Intervista con karl schroeder !

Creato il 16 giugno 2014 da Nickparisi

E' per me un grande onore presentare quella che ritengo essere la primissima intervista italiana dello scrittore canadese Karl Schroeder 
Come sempre, anche in questo caso, ci sono delle persone da ringraziare: in primo luogo lo scrittore stesso.
Schroeder è uno dei migliori autori della sua generazione e, finalmente, anche qui in Italia con la imminente traduzione di Sun of Suns cominceremo a conoscere meglio.
Nel frattempo se siete curiosi vi rimando al blog personale dell'autore.
La seconda persona da ringraziare è l'amico Davide Mana che mi ha passato la mail dello scrittore. 
Adesso- ancora una volta- vi auguro buona lettura.
Fatemi sapere le vostre impressioni. 
(For english version scroll down )

Nick:  Benvenuto su Nocturnia e grazie per aver accettato di rispondere a questa  intervista. Per cominciare ti chiedo di parlarci degli inizi della tua  carriera, in particolare m 'interesserebbe sapere cosa ti ha avvicinato alla fantascienza?



Karl Schroeder:  Quando ero ragazzo,  nella nostra casa  c'era uno scaffale con tre ripiani, nei ripiani erano presenti principalmente opere di tre scrittrici ben definite : Georgette Heyer, la scrittrice di romanzi storici; Agatha Christie, la scrittrice di gialli; e Andre Norton, la scrittrice americana di fantascienza. Ognuna di loro in quel momento aveva decine di libri pubblicati. Forse ho iniziato a leggere i libri di Andre Norton perché erano sul ripiano più basso, ma per qualche motivo mi sono appassionato alla  SF in tenera età.
Mia madre aveva scritto e pubblicato due romanzi con  la Zondervan Books*, così  anche quelli erano sullo scaffale pure.Mi  sembrava, quindi, una scelta naturale di carriera  diventare uno scrittore. Ho cominciato a lavorare sul mio primo romanzo quando avevo 14 anni, e l'ho concluso quando ne avevo 17. Da allora ho sempre scritto.
Nick : Quali sono stati gli scrittori che ti hanno formato come lettore prima  ancora che come scrittore? (naturalmente puoi citare anche film, telefilm, comics e quant'altro ti venga in mente)

Karl Schroeder : Le mie più grandi influenze non provenivano da scrittori americani di fantascienza o da spettacoli televisivi, ma una manciata di scrittori britannici ed europei. Wells ha avuto una grande influenza, ma è stato Stanislaw Lem che ha avuto il maggior effetto su di me. Già nel 1950 Lem scriveva di nanotecnologia !
Nick :  A questa domanda probabilmente ti sai stancato di rispondere, quindi mi scuso in anticipo: Tu provieni da una comunità Mennonita (del Manitoba, giusto?) e i Mennoniti, per quello che ne sappiamo noi in Europa non sono normalmente associati con la tecnologia e anche, tu poi hai anche un background come fisico. In che modo le tue origini culturali influenzano la tua scrittura?

K.S:  Giusto per effettuare una piccola correzione : io non sono un fisico. C'era un testo sbagliato in tal senso nella biografia nel mio primo romanzo, ma non è vero. Ho un Master in Innovazione e Previdenza Strategica, il che mi ha reso un futurista professionista, ma io non sono uno scienziato.
La comunità Mennonita  da cui provengo è abbastanza moderna, ed è completamente assimilata nella società canadese. Sono cresciuto in una città di media grandezza e sono andato a una comune scuola pubblica. Così la mia formazione e le mie esperienze sono più o meno le stesse di qualsiasi altro canadese. Una cosa da ricordare, c'è però: il famoso scrittore di fantascienza della "Golden Age" AE van Vogt in realtà proveniva dalla mia stessa comunità. Mia madre si ricorda la famiglia Vogt da quando era bambina. Quindi, qualcosa nel sud Manitoba sembra aver influenzato almeno due scrittori di SF Mennonita, finora.

Nick:  Nel 2000 pubblichi" Ventus" il tuo primo romanzo da solista, "Ventus" è un romanzo che parla di viaggi interstellari, di terraforming e di nanotecnologie, quindi ha un forte background fantascientifico, ma contemporaneamente dentro i vari capitoli utilizzi molti stilemi ed elementi del fantasy  Da cosa è nata  questa commistione di temi? E sopratutto è stata una scelta voluta o casuale questo mescolamento di generi? 

K.S:  Ho volutamente inserito in Ventus una mescolanza di generi. Il libro è stato progettato per sembrare un high fantasy in un primo momento (come se fosse un romanzo di Tolkien o  Game of Thrones), ma subisce una lenta mutazione per come la trama si sviluppa, finché termina come una storia di  hard science fiction in piena regola. Ho fatto questo genere di cose diverse volte, in particolare con i libri  del ciclo di Virga, Sun of Suns e i suoi sequel che hanno un tono da 19 ° secolo  e, stilisticamente fanno parte della tradizione Steampunk, ma sono ambientati tra mille anni nel futuro e, non si svolgono nemmeno su un pianeta*. Mi piace giocare con generi e stili, e creare combinazioni inaspettate. Il mio ultimo romanzo, Lockstep, è stato commercializzato come un romanzo di hard science fiction adulta, ma ha un protagonista di 17 anni ed è molto di più di una storia young-adult.
Nick:  Sempre in  "Ventus", ma anche nel suo prequel "Lady of Mazes" (2005) sono presenti diversi temi filosofici. Come concili la pura descrizione tecnologica e scientifica con la filosofia (in particolare col tema del realismo speculativo?)

K.S:  Io immagino la tecnologia come una sorta di filosofia sperimentale. In questi romanzi, ho predisposto tecnologie progettate che hanno incarnato certi problemi filosofici. Ad esempio, in "Ventus," mi sono soffermato sulle idee che la scuola del realismo speculativo, e  in particolare Quentin Meillassoux, ora chiamano "correlationism" e "ancestrality." Certo, il modo in cui queste idee si incarnano è tutt'altro che astratto. Ad esempio, in "Ventus" ho descritto una nave stellare dotata di intelligenza artificiale chiamata The Desert Voice che si libera di tutti i suoi sistemi meccanici per travestirsi come un essere umano; ma il  passaggio per la  natura umana si rivela difficile, e deve rendere i suoi livelli di immedesimazione mano a mano sempre più profondi. Comincia quindi a simulare emozioni e lacrime, e finisce per dover renderle  sempre più genuine, finché alla fine le sue emozioni sono reali e che l'hanno resa, in tutto e per tutto umana.
Nick:  Mi sembra di aver letto che" Ventus" sia stato il frutto di un tuo periodo di crisi e che all'inizio pensavi che non sarebbe mai stato pubblicato, è vera  questa cosa?
K.S:  Prima di scrivere "Ventus", avevo tentato più volte di scrivere romanzi che pensavo potessero interessare il mercato. Purtroppo ne rimasi frustrato perché nessun editore volle pubblicarli. L'intera esperienza mi ha costretto, in primo luogo, a rivalutare il motivo per cui stavo scrivendo e ho deciso che l'unico buon motivo era per il mio proprio piacere; così, ho deciso di scrivere il romanzo che volevo leggere. Ero abbastanza sicuro che nessuno altro avrebbe mai avuto a cuore le idee contenute o che potesse mai essere interessato a leggerlo. Ma dopo aver lavorato sul mio romanzo per un paio di anni  ne ho parlato a David Hartwell  l'editor della Tor Books mentre eravamo alla festa di un editore in cui stavo bazzicando alcuni scrittori già affermati. Lui ha dimostrato un immediato interesse e mi ha incoraggiato a finirlo. Quando gliel'ho inviato lui lo ha comprato senza esitazione. Quindi c'è una lezione in tutta questa storia che ho appreso troppo dolorosamente per dimenticarla: di scrivere quello che può interessare a te non quello che credi possa interessare al Mercato.



Nick:   Nel 2002 arriva un altro romanzo importante : "Permanence".
In " Permanence"affronti il tema della tecnologia e dell'evoluzione sotto un altra forma: cioè che lo sviluppo tecnologico di una specie non ne garantisce per forza la sopravvivenza. Ci spieghi meglio questo concetto?
K.S:  In Permanence  lumanità scopre di essere essenzialmente sola nell'universo, perché ogni altra specie che abbia raggiunto le stelle in seguito poi è regredita verso forme meno evolute. Ho avuto una piccola discussione con l'astrofisico Milan Cirkovic riguardo a questa idea. Fondamentalmente, considero l'intelligenza dell'essere, per un dato organismo, un tratto distintivo come qualsiasi altro tratto. E' come avere denti aguzzi o pelo lungo. Per un animale, in un dato ambiente, potrebbe trasformarsi in un vantaggio evolutivo. Per un altro in una circostanza diversa, potrebbe non esserlo. La cosa principale è che un intelligenza  come la nostra che permette la fabbricazione di macchine utensili  è un bene perché ci ha fatto passare da una nicchia ecologica all' altra.La razza umana si è potuta diffondere sulla Terra, perché noi usiamo la tecnologia per permetterci di vivere ovunque. Quindi la tecnologia e l'intelligenza che ne consegue, sono buone per le specie che si trovano in movimento. Una volta che una specie si è stabilita comodamente in una regione e trascorso qualche tempo (cioè, centinaia di migliaia a milioni di anni) si adatterà all'ambiente e non avrà più bisogno tecnologie o dell'intelligenza che ne consegue. Anche se Cirkovic ha sottolineato che una strategia deliberata di mantenere se stessa 'fuori equilibrio' o leggermente disadattata potrebbe aiutare una specie a mantenere la sua intelligenza nel lungo periodo (più o meno la soluzione che ho scelto in Permanence), nessuno ha mai smentito questa idea convincente.

Nick:  Possiamo dire anche che "Permanence", sia la tua personale risposta al Paradosso di Fermi riguardo al  perché finora non abbiamo incontrato speciealiene?
K.S: Se il destino ultimo dell'intelligenza è quello di affievolirsi dopo aver portato a termine il suo scopo, allora si, questo spiegherebbe il  perché noi sembriamo essere da soli. Noi sembriamo essere da soli perché quel tratto che noi apprezziamo così estremamente ha un periodo limitato di utilità per una specie.
Nick:  Sei stato uno dei fondatori della SF Canada, the Canadian national science fiction and fantasy writers association nel 1989, e nei sei stato anche presidente. 
Vorresti parlare di questa associazione e della tua esperienza con essa ai lettori di Nocturnia ?
K.S:  Non sono stato il fondatore di SF Canada;  l'onore ricade su un certo numero di altre persone, in particolare Candas Jane Dorsey, autrice dell'eccellente romanzo Black Wine. La creazione di SF Canada è stato un momento importante per la fantascienza canadese, perché è stata la prima volta che scrittori diversi e lontani, sparsi un pò in tutto il continente, sono stati in grado di riunirsi e  di stabilire una identità collettiva. Vivere accanto a una potenza culturale ed economica come gli Stati Uniti rende il mantenere la propria identità e  i propri valori molto difficile. Quando tutte le TV, le radio, i tuoi libri e riviste, provengono da oltre confine, è quello che fai tu che ti definisce come unicamente canadese. Siamo stati in grado di scoprire che in effetti veramente potevamo avere punti di vista distinti e diversi, e che la fantascienza canadese poteva dare dei contributi alla letteratura che non potevano essere duplicati dagli autori americani.

Nick:  Questa domanda l'ho rivolta anche aRobert J. Sawyer quando l' ho  intervistato tempo fa: secondo te la speculative fiction canadese presenta delle differenze rispetto a quella americana? E se si quali?
S.K:  La fantascienza canadese esibisce generalmente un  rapporto diverso con l'ambiente o, più esattamente, col mondo fisico. La natura è meno una forza da conquistare, come viene spesso raffigurata nella fantascienza Americana e più un potenziale alleato o un nemico con il quale negoziare. Questo punto di vista viene direttamente dall'esperienza canadese del mondo naturale. Mentre scrivo queste righe, la costa est del paese si sta riprendendo da un da una bufera di neve notturna -è il 26 marzo- che ha scaricato 50 centimetri di neve e poi l'ha soffiata in giro con venti di 186 km l'ora.  Una Natura del genere non è da conquistare; e in una serie di storie recenti (e in "Ventus")  descrivo situazioni in cui dei sistemi naturali ma tecnologicamente evoluti si "svegliano" e diventa necessario negoziare con loro come attori politici a pieno titolo.
Nick:  In Italia hanno recentemente tradotto un paio di tuoi racconti con protagonista il contractor Gennady (To Hie from Far Cilenia; Laika's Ghost)
Gennady è un gran bel personaggio e ha colpito molto i lettori italiani. 

Scriverai ancora su di lui, magari avrà finalmente anche qualche relazione?

S.K:  Io amo Gennady. E 'il netturbino di tutti gli ingenui esperimenti sociali ed ecologici del 20 ° secolo, e lo fa con gli occhi spalancati. Lui è il ragazzo che pulisce dopo Chernobyl. Ciò che me lo rende amabile, però, è che questo ruolo non lo ha reso cinico, né reso contro la tecnologia. Ci sgobba appena su, ripara i disordini e spera per il meglio. E, naturalmente, la sua timidezza di base nei confronti della gente è parte di ciò che lo fa viaggiare nei luoghi vuoti e perduti del mondo posti, dove nessun altro andrebbe mai. Chi altra avrebbe accettato un lavoro di  trasporto di cammelli dell'Asia centrale  diventati radioattivi dopo il pascolo in un vecchio sito di test nucleari?
Dal momento che lui è esattamente l'opposto della spia audace, mi auguro che trovi una relazione. Sto ancora cercando di capire che tipo di donna sarebbe adatta per lui.

Nick:  Hai inventato il concetto del "Thalience", ti andrebbe di spiegarcelo?K.S:  Thalience è un nome che ho dato ad un particolare enigma nato dalla ricerca di un intelligenza artificiale (AI). La domanda è, una IA in grado semplicemente di ereditare tutte le nostre categorie umane per comprendere il mondo (su, giù, dentro, fuori, umano, macchina), o sarebbe in grado- o avrebbe il potere-inventare la propria? Se così fosse, avverrebbe quello che io chiamo "thalient", che è il contrario di intelligente, perché non potremmo nemmeno riconoscere un AI thaliente come avente l'intelligenza. Sarebbe semplicemente troppo un qualcosa di troppo alieno. In "Ventus", è esattamente quello che avviene con questa divergenza di comprensione di base, con risultati tragici per gli esseri umani coinvolti.
Nick:  tra i tuoi romanzi qual è quello che preferisci, quello che ti ha dato più soddisfazioni e quello che invece oggi non riscriveresti  (o magari scriveresti in maniera diversa?)
K.S: Non mi piace di individuare preferiti, è un male per il lavoro. Non posso dirti quale mi sia piaciuto di più, o anche quelli che sono "migliori" di altri. Alcuni libri sono stati molto divertenti da scrivere, e un paio di loro sono state esperienze di trasformazione per me. Mi ci sono voluti sette anni per scrivere Ventus; io stavo essenzialmente trasformandomi in uno scrittore, dal momento che dovevo essere io a raccontare la storia che volevo raccontare, e così quel libro ha rappresentato un grande cambiamento per me. Lo stesso vale per "Lady of Mazes", perché era la prima volta che ho volutamente utilizzato più linee narrative-come se fossero più tracce stratificate in una registrazione audio, il che consentirebbe al lettore di leggere e rileggere la stessa storia e ottenere qualcosa nuovo da essa ogni volta. Rigorosamente in termini di divertimento, però, credo di essermi divertito maggiormente con "Queen of Candesce" e "The Sunless Countries" . Entrambi fanno parte della serie Virga, hanno rappresentato semplicemente una gioia da scrivere, senza attrito, dubbi o esitazioni nel processo.

Nick:  Tra i tuoi colleghi quali segui con maggiore attenzione ed interesse?

K.S:  Non ho preferenze particolari riguardo alla generazione attuale, anche se devo dire che in inglese, China Mieville sta facendo alcuni dei lavori più interessanti. Anche se sono stato associato alla"hard" science fiction, ho anche poco interesse riguardo a quegli scrittori che scrivono una fantascienza rigorosamente basata sulla scienza. Ci sono stati diversi scrittori di fantascienza del secolo scorso, tuttavia, che hanno rotto con la mentalità del genere, con l'esteso dominio americano e britannico del medesimo, e utilizzato la fantascienza come strumento esplorativo. Come ho detto prima, Stanislaw Lem ha avuto il maggior impatto su di me; non è importante quanto attuale sia, ma che sapesse come porre le domande giuste attraverso i suoi racconti.
Nick:  Progetti futuri: di cosa ti stai occupando adesso e cosa dobbiamo aspettarci da Karl Schroeder nel prossimo futuro?

K:S:  Ho un certo numero di progetti in corso contemporaneamente, ed è la prima volta che questo mi accada. Io di solito scrivo un romanzo alla volta, ma attualmente ne sto progettando tre. Uno è legato a "Lockstep," che è stato appena pubblicato da noi in inglese (il 25 marzo). Un'altra potrebbe completare il tema iniziato con "Ventus" e poi sviluppato in "Lady of Mazes." Il terzo è un brano realizzato su commissione di cui non posso parlare. Ho una nuova storia che esce all'interno del progetto "Hieroglyph" di Neal Stephenson, e qualche altro lavoro che uscirà in antologia. Così, sono impegnato, e abbastanza felice.
Nick:  Bene,è tutto. Ti ringrazio ancora e nel salutarti ti rivolgo la classica domanda finale di Nocturnia: c'è qualche domanda a cui avresti risposto volentieri e che io invece non ti ho rivolto?
K.S:  Normalmente io mi ritrovo con delle cose in più da dire al termine di un colloquio, ma non credo che avvenga anche questa volta. Naturalmente, più tardi (probabilmente proprio appena quest'intervista sarà pubblicata) mi renderò conto che c'era qualcosa di importante che ho dimenticato di citare, e poi io mi schiaffeggerò sulla fronte e dirò: "D'oh!" Come fanno in America. Ma non adesso.
Grazie mille per il tuo interesse nei confronti del mio lavoro e per le tue domande gentili!

* Casa editrice specializzata in temi cristiani.


INTERVIEW WITH KARL SCHROEDER- THE ENGLISH VERSION!

Today I am publishing an interview with the Canadian writer Karl Schroeder. 
I thank the writer for his kindness its availability. 
This is the first interview that Italian Schroeder and I are very proud to have been granted to Nocturnia. 

Happy reading to everyone


Nick: Welcome to Nocturnia, Karl, and thank you for agreeing to answer this interview . Starting I ask you to tell us about the beginning of your career. In particular, I'm interested to know what has drew you to science fiction ?
Karl Shroeder:  When I was a boy, one of the bookshelves in our home had three shelves with three main authors on them: Georgette Heyer, the historical romance writer; Agatha Christie, the mystery writer; and Andre Norton, American science fiction writer. Each had dozens of books published at the time. I may have started reading the Andre Norton books because they were on the lowest shelf, but for whatever reason I became hooked on SF at an early age.
My mother had written and published two novels with Zondervan Books*, so those were in the bookshelf as well. It seemed, therefore, a natural career option to become a writer. I began work on my first novel when I was 14 years old, and finished my first novel when I was 17. I’ve been writing ever since.
Nick: What were the writers that have trained you as a player more than as a writer? Of course you can also mention movies, TV series, comics and anything else you can think of.
Karl Schoreder:  My biggest influences weren’t American SF writers or TV shows, but a handful of British and European writers. Wells was a big influence, but it was Stanislaw Lem who had the greatest effect on me. He was writing about nanotechnology in the 1950s!
Nick:  I know this question probably has grown you tired of answering , so I apologize in advance : You come from a Mennonite community ( from Manitoba , right?) And Mennonites , for all we know we in Europe are not normally associated with the technology , you then also have a background as a physicist . How does your cultural background influence your writing?
K.S:  Just to correct you a bit: I am not a physicist. There was some mistaken text to that effect in the biography in my first novel, but it’s not true. I have a Masters degree in Strategic Foresight and Innovation, making me a professional futurist, but I am not a scientist.
The Mennonite community I come from is pretty modern, and fully assimilated into Canadian society. I grew up in a moderately-sized town and went to an ordinary public school. So my education and experiences are pretty much the same as any Canadian. One thing of note, though: the famous “golden age” science fiction writer A.E. van Vogt actually came from the same community. My mother remembers the Vogt family from when she was a child. So, something about southern Manitoba seems to have bred at least two Mennonite SF writers, so far.

Nick:  In 2000 you publishes " Ventus " your first solo novel , " Ventus " is a novel about interstellar travel , terraforming and nanotechnology , and has a strong background of science fiction , but at the same time in the various chapters you use many styles and elements of fantasy from what did this mixture offear? And above all, was this a conscious choice or random mixing of genres?
 K.S:  I deliberately set out in Ventus to mix genres. The book is designed to feel like high fantasy at first (like a Tolkien novel or Game of Thrones) but it slowly mutates as the plot develops, until by the end it is a full-blown “hard” science fiction story. I’ve done this kind of thing several times now, most notably with the Virga books, Sun of Suns and its sequels; they have a very 19th century feel to them and are stylistically part of the Steampunk tradition, but they’re set a thousand years in the future and not even on a planet. I love playing with genres and styles, and creating unexpected combinations. My newest novel, Lockstep, is being marketed as an adulthard” science fiction novel, but it has a 17 year old protagonist and is very much a young-adult story.
Nick:  Also in " Ventus ", but also in its prequel " Lady of Mazes " (2005) there are several philosophical themes . How do you reconcile the pure description technological and scientific with philosophy (in particular with the theme of speculative realism ? )
K.S:  I think of technology as experimental philosophy. In these novels, I crafted designed technologies that embodied certain philosophical problems. For instance, in “Ventus,” I was concerned with ideas that the speculative realist school, and particular Quentin Meillassoux, now call “correlationism” and “ancestrality.” Of course, the way that these ideas are embodied is far from abstract. For instance, in “Ventus,” an artificially intelligent starship named The Desert Voice jettisons all its mechanical systems and disguises itself as a human being; but it finds passing for human difficult, and has to make the levels of deception run deeper and deeper. It starts out faking emotions and tears, and ends up having to make them more and more genuine, until in the end its emotions are real and it has made itself entirely human.
Nick:  I think I have read that " Ventus " was the result of your crisis period and that at the beginning you thought that would never have been published , is this thing real ?
K.S:  Prior to writing “Ventus,” I had attempted several times to write novels that I thought the market would respond well to. I was unable to interest any publisher in those, and became frustrated. The whole experience forced me to re-evaluate why I was writing in the first place, and I decided that the only good reason was for my own enjoyment; so, I set out to write the novel I wanted to read. I was pretty sure nobody else would care about the ideas or be interested in reading it. But after working on it for a couple of years I mentioned it to Tor Books’ editor, David Hartwell, at a publisher’s party where I was hanging out with the established writers. He took an immediate interest and encouraged me to finish it. When I sent it to him he bought it without hesitation. So there’s a lesson there, one I’ve taken pains not to forget: write what you care about, not what you think the market cares about.

Nick:  In 2002 comes another important novel , " Permanence " In " Permanence " addresses the issue of technology and the evolution under another form : that the technological development of a species does not necessarily guarantee survival. Could you explain this concept?
K.S:  In Permanence humanity discovers that it’s essentially alone in the universe, because every other starfaring species has eventually devolved back into non-tool-using forms. I’ve had a bit of an argument with astrophysicist Milan Cirkovic over this idea. Basically, I take intelligence to be, for a given organism, a trait like any other trait. It’s like having sharp teeth or long fur. For one animal, in a given environment, it might convey an evolutionary advantage. For another in a different circumstance, it wouldn’t. The main thing that tool-making intelligence like ours is good for is moving from ecological niche into another. Humans have spread over the Earth because we use technology to enable us to live anywhere. So technology, and the intelligence that goes with it, are good for species that are on the move. Once a species has settled comfortably into a region and spent some time there (that is, hundreds of thousands to millions of years) it will adapt to the environment and no longer need technologies or the intelligence that go with them. Although Cirkovic has pointed out that a deliberate strategy of keeping oneself ‘off balance’ or slightly maladapted might help a species retain its intelligence over the long term (more or less the solution I chose in Permanence), nobody has ever refuted this idea convincingly.
Nick:  We can also say that " Permanence " is your personal response to the Fermi's Paradox about so far we have not encountered alien species ?
K.S: If the ultimate fate of intelligence is to fade away after having accomplished its adaptive purpose, then yes, this would explain why we seem to be alone. We seem to be alone because the trait we prize so highly has a limited period of usefulness for a species.

Nick:  You have been the founder of SF Canada, the Canadian National Science Fiction and Fantasy Writers  Association in 1989 , and you was also president. Would you like to talk about this association and your experience to Nocturnia readers ?
K.S:  I was not the founder of SF Canada; that honor falls to a number of other people, most notably Candas Jane Dorsey, author of the excellent novel Black Wine. The creation of SF Canada was an important moment for Canadian science fiction, because it was the first time that the diverse and scattered writers, living all across the continent, were able to come together and establish a collective identity. Living next to a cultural and economic powerhouse like the United States makes maintaining one’s own identity and values very difficult. When all your TV, your radio, your books and magazines, all come from across the border, what do you have that defines you as uniquely Canadian. We were able to discover that indeed we did have a distinct and different perspective, and that Canadian science fiction had contributions to make to the literature that could not be duplicated by American authors.

Nick:  This question I have also addressed to Robert J. Sawyer when I interviewed him long ago : do you think the Canadian speculative fiction has some differences compared to the American one? And if so what ?
K.S:  Canadian science fiction generally exhibits a different relationship to the environment or, more exactly, to the physical world. Nature is less a force to be conquered, as it is often depicted in American SF, and more a potential ally or enemy to be negotiated with. This view comes directly from the Canadian experience of the natural world. As I write this, the east coast of the country is recovering from an overnight blizzard—on March 26th!—that dumped 50 centimeters of snow and then blew it around with 186 kilometer-per-hour winds. Nature like that is not to be conquered; and in a number of recent stories (and in “Ventus”) I describe situations in which technologically-augmented natural systems “wake up” and it becomes necessary to negotiate with them as political actors in their own right.

Nick:  In Italy have recently translated a few of your stories starring the contractor Gennady (To Hie from Far Cilenia ; Laika 's Ghost ) . Gennady is a great character and has very impressed Italian readers . Will you write more about him, maybe some romance ?
K.S:  I love Gennady. He’s the trash collector for all the 20th century’s naïve, wide-eyed social and ecological experiments. He’s the guy who cleans up after Chernobyl. What makes him lovable to me, though, is that this role has not made him cynical, nor made him anti-technological. He just plods on, fixing the messes and hoping for the best. And of course his basic shyness around people is part of what makes him travel to the empty and lost places of the world, where no one else will go. Who else would take a job shooting central Asian camels that have become radioactive after grazing in an old nuclear test site?
Because he is exactly the opposite of the dashing spy, I do hope he finds romance. I’m still trying to imagine what sort of woman would fall for him.
Nick:    You invented the concept of the " Thalience " , would you explain it to us?


K.S:  Thalience is a name I’ve given to a particular puzzle from artificial intelligence (AI) research. The question is, would an AI simply inherit all our human categories for understanding the world (up, down, inside, outside, human, machine), or would it—could it—invent its own? If it did, it would be what I call “thalient,” as opposed to intelligent, because we might not even recognize a thalient AI as having intelligence. It would simply be too alien. In “Ventus,” this divergence of basic comprehension is exactly what occurs, with tragic results for the humans involved.
Nick:  Between your novels, which one do you prefer, which has given you the most satisfaction and which one you'd not write today (or maybe you'd write in a different way ? )
K.S:   I don’t like to single out favourites, it’s bad for business. I can’t tell you which you’d enjoy the most, or even which ones are “better” than others. Certain books have been great fun to write, and a couple of have been transformational experiences for me. “Ventus took me seven years to write; I was essentially making myself into the writer I had to be to tell the story I wanted to tell, and so that book was hugely transformational for me. The same is true for “Lady of Mazes,” which was the first time I’ve deliberately laid down multiple throughlines—like the multiple layered tracks in an audio recording—that would allow the reader to read and reread the same story and get something new out of it each time. Strictly in terms of fun, though, I think I enjoyed “Queen of Candesce” and “The Sunless Countries” the most. Both are part of the Virga series, but were simply a joy to write, with no friction, doubts, or hesitations in the process.
Nick:  Between your colleagues who do you follow with greater attention and interest?
K.S:  I have no particular favourites from the current generation, although I will say that in English, China Mieville is doing some of the most interesting work. Although I’m associated with “hard” science fiction, I also have little interest in those writers who attempt rigorously science-based fiction. There have been several SF writers in the past century, however, who broke with the mindset of the largely American and British-dominated genre, and used science fiction as an exploratory tool. As I mentioned earlier, Stanislaw Lem has had the most impact on me; it’s not important how current he is, but that he knew how to ask the right questions through his stories.

Nick:  Future plans : what are you working on now and what we can expect from Karl Schroeder in the near future ?
K.S:  I have a number of projects going simultaneously, which is the first time this has happened to me. I usually write one novel at a time, but am currently planning three. One is related to “Lockstep,” which was just released here in English (on March 25). Another would complete the argument begun in “Ventus and then developed in “Lady of Mazes.” The third is a commissioned piece I can’t talk about. I’ve got a new story coming out in Neal Stephenson’s “Hieroglyph” project, and some other anthology work coming as well. So, I’m busy, and pretty happy about it.
Nick:   Well , that's all . Thank you again and saying to you hello I address the classic final question of Nocturnia : Is there any question that you would have responded willingly and yet I will not I addressed ?
K.S:  Normally I do have extra things to say at the end of an interview, but not, I think, this time. Of course, later on (probably just as you publish this) I’ll realize there was something critical that I forgot to mention, and then I’ll smack my forehead and say, “d’oh!” as they do in America. But, not right now.
Thanks so much for your interest in my work and for the kind questions!
* publishing house specializing in the publication of books of Christian argument.

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