“Io e la mia sedia” è il documentario di Angelo Amoroso d’Aragona proposto lo scorso 17 novembre a Bari nell’ambito della rassegna “ViSuoni – Musica per pensare” a cura del Club della Canzone d’Autore in collaborazione con la Mediateca Regionale Pugliese.
Enzo del Re (1944 – 2011) – “cantaprotestautore” di Mola di Bari (Ba) – rappresenta la forza che soggiace alla storia e la cultura di una terra, la Puglia, che ha sempre dovuto lottare per sopravvivere alle crisi sociali, economiche e culturali. Un ragazzetto riccio dal piglio scontroso, ma di una coerenza irresistibile ed affascinante, diffidente ed ostinato. Un artista che ha voluto fare musica con il proprio corpo accompagnando la voce graffiante solo con strumenti “poveri”, come povera e semplice ma al contempo indispensabile sa essere una sedia – simbolo di chi “lavora con lentezza” e si impegna -. Cosa resterebbe agli esseri umani se non potessero raccontarsi, se non potessero esprimere il senso della proprio lotta? Incidere nella realtà era per Enzo del Re attraversare la commedia, la tragedia che è la società senza piegarsi alle logiche del mercato. Libertà era vivere nel mondo senza dovere scendere ad alcun tipo di compromesso, era essere sempre aperto alla discussione. Una presa di posizione forte, scomoda, e forse anche per questo molti non hanno ascoltato le sue canzoni: non siamo più abituati a scegliere e nemmeno a farci scegliere, ma questo è un altro discorso.
In “Io e la mia sedia” alcune testimonianze – come quelle di Vittorio Franceschini e di Antonio Infantino – si incrociano con close-up e head-on shot incisivi su Enzo del Re che non sa disvelarsi mai e rimane sempre distaccato e profondamente critico anche nei confronti di se stesso. Angelo Amoroso d’Aragona è lo sguardo che segue questo ricordare, questo ricostruire gli incontri e la produzione del cantastorie pugliese. Un montaggio che restituisce tutta la complessità della figura di un uomo che Amoroso d’Aragona insegue nella quotidianità, tra i rumori del traffico mentre se ne va in bicicletta o in una accesa chiacchierata in macchina lungo le strade che hanno riportato del Re ad un pubblico che ancora oggi spesso ignora o sottovaluta le sue canzoni.
Il concerto del primo maggio 2010 è un testamento: uno degli ultimissimi saluti del “cantaprotestautore”. Le immagini scorrono veloci, il bianco e nero rincorre e calca il ritmo serrato delle parole e della musica del cantastorie, il montaggio incalzante restituisce tutta la potenza espressiva della voce che scuote.
A raccontarci il documentario e il rapporto con Enzo del Re è Angelo Amoroso d’Aragona regista e sceneggiatore. Nel 1993 il suo esordio con due cortometraggi “Stesso desiderio” e “Frammento orfico” entrambi Premio Qualità nel 2000. Con “Lo Stadio della Vittoria” documenta la vicenda drammatica della nave Vlora approdata carica di profughi nel porto di Bari nell’agosto del 1991 e raccoglie l’interessamento di Rai Educational e del QKK Centro di Cultura Cinematografica di Albania, della Regione Puglia e di Apulia Film Commission. I suoi documentari sono un percorso a metà tra l’antropologia visuale e gli appunti filmici. Vincitore con “Fuori Campo” del Primo Premio al Torino Film Festival nel 1995 come Spazio Italia Non Fiction, nel 2004 il suo corto “Il dio della pioggia” è stato presentato in concorso nella sezione “Corto cortissimo” alla 61^ Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e nel 2006 ha vinto il premio alla Migliore Regia del New York Short Film Festival. Nel 2009 per conto della Teca del Mediterraneo e della Cineteca Nazionale ha curato e diretto il restauro con riedizione musicale di “Idillio Infranto”, primo film muto pugliese del 1931. Il restauro con tecniche digitali innovative è stato presentato in anteprima al Festival del Cinema Europeo di Lecce il 15 aprile 2010. Il 16 novembre 2009 gli è stata conferita la Laurea Honoris Causa come Doctor of Arts dalla Adam Smith University of America.
Ha ideato e avviato un archivio inter-regionale del cinema e del video: RECIDIVI (Repertori Cinematografici Digitali e Video) che partendo dal restauro di “Idillio Infranto” vuole censire il cinema pugliese senza trascurare i repertori grezzi o il cinema sommerso e quello familiare. Attualmente è coordinatore della Mediateca Regionale Pugliese.
I.G.: Com’è nato il documentario “Io e la mia sedia”?
Angelo Amoroso d’Aragona: Mi è stato commissionato da “Teca del Mediterraneo” nell’ambito di un Progetto Memoria. Avevo già lavorato per la Teca al restauro di “Idillio Infranto”, il primo lungometraggio muto girato in Puglia (un film che venne ritrovato quasi per caso, rimasto a lungo inedito con una storia particolarissima per le vicissitudini sia dei personaggi, sia di chi lo produsse e lo girò). Fu proprio Valdemaro Morgese ad insistere affinché fossi io ad occuparmi di Enzo del Re. Non lo conoscevo, ma proprio questo fu, sempre secondo Valdemaro, il motivo per cui avrei potuto fare un buon lavoro.
I.G.: Puoi raccontarci il tuo incontro con Enzo del Re?
Angelo Amoroso d’Aragona: Non è stato facile lavorare con Enzo. «Non sono un attore» mi diceva, perciò con lui doveva essere sempre “buona la prima” perciò non si è potuto mai davvero costruire una messinscena rigorosa. Enzo non spiegava mai quello che diceva. Durante una delle tante riprese gli chiesi «Che significa essere anarchico?» sapendo che poi il documentario avrebbe avuto un pubblico ed era interessante, era necessario dare una indicazione, evitando però il rischio di cadere in una “definizione” dell’artista Enzo più che politica, partitica. «Che sono anarchico» rispose. Non potrò mai dimenticare le parole che mi disse seduto accanto a me mentre guidavo, le parole che chiudono il documentario.
I.G.: Anche se solitamente non si dovrebbe fare, in questo caso è interessante anticipare, perché pare che il finale apra veramente ad un nuovo inizio. Puoi dirci quali sono queste parole?
Angelo Amoroso d’Aragona: Più che le parole, ciò che conta è il loro significato. Enzo non mi aveva detto niente, io non avevo capito niente di lui, ma un giorno avrei capito e lui mi avrebbe spiegato. Era vero: Enzo era un universo complesso e affascinante, ma nessuno potrà mai davvero capirlo perché tutto ciò che diceva, faceva e pensava non è riconducibile ad uno schema. Enzo cominciò ad aprirsi con me solo dopo la prima proiezione del documentario.
I.G.: Affascinante, ma complesso. Lontano dagli schemi. Indecifrabile. Sempre “a tempo”: la sua musica sembra riflettere anche il suo percorso.
Angelo Amoroso d’Aragona: Enzo è sempre stato “a tempo”. Non solo musicalmente parlando; seguendo delle “tappe” per sommi capi, per comprenderlo e seguirne l’evoluzione bisogna ricordare di quando era a Firenze nel ’67 – in quei mesi conobbe Antonio Infantino -, poi è stato con Dario Fo in “Ci ragiono e canto” e da lì in giro per l’Italia fino al Concerto del 1° maggio 2010: Enzo si trovava sempre nel posto giusto al momento giusto. Coerente e deciso come quando componeva, come quando cantava. L’accelerazione di “Scitt’ rà” – mi riferisco alla canzone in dialetto pugliese che racconta l’atto simbolico di un intero paese che caccia una gatta nera con la scopa – è la stessa accelerazione nervosa ed allo stesso tempo rigorosa a cui ha sottoposto tutta la sua esistenza. Per quella coerenza pretendeva di “ri-scrivere” tutte le sue canzoni: aveva capito che quello che si raccontava e si esprimeva negli Anni ’60 era completamente diverso da quello che si poteva dire negli Anni ’90, anche musicalmente. Ritornava continuamente sulle sue canzoni. Rimarrà sempre la curiosità di scoprire l’Enzo delicato come le melodie delle sue prime canzoni. Un Enzo innamorato che, forse, è stato deluso.
I.G.: Sempre riguardo quell’essere “a tempo”, le sue canzoni rimangono assolutamente attuali.
Angelo Amoroso d’Aragona: Enzo era, per me, anche un visionario. Perché proprio il suo modo di fare musica a partire dal proprio corpo (si definiva “corpofonista”), un modo così umano e viscerale è assolutamente originale e in linea con il suo pensiero. La sua musica seguiva il ritmo del suo pensiero ed Enzo era davvero un Poeta: giocava con le parole, aveva costruito tutta un’etimologia fantastica (ricordo questo gioco a proposito della parola “adolescente”, Enzo ci aveva costruito la spiegazione “ad aula uscente” per dire del giovane che vola lontano, che cresce). «Ho lottato per la rivoluzione, non per la pensione» diceva. Enzo era un uomo coraggioso.
I.G.: Enzo anarchico: la vera anarchia – se ripensiamo all’episodio del 1° maggio 2010 – coincide con quel volere essere tra gli altri attraverso la dimensione totale della musica, sempre fedele ai valori e alla coerenza che si era imposto. Anarchia era riuscire ad esprimere la proprio idea di collettività senza rientrare nello schema di un partito.
Angelo Amoroso d’Aragona: L’empatia che creò durante il Concerto del 2010 è qualcosa di formidabile, irripetibile. Resterà nel cuore di molti. Quindi è come dici: Enzo ha lasciato un’eredità immensa, sia artisticamente che ideologicamente. Perché Enzo sul palco cantava e nulla era più importante, il pubblico doveva solo ascoltare.
I.G.: Oltre “Povera Gente”, oltre “Scitt’rà” ed oltre “U cant du Navgant” (Il canto del navigante), qual è la canzone di Enzo che ha per te un significato particolare?
Angelo Amoroso d’Aragona: “Il Superuomo”. Durante il montaggio questa canzone è andata in sincro con il momento in cui Enzo si tocca la lunga barba grigia e guarda dritto in macchina. Il testo della canzone rispecchia il suo carattere, la feroce intransigenza – soprattutto verso se stesso – con cui ha affrontato tutta la sua esistenza. Enzo era molto rigido e osservava le regole che si era imposto con una coerenza assoluta: aveva per esempio deciso di autoprodursi e, nonostante questo significasse restare fuori dal mercato, ha sempre preferito continuare ad essere autonomo.
I.G.: Con Enzo hai condiviso molto. C’è un momento in particolare che ti ha colpito?
Angelo Amoroso d’Aragona: Sono i momenti di dolcezza che porterò sempre con me. I momenti in cui Enzo era un uomo stanco che, fragile, riposava nel suo camerino a Sanremo prima di cantare le sue storie. Era sorprendente: sul palco cantava anche per cinque ore di seguito «Finché anche l’ultimo spettatore non se ne sarà andato, io continuerò a cantare» diceva. Perciò nei momenti di fragilità e di stanchezza, io potevo finalmente cogliere tutta la sua umanità e non potevo non ammirare il suo “assoluto” ancora di più. Con me rimarrà anche la gioia di riprenderlo segretamente mentre scriveva, quella scrittura fitta in stampatello da un margine all’altro del foglio, fino in fondo. Poi ricorderò sempre quando la Signora Nissim – durante una intervista in cui anche Enzo era presente – gli disse «Sei così deciso, rigido e intransigente, eppure le tue canzoni sono così dolci!» a conferma dell’umanità che io stesso avevo intravisto nell’Enzo assonnato. Era destino che io dovessi incontrare quest’uomo.
I.G.: Perché “destino”?
Angelo Amoroso d’Aragona: Perché nelle cinque ore di “Maul” (Mola) in cui Enzo racconta e costruisce il mito della sua città, ad un certo punto parla di Orfeo. Di Orfeo che si fa ospitare e canta le sue canzoni per ripagare il padrone di casa dell’accoglienza. “Il passato sono pietre” canta Enzo ad un certo punto: quelle pietre sono il fondamento di un legame viscerale con la terra pugliese e con la sua cultura, sono la forza di Orfeo ed Orfeo per me rappresenta molto: in “Dio della pioggia” e “Frammento Orfico” è molto presente la suggestione del mito orfico.
I.G.: C’è un momento della vita di Enzo che rimane nell’ombra: la sua adolescenza che si intuisce essere fondamentale nel percorso dell’uomo e del cantastorie.
Angelo Amoroso d’Aragona: Era un Enzo – anche io conosco molto poco di quel momento e perciò rispondo facendo riferimento a quello che potremmo definire un suo “racconto ideologico” – che ascoltava le donne lavorare nei campi. Il canto, la musica scandivano quel lavoro. Lì Enzo mi raccontò di avere scoperto il ritmo ostinato, continuo, fortemente scandito e di avere quindi deciso di seguire questa linea. Con lui il ritmo diventa il ritmo del lavoro, ma anche quello del pensiero. Quell’Enzo ragazzino è rimasto dopo Firenze, dopo Napoli, dopo tutto, proprio in quello scrivere fitto dal principio del foglio fino alla fine senza mai un margine o un bordo lasciato vuoto.
I.G.: Il documentario è difficilmente reperibile, come mai?
Angelo Amoroso d’Aragona: Quello che a tale proposito sento di poter fare è invitare le testate giornalistiche locali e la Feltrinelli Real Cinema a pensare con più interesse al documentario e, magari, a proporlo. Perché è una testimonianza culturale importante. Dopo la morte di Enzo ho continuato a raccogliere interviste e materiale, questo viaggio con Enzo merita di continuare.
I.G.: Progetti futuri?
Angelo Amoroso d’Aragona: Non so se ci saranno altre occasioni per tornare a fare il regista. Alla Mediateca devo riservare molte energie e molto tempo: voglio assolutamente renderla una istituzione autonoma, non affidata al caso del governo della Regione, ma alla competenza di chi ci lavorerà. Dobbiamo ripartire dall’idea di biblioteca e chiederci cosa deve essere questo luogo per la cittadinanza. Dobbiamo perciò riuscire ad applicare il sistema di una biblioteca “without walls” a tutti gli apparati di trasmissione culturale. Si dice che il cinema sia morto. La mediateca esiste proprio per rispondere alla domanda: cosa vogliamo che non muoia del Cinema? Da sempre l’arte conferma l’identità culturale di un popolo, un esempio su tutti la forza del Teatro greco. La Mediateca deve essere il luogo di incontro, di scambio culturale per tutti e con tutti.
Written by Irene Gianeselli
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