«Mi avvilisce» disse Vera senza guardarmi.
«Che cosa?»
«Pensare che non parleremo d’altro.»
«E di cosa parleremo?» le chiesi.
«Uomini, donne, sentimenti.»Grazia Verasani (Bologna, 1964) ha pubblicato numerosi romanzi tra cui Quo vadis, baby?, dal quale Gabriele Salvatores ha girato l’omonimo film nel 2005 e prodotto la serie tv Sky diretta da Guido Chiesa, e i noir Velocemente da nessuna parte, Di tutti e di nessuno e Cosa sai della notte, con protagonista l’investigatrice privata Giorgia Cantini. È anche musicista e sceneggiatrice, ha collaborato con riviste e quotidiani e pubblicato racconti su varie antologie. Ha scritto opere teatrali come From Medea-Maternity Blues, rappresentata sia in Italia che all’estero, diventata un film pluripremiato per la regia di Fabrizio Cattani. E il monologo Vincerò sulla vita e la carriera di Luciano Pavarotti, interpretato tra gli altri da Michele Placido. I suoi romanzi sono tradotti in vari paesi tra cui Francia, Germania, Russia. Nel 2013 è uscita la raccolta di racconti musicali Accordi minori. Il suo sito è www.graziaverasani.it
Francesca: "Ci sono dolori che non finiscono mai, se non in una specie di ripostiglio che ti rifiuti di aprire, ma di cui non ignori mai la presenza”, e non basta cambiare mobili di casa, vero?Grazia Verasani: No, non basta. Ci sono dolori con cui volente o nolente devi “simpatizzare”, è un dialogo sotterraneo e intermittente, è una commozione alla radice, e non si sfugge.
Francesca: Una breve vacanza, quella delle tre protagoniste, dentro un tempo e uno spazio che sembra fuori del mondo. La consapevolezza è un pacchetto che puoi trovare solo fuori stagione?Grazia Verasani: Il loro non è un viaggio organizzato. E’ un’ipotesi di rifugio, saltuario ma profondo, come la qualità del loro legame. L’inverno, con mare rumoroso in sottofondo, rappresenta in parte lo stato d’animo che stanno attraversando, il guado dei cinquant’anni, il timore che i rimpianti impediscano nuovi possibili sogni.
Francesca: Nell’amicizia tra donna, vi è più ironia o critica? O “L’ironia è critica”?Grazia Verasani: “Ironia è critica” è una frase del grande Harold Pinter, drammaturgo e regista. Agnese, Carmen e Vera giudicano se stesse e il mondo. Coltivano il loro spirito critico e cercano di farlo con ironia, ma senza cinismo.
Francesca: “Il grande amore è quello che provi per qualcuno che non c’è più”, è davvero così?Grazia Verasani: A volte è più facile amare l’assente. Perché non è sottoposto allo stillicidio della quotidianità e delle verifiche. Abbiamo bisogno di realtà, ma anche di immaginazione. E il grande amore, in senso romantico, è spesso impossibile. Impossibile da vivere nella realtà. Riparato. Idealizzato. Come un segreto. Io credo in un amore più prosaico. In un’intensità graduale e resistente. Ma le ustioni che ci portiamo appresso sono quelle degli amori finiti, i più burrascosi, e forse i più letterari.
Francesca: C’e tanta sincerità nel tuo romanzo, tanta Grazia, intensità, filosofia e poesia.Tra Vera, Agnese e Carmen, in quale donna ti riconosci di più? O ognuna di loro ha qualcosa di te?Grazia Verasani: La cosa che mi interessa di più, quando scrivo, ma anche quando sono in mezzo agli altri, nella vita di tutti i giorni, è l’autenticità. Occorre tempo per disfarsi delle strategie, per imparare a somigliare a se stessi. Diventa più naturale con gli anni. E nei libri, considerato l’autobiografismo di cui li nutro, c’è la stessa nudità, che si riflette anche nel mio stile, sempre più asciutto. Tra le tre protagoniste quella che amo di più è Vera, perché è una donna dura solo all’apparenza, ha questo orgoglio da combattiva tenace, e poi scivola anche lei, e mostra la sua parte più vulnerabile.
Francesca: L’8 marzo, con “Mare d’Inverno”, hai vinto il Premio Letterario Rosa, un premio al femminile, che parla di donne alle donne. Dieci romanzi, dieci donne, tra cui, immagino, anche tue care amiche. Come è stato condividere questa vittoria? C’è sempre competizione tra donne?Grazia Verasani: Quando si scrive un libro, non si sceglie il sesso del proprio lettore. Ci si rivolge a donne e uomini indistintamente. Ma è comunque vero che questo romanzo nasce come un omaggio alle donne, al loro modo (diverso da quello maschile) di stringere alleanze, di essere amiche. I sentimenti esulano dall’identità di genere, e sono felice che questo romanzo sia piaciuto anche agli uomini. Anche i premi fanno sempre piacere, e ci sono colleghe con cui nascono sintonie immediate. Al premio concorreva anche Alessandra Sarchi, una scrittrice bravissima, che mi onora della sua amicizia. Non ho mai provato competizione perché non vivo la scrittura come una gara. Invidia sì, per chi scrive come io vorrei scrivere. Mi tengo lontana da arrivismi e ambizioni cieche, e so intuire chi diventerà qualcuno da ammirare anche nella vita o a cui volere bene. Comunque, la competizione, non l’hanno inventata le donne.
Francesca: "La felicità è la prima cosa che ci dimentichiamo", hai scritto tra i dialoghi delle protagoniste. A te succede questo?Grazia Verasani: Sì, mi succede. Tendo a rimuovere i complimenti, quando me ne fanno. Li dimentico subito. Ho questa paura di compiacermene. La felicità non è uno stato permanente, lo sappiamo, ma perdersela è da stupidi.
Francesca: "Imparare a bastarsi”, in pochi ci riescono, forse nessuno. Ognuno di noi è fragile a modo suo, uomo o donna che sia, e cerchiamo spesse volte una spalla a cui appoggiarci. Ci si può bastare anche nel dolore?Grazia Verasani: Ho sempre creduto che siamo tutti entità separate le une dalle altre. Ma che soli siamo incompleti. L’altro, gli altri, sono fondamentali. Ogni bell’incontro lo è. E io amo incontrare. Ciò non toglie che mi fido maggiormente di chi non vive la solitudine come una nemica. Amo essere libera e amo le persone libere. C’è quel passaggio di un romanzo di Steinbeck in cui lei dice lui: “Se mi accompagni sarà una passeggiata, se vado solo sarà un’avventura”. Ecco, io sono un po’ così.
Francesca: Nel tuo romanzo, le protagoniste sono tre donne che mettono a nudo le proprie insicurezze, le paure, le insoddisfazioni, ma ci sono anche uomini con gli stessi problemi: “la stessa insicurezza che ti fa strafare, le stesse gaffe, stesso timore di venire respinti, di essere troppo magri o troppo grassi, di scoprire le proprie carte”. Grazia Verasani: Amo gli uomini che piangono, che si disarmano, che mostrano i loro punti sensibili. Il momento del romanzo in cui le tre protagoniste incontrano uomini simili a loro è il fulcro del libro, volevo proprio dire questo: abbiamo le stesse paure. Quindi è inutile vedersi come avversari.
Sinossi:
Tre donne di oggi, in un’età di bilanci fatti con coraggio e ironia, battute caustiche, dialoghi divertenti e avvelenati, emozioni messe a nudo, verità che non si nascondono.
Mare d’inverno è un romanzo sull’amicizia tra donne, un Grande Freddo al femminile con un’ironia “alla Almodóvar”. La voce narrante è quella di Agnese, che fa l’insegnante, con un matrimonio arrugginito e una figlia diciottenne. Poi ci sono Vera, giornalista di successo, e Carmen, attrice prestata al doppiaggio. Sono vicine ai cinquanta e sono amiche dai tempi dell’università. Adesso si ritrovano a passare insieme, in una villetta della riviera romagnola, i giorni che precedono il Capodanno. La scusa è quella di consolare Carmen che si è rifugiata lì per riflettere sulla sua ennesima sconfitta sentimentale. In quel posto semideserto, freddo, desolato, tra alberghi chiusi e il mare d’inverno della canzone di Ruggeri, le tre donne rinsaldano la loro amicizia, con liti passeggere, ricordi che affiorano, confidenze, rimpianti, amori che non si dimenticano. Ma soprattutto ridono, o imparano a farlo, in un’età in cui la giovinezza sembra già alle spalle. Vera, pur essendosi pienamente realizzata nel lavoro, non è felice, come non lo è Carmen, che ha sempre messo l’amore al primo posto, e Agnese dovrà decidere cosa fare del proprio matrimonio. Una breve vacanza in cui conosceranno qualcosa in più di loro stesse, e avranno anche l’occasione di incontrare uomini che scontano lo stesso malinconico “fuori stagione”. E insieme, forse, troveranno la forza di andare avanti più consapevolmente, senza paura della solitudine.