Per chi ancora non ti conoscesse: che cosa ci dici di te? Meglio partire dalle basi: Andrea Rezzonico, trentuno anni (vado per i trentadue), autore.
Forse è una domanda scontata, ma questo non significa che non sia importante: che cosa ti ha spinto ad avvicinarti alla scrittura?Forse è davvero una domanda scontata, ma se è così è proprio perché, essendo una domanda importante, viene (o dovrebbe essere) fatta spesso. Direi che mi sono avvicinato alla scrittura tardi, alla non proprio tenera età di ventitré anni; costretto a letto da una fastidiosa influenza, ho iniziato a ripensare ad alcuni episodi divertenti della mia infanzia e, per gioco, li ho messi su carta. Poi ho iniziato ad aggiungere, ad andare di fantasia, e dopo qualche giorno mi sono reso conto di due cose: ero guarito ed avevo in mano il mio primo racconto umoristico, ovviamente un po’ ingenuo, imperfetto. È bastato per rendermi conto che raccontare storie mi divertiva.
Parlaci un po’ dei tuoi libri: di che cosa trattano, qual è il genere, come sono nati… siamo lettori molto curiosi!A quel primo racconto ne sono seguiti molti altri, principalmente ispirati dalle mie esperienze, sempre rilette in chiave umoristica, e da quello che mi circondava e che mi capitava di vedere, anche occasionalmente. Mi sono reso conto che la mia mente lavorava in maniera un pochino particolare: se mi capitava, per esempio, di camminare per strada e di vedere una ragazza piangere, mi veniva da chiedermi il perché, facevo delle ipotesi, in pratica cercavo di immaginare tutta la sua storia recente. È venuta fuori una raccolta di racconti, Non è vita da timidi¸ la mia prima pubblicazione, tuttavia deludente sotto molti aspetti.Diversa è stata la genesi del mio primo romanzo, sempre molto leggero, scritto con uno stile ironico che evidentemente mi caratterizza. Ho pensato che sarebbe stato interessante cimentarmi con un genere a me totalmente sconosciuto – il western -in modo da non farmi influenzare dai tanti cliché, e di rielaborarlo a modo mio; mi sono divertito a mettere in un ambiente certamente pericoloso, il “selvaggio west”, un personaggio un po’ ingenuo, decisamente impreparato e totalmente distante da quel mondo. Era questa l’idea portante di Uno sceriffo qualunque che, dopo alcune vicissitudini, è stato pubblicato da un editore onesto, volenteroso e ricco di inventiva, che a quel tempo muoveva i primi passi nell’editoria, la Watson Edizioni di Roma.È stata un’esperienza certamente più positiva, per un romanzo un pochino di nicchia come quello che avevo scritto non pensavo neanche lontanamente che potesse andare esaurito, cosa che invece è fortunatamente accaduta.L’ultimo romanzo, quello che è uscito a dicembre 2015, ha invece avuto una genesi molto diversa. È stato un parto lunghissimo, addirittura ho iniziato a pensare a questa storia nel 2009, prima di scrivere le avventure dello sceriffo; mi è subito stato chiaro il potenziale di questa storia, ma non avendo ancora avuto nessuna esperienza nella stesura di romanzi ho preferito aspettare e dedicarmi all’altro progetto, nell’attesa di essere più “pronto”. Così, ho iniziato a scrivere Hollywood memories – Il mago e la ballerina solo molti anni dopo, credo nel 2012, e anche la stesura è stata certamente difficoltosa a causa della lunga e accurata ricerca storica che ho dovuto affrontare, dato che il romanzo si svolge negli Stati Uniti in un periodo di tempo che va dai primi del Novecento fino agli anni Settanta.È la storia di un vecchio attore di Hollywood, Henry Vodder, della sua vita e di come il successo l'abbia influenzata, facendogli perdere negli anni tutto quello che aveva costruito, sia sul piano lavorativo che personale. È una storia nella storia, perché buona parte del libro di fatto è costituita dalla biografia che Henry scrive per raccontare com’è andata davvero la sua vita, al di là delle bugie pubblicate da certa stampa. È un romanzo a cui tengo moltissimo, che tra l’altro mi ha fatto approdare anche in un’importante agenzia letteraria.
Quali sono i tuoi modelli ispiratori, quali sono state le letture che più di tutte ti hanno formato?Una editor con cui ho avuto il piacere di lavorare, riferendosi a me, disse una volta: “L’ironia è la migliore amica della sua vita”. In effetti, dato che per me la scrittura, per quanto io cerchi di comportarmi sempre in maniera professionale verso i miei interlocutori, è soprattutto divertimento, necessariamente finisco per raccontare storie perlopiù divertenti, magari anche – come nel caso di Hollywood memories – affrontando argomenti molto seri, ma sempre con una certa dose di ironia. Per questo, non posso che citare i miei autori umoristici preferiti: Groucho Marx (adorabile, in particolare, la sua autobiografia Groucho e io, edita in Italia da Adelphi), Woody Allen (Senza piume, Rivincite, Effetti collaterali, edite da Bompiani) e soprattutto P.G. Wodehouse, il più grande scrittore umoristico del Novecento. Di lui adoro in particolare la serie di romanzi incentrata sulle avventure di Bertie Wooster e Jeeves (tutti editi da Polillo). Volendo invece lasciare da parte la narrativa umoristica, direi che Leonardo Sciascia con i suoi Il giorno della civetta e Una storia semplice e Mordecai Richlercon lo strepitoso La versione di Barneyvadano a completare la mia “biblioteca ideale”.
Nella tua esperienza editoriale, quali sono quegli aspetti che ti hanno soddisfatto e cosa, al contrario, cambieresti?Sarei molto più attento nella scelta del mio primo editore, che di fatto non mi ha mai supportato. Per il resto, le altre esperienze che ho avuto sono state più che soddisfacenti, pur con i limiti oggettivi tipici della piccola e microeditoria.
A questo punto ti chiedo, che cosa ne pensi in generale dell’editoria italiana nelle sue diverse forme? In questi anni ho imparato diverse cose sull’editoria, e tuttavia ne so ancora molto poco. Tuttavia, la prima cosa che mi viene in mente, come autore, è che c’è qualcosa che non va nel percorso ideale che porta una semplice idea a diventare un romanzo. Da un lato c’è la scarsa preparazione degli aspiranti autori, che spesso scrivono senza leggere (e dunque non hanno metri di paragone) e che ancora ritengono opportuno inviare il proprio romanzo rosa all’editore che pubblica solo thriller; dall’altro c’è il silenzio, l’indifferenza che si nota purtroppo anche in tantissimi piccoli editori e che non fa dare il giusto peso a ogni singolo manoscritto che arriva sulle scrivanie degli editor. Credo che il fenomeno dell’autopubblicazione (più che lecita) e dell’editoria a pagamento (assai meno lecita) sarebbe molto ridimensionato se ogni editore potesse rispondere agli invii spontanei degli autori in tempi non superiori a tre mesi. Ma è solo uno dei tanti problemi. C’è il discorso delle tante difficoltà che incontrano i piccoli editori ad arrivare in libreria, il problema degli editori che non pagano i collaboratori e delle librerie che giocano sui conto-vendita… Da qualunque punto di vista affrontiamo la questione, possono venirci in mente tanti problemi diversi, tutti da risolvere. È questa, certo, non è una bella notizia.
Il consiglio che non daresti a nessuno scrittore alle prime armi?Non consiglierei mai di pubblicare a tutti i costi. Ci sono tanti editori da evitare: quelli a pagamento, quelli che non pagano i propri autori, quelli che magari pagano i propri autori ma non sanno fare il loro mestiere. Se un autore vale, riuscirà prima o poi a fare qualcosa di buono, indipendentemente dalle sorti di ogni singolo manoscritto.
Se dovessi scrivere una storia in cui il protagonista è un animale, che animale sarebbe? Perché? Mi è capitato di scrivere un racconto con protagonista un animale, nella fattispecie un cane. Un animale che amo molto, e a livello narrativo si presta molto bene, dato che (come altri: gatti, cavalli, ecc.) è a contatto con gli uomini ed ha legami affettivi con questi. In questo senso, è più facile che scrivere un racconto su una formica, anche se c’è chi è riuscito a farne addirittura un film molto grazioso (Z la formica, appunto).
Ti viene data la possibilità di compiere un lungo viaggio a tua scelta: dove ti piacerebbe andare e per quale motivo? Forse su un lontanissimo pianeta, abitato da forme di vita intelligenti. Chissà quante storie ci sarebbero da scoprire e da raccontare… Ma sto pensando troppo da autore.Volendo evitare viaggi interplanetari, tornerei volentieri negli Stati Uniti per motivi affettivi.
Per finire, hai attualmente altri progetti nel cassetto, libri da pubblicare, storie da raccontare, cose da dire?Di idee ce ne sono: al momento sto finendo di scrivere un nuovo romanzo, stavolta ambientato in Italia (a differenza dei due precedenti), una storia che mi diverte molto. Quando finirò di scriverlo, probabilmente, mi dedicherò a un’idea che mi ronza in testa da un pochino di tempo: un giallo ambientato nella provincia italiana, negli anni '90. Ma è davvero troppo presto per parlarne.
Grazie Andrea per le tue risposte, sono state molto interessanti! Un grande in bocca al lupo per il tuo lavoro!