Ho avuto l’opportunità di conoscere Robert Fripp e lavorare con lui e il suo gruppo a Barcellona, l’anno scorso. Questo incontro era stato preparato da tempo. La direttrice di un teatro contemporaneo a Vienna (Guelsen Guerses) mi aveva introdotto un chitarrista che faceva parte della League, Richard Tettero. Grazie a lui e alla spinta di Bert Lams (California Guitar Trio) sono stato invitato da Fripp a partecipare alle performance che venivano fatte presso il Monastero di San Cugat, dove stava tenendo un corso. E’ stata un’esperienza incredibile. Fripp ha un’energia speciale, che poche persone hanno. Solo con la sua presenza riempiva e dava vita alla stanza (e lo dico senza venerazione religiosa, che molti nei suoi confronti hanno). I suoi suggerimenti sono stati preziosi, sia da un punto di vista tecnico che della vita del musicista in generale; tutt’ora siamo in contatto. Sono molto grato di avere avuto questa grande opportunità.
Nel suo cd Ikonastas lei suona musiche inedite rinvenute nell’archivio di Andres Segovia, come è nato questo progetto e che sensazioni le hanno dato suonare queste musiche?
Ikonostas è un progetto speciale, interamente dedicato a musiche del Novecento ispirate a temi religiosi o mistici. L’idea di questo progetto è nata nel momento in cui avevo conosciuto il grande compositore vercellese Angelo Gilardino, per il quale, in occasione di un corso, avevo suonato una sua composizione meravigliosa, “Annunciazione – Omaggio a Beato Angelico”. Gilardino è stato talmente gentile da avermi regalato, dopo questa audizione, la partitura di una sua composizione che poco dopo sarebbe stata pubblicata, “Ikonostas – Omaggio a Pavel Florenskij”, senza dubbio un capolavoro assoluto; e un brano che egli stesso, come direttore dell’Archivio Segovia, aveva portato alla luce: “Errimina” di Padre Antonio de San Sebastian, una profondissima composizione scritta su un ritmo di danza basco, lo “zortziko”, in 5/8. Questo regalo mi ha permesso di incidere la prima mondiale sia dei due brani di Gilardino, sia del pezzo di Antonio de San Sebastian, che negli ultimi anni sono diventati brani del repertorio standard nei recital chitarristici. Probabilmente anche la novità del programma discografico, accanto all’esecuzione (avevo 20 anni al momento dell’incisione, quindi con pregi e difetti del momento) hanno portato alla vittoria della “Chitarra d’oro” nel 2007 come miglior disco dell’anno.
Il manoscritto di Castelfranco Veneto è una delle più importanti scoperte musicali degli ultimi vent’anni. Si chiama “Manoscritto di Castelfranco Veneto” perché è conservato presso l’archivio parrocchiale del Duomo di Castelfranco. E’ datato 1565, e scritto dal liutista padovano Giovanni Pacalono (di lui si sa pochissimo). La sua scoperta è avvenuta circa 20 anni fa per mano dell’archivista Mary Frattin, la quale ne ha affidato lo studio all’allora insegnante di storia della musica del Conservatorio, il professor Franco Rossi. Egli ne ha provato l’importanza pubblicando un catalogo del fondo musicale del Duomo, in cui citava le composizioni presenti nel manoscritto, che conteneva (di qui l’unicità del libro) molti componimenti inediti per uno, due e tre liuti (cosa rarissima nel repertorio) dei grandi autori del Rinascimento. Si può immaginare quale interesse questo libro possa aver suscitato in campo musicologico. Il problema è che Rossi non ha poi mai pubblicato un fac-simile del manoscritto, o un libro contenente i brani del volume. Così, dopo un incontro con il parroco e con Mary, nonché con il prof. Rossi, mi sono messo a trascrivere in notazione moderna le composizioni sicuramente più interessanti del libro, scritte da Francesco da Milano, che già in vita si era guadagnato, presso la corte papale, l’epiteto (condiviso solo da Michelangelo) “Divino”. Sono composizioni per uno e due liuti, e due pagine di tecnica liutistica (scale e ornamentazioni). Sebbene in notazione abbia pubblicato (tra l’altro, in occasione del Cinquecentesimo anniversario di morte del grande pittore castellano Giorgione) solo le opere di Da Milano, ho comunque pensato di analizzare l’intero manoscritto, e grazie all’aiuto di grandi esperti mondiali (Franco Pavan, autore della voce su Da Milano nel Grove, nonché facente parte del direttivo del Bulletin della American Lute Society; Hopkinson Smith, docente di liuto presso la Schola Cantorum di Basilea; John Griffiths, del Centre d’Etudes Superieures de la Renaissance di Tours) il lavoro è davvero riuscito: sarà d’aiuto per gli sviluppi e gli studi futuri; una trascrizione completa del manoscritto è in corso d’opera.
Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?
Comprendo e condivido la sua opinione. Un altro problema che ho incontrato spesso, in tempi recenti, è il fatto che alcuni autori vendano le proprie opere come “autentiche”, fedeli ad un’epoca o ad una cultura, mentre in realtà risultano solo operazioni commerciali, che mirano ad accarezzare l’orecchio dell’ascoltatore, e ad allargare il portafoglio del produttore. Purtroppo, non ci sono molti strumenti di autodifesa da parte dell’ascoltatore medio, se non quelli legati allo studio e alla conoscenza di ciò che veramente è autentico.
Per quanto riguarda alcuni trend, come la musica medievale, o celtica, o Rinascimentale, ritengo siano comunque passaggi naturali, che possono essere presi positivamente se offerti in maniera seria. Se, per esempio, il disco su John Dowland di Sting e Edin Karamazov ha stimolato molti ascoltatori ad approfondire il repertorio rinascimentale inglese, allora l’operazione ha assunto anche un valore di missione di carattere artistico, e non solo commerciale.
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