro?
Nonostante io abbia appeso la trowel al chiodo (passatemi l’espressione) e io svolga la professione di copywriter, continuo a fare ricerca, a studiare e ad interessarmi dell’antico Egitto.

La sfinge a Giza

Soprattutto poi, vivendo tra Roma e la terra degli Etruschi (Lazio settentrionale/Toscana), ho iniziato ad approfondire, scoprire e esplorare anche questa affascinante civiltà antica. É così che mi è venuto in mente il progetto editoriale che sto sviluppando sul mio blog ArcheoTime.
É un blog nato dalla necessità di scrivere tutto quello che di archeologico scoprivo nell’entrare dentro un museo o facendo semplicemente una passeggiata in campagna, magari dietro casa, e che invece nessuno (o quasi) conosceva.
Però ad un certo punto raccontare le mie esplorazioni e la mia meraviglia davanti ad alcuni posti solo con le parole scritte e qualche foto mi sembrava riduttivo e cominciava a starmi stretto, così ho aperto su youtube il canale ArcheoTime dove pubblico i video delle esplorazioni archeologiche che faccio.
Tutto questo perché credo fortemente nella comunicazione attraverso i vari mezzi sociali oggi esistenti e poi perché sono fermamente convinta della necessità di una condivisione consapevole e di contenuti di qualità per quanto riguarda il mondo dell’archeologia.
Se tutti conoscessero l’importanza storica, artistica e culturale di quello specifico posto/reperto archeologico, diventeremmo anche consapevoli del danno che può derivare dalla sua perdita per incuria o perché finisce nel mercato nero delle opere d’arte e, quindi, di conseguenza saremmo un po’ tutti custodi della nostra cultura e del nostro passato.
E poi, soprattutto perché, sinceramente, non mi sta più bene la posizione ai margini della grande comunicazione, cui un po’ da sempre siamo stati relegati noi archeologi, non collegati ad università o grossi enti. Con tutti i mezzi di comunicazione che esistono è un vero peccato lasciare ancora oggi la comunicazione, divulgazione, valorizzazione dell’archeologia in mano esclusiva di due poli (opposti?): da un lato la divulgazione scientifica - archeologica ad esclusivo appannaggio degli accademici che, però, molto spesso sono poco generosi nella diffusione di conoscenze ad un più ampio pubblico, dall’altro pochi o per meglio dire pochissimi divulgatori televisivi che, tra l’altro, non sono neanche archeologi. Giampiero Lovelli