Intervista di Carina Spurio a Davide Rondoni e Federica D’Amato ed al loro libro “I termini dell’amore”

Creato il 28 febbraio 2016 da Alessiamocci

“Perché la poesia non pone rimedi ai mali del mondo, non regala consolazioni, ma offre se stessa in perfetto equilibrio su un filo di lama e la scommessa sul piede teso, prossimo al passo successivo: quel percorso può essere interminabile ma tanto inutile quanto necessario.”

“I termini dell’amore” (Carta Canta Editore, 2015) è il frutto della collaborazione tra Davide Rondoni e Federica D’Amato che hanno deciso di affidare le loro conversazioni nate dalla voglia di dialogare alla scrittura. Dall’ intreccio di sillabe si è creato un percorso di sei giorni, sei dialoghi, sei lune: illuminato dalle parole protagoniste delle storie d’amore.

Partendo dalla ‘gioia’, giorno per giorno, hanno assegnato una parola al successivo percorso ideale, per arrivare  all’eleganza della ‘grazia’, al valore universale della ‘bellezza’, alla meravigliosa luce di un ‘sorriso’ fino al ‘ricordo’, per testimoniare che nulla passa fino alla ‘fine’. Federica D’Amato inizia il suo dialogo mentre si descrive intenta a leggere il Libro di Davide Rondoni ‘L’amore non è giusto’, il libro che Davide ha pubblicato nel 2013 con CartaCanta, sottolineando che, durante la lettura, ha pensato fosse facile scrivere un libro così. Eppure dopo aver girato l’ultima pagina si è resa conto che l’amore è l’unica cosa giusta di questa nostra vita e rimprovera con garbo Davide Rondoni per averlo fatto passare come la cosa più ingiusta.

Ne segue un dibattito fluido come un fiume, fatto di tempo e acqua e di tanti altri rivoli, figli dello stesso corso, che scorrono intorno a poeti, scrittori e citazioni, pur mantenendo intatta la personale concezione della ‘parola’. Quasi subito, Davide Rondoni, usa la metafora dell’acqua ed afferma: ‘La vera gioia di lavorare con le parole è come quando vai a vedere il mare, e vedi le piccole onde che si frangono, le parole sono quelle onde, ma queste vanno e vengono perché c’è un grande mare alle spalle che le porta.’

Federica prosegue, sostenendo che dalla parte del poeta c’è il lavoro sulla parola, sebbene entrambi sanno che nel destino dell’uomo c’è la spinta a raggiungere l’altro o gli altri proprio attraverso la parola e che per il poeta questo atto è dono e fatica. Il discorso continua, è affascinante nella convergente divergenza. ‘Si deve scrivere quando si prova la gioia, non su di essa’, interviene Federica D’Amato. E Davide Rondoni aggiusta il tiro:E allora butti via Leopardi?’ E conclude con decisione: ‘però non si può scrivere quando si è nella gioia e basta, bisogna scrivere sempre. Uno scrive quando cazzo gli viene.’

Per un solo attimo sconfina, entrando nel regno degli scrittori di professione, per non limitare il discorso alla poesia accolta nelle parole. Ma la parola resta comunque la protagonista del loro sodalizio amichevole: rivela, apre le porte, mentre si continua a cercare la conoscenza nel gesto e in quel fluire malinconico, ebbene sì, privo di gioia, con cui si sprofonda nell’inferno personale: ‘A te lo scrivere non dà consolazione?chiede Federica D’Amato a Davide Rondoni e lui risponde: No. È certamente bello leggere le poesie degli altri. Scriverle è un inferno.’  Credo che i termini dell’amore sia un duetto molto interessante, perché solleva il lettore in uno stato di grazia nel punto di radicalità mistica di Madre Teresa e successivamente di Mario Luzi, quando Davide Rondoni regala al lettore una poesia del sopracitato poeta: ‘È lungo, eppure/ su di lei passa,/ finisce/ dei suoi piccoli monti,/ si eclissa tra le pieghe/ dei suoi aridi dossi,/ se ne va il giorno/ e l’uomo/ e la vita ch’è in loro/ se ne va/ avendo e non avendo/ saputo qual è stata la sua parte …/ ma è stata – lei lo sa-. È stata/ e questa la fa piangere/ talora di grazia e di letizia.’

Con questi versi sembra di vedere tutto lo struggimento di un uomo che descrive un panorama ascetico verso la fine del ‘900, al termine di un secolo duro. Dopo simili capolavori in versi si comprende che non si sbaglia mai quando si avvolge il tempo dentro le parole per sciogliere quei nodi intrecciati dalle domande senza risposta. Perché la poesia non pone rimedi ai mali del mondo, non regala consolazioni, ma offre se stessa in perfetto equilibrio su un filo di lama e la scommessa sul piede teso, prossimo al passo successivo: quel percorso può essere interminabile ma tanto inutile quanto necessario.

Ma saranno Davide Rondoni e Federica D’Amato a raccontarci la storia di questa collaborazione dalla quale è nato il loro libro. Buona lettura!

C.S.: Prima della gioia viene la mia prima domanda: da dove è nata l’idea di realizzare un libro con i vostri dialoghi?

Davide Rondoni: L’idea è venuta a Federica per discutere del mio libro precedente sull’argomento “L’amore non è giusto” sempre per CartaCanta editore.

Federica D’Amato: È nata dalla nostra amicizia. Un giorno Davide, quasi per gioco, mi ha chiesto: “Perché non facciamo un libro insieme?”, e io non potevo far altro che accogliere l’idea. Un’idea che in realtà era già la realtà tutta dialogica e dialettica di quello che siamo, non abbiamo dovuto far altro che dare un senso e una direzione ai nostri colloqui mettendoli per iscritto. Ciò non significa che sia stato semplice, soprattutto nella fase di stesura e riscrittura dei , perché il parlato ha regole ed esigenze differenti dallo scritto; inoltre, per portare avanti il progetto, ci siamo entrambi inseguiti in giro per l’Italia, fra treni, ristoranti, bar, sigari e sigarette, albe e tramonti, strappando del tempo prezioso ai nostri mille impegni e alla quotidianità delle nostre vite. Ma ne è valsa la pena.

C.S.: In questo libro avete rivalutato le parole che illuminano le storie d’amore partendo dalla gioia che tutti sanno cos’è ma nessuno sa spiegarlo…

Davide Rondoni: Beh in fondo i poeti servono a far vivere le parole, così che la vita stessa viva di più… Magari ricorrendo a delle immagini, come per la gioia quando dico che è come vedere una fontana…

Federica D’Amato: Infatti è inspiegabile, altrimenti che gioia sarebbe? Davide illustra bene questa inspiegabilità della gioia nel descriverla come una fontana, uno zampillo, un gioiello grazie a cui la realtà risplende. E’ con la luce di questa specie di battesimo delle cose che la gioia inaugura la realtà ovvero l’amore, il primo sguardo sulle cose, la prima volta in cui si vede l’amato o l’amata e l’un l’altro ci si riconosce. Una specie di festa del tempo, ma al di là del tempo.

C.S.: Alla fine: ‘niente è automatico e tutto ha bisogno di cura. Tutto nella sua ingiustizia ha bisogno di cura’ …

Davide Rondoni: L’uomo è un essere libero, e questo scandalizza tutti i benpensanti moralisti e i potenti. Nulla in noi è automatico se non certe funzioni vitali che ci tengono in piedi e che non abbiamo avviato noi: il battito del cuore, il dilatarsi dei polmoni nel respiro… ma tutto il resto ha che fare con la libertà, che è l’energia che cerca soddisfazione nella esperienza della liberazione. La cura è un atto libero verso ciò e verso chi si ama. Ad esempio la cura del perdono, della attenzione ripetuta, è un gesto libero che asseconda questa cosa (per fortuna) fuori misura, esagerata, ingiusta dunque che è l’amore.

Federica D’Amato: Per iniziare i nostri dialoghi siamo partiti da ‘L’amore non è giusto’, il libro che Davide ha pubblicato nel 2013 con CartaCanta, il nostro editore; in quel libro Davide afferma cose con cui non ero d’accordo, e proprio dal mio chiedergli spiegazioni a riguardo siam partiti nella definizione dei nostri termini. Gran parte del discorso iniziale, quindi, ruota intorno al concetto di ’giustizi’ in amore (e non solo), fino ad arrivare alla considerazione – certo mai pacifica o consolatoria – citata dalla tua domanda. Ma l’orizzonte che quella cura apre agli occhi degli amanti è anch’esso un limite, una dismisura che resta e che ci interroga, continuamente, e forse ci misura.

Written by Carina Spurio 


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