Intervista di Irene Gianeselli al teatrologo greco Georgios Katsantonis

Creato il 10 febbraio 2015 da Alessiamocci

Georgios Katsantonis è un teatrologo greco, ricercatore nelle discipline della Storia del Teatro e dello Spettacolo, si è laureato in Studi Teatrali presso l’Università degli Studi di Patrasso (Grecia).

Dopo la laurea ha conseguito il Master di II livello in Letteratura, Scrittura e Critica Teatrale  presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

La sua tesi in Letteratura Teatrale Italiana è diventata un libro dal titolo  «Le opere di Eduardo De Filippo sul palcoscenico greco» uscito nel  2013 con l’intenzione di divulgare e rendere familiare al più vasto pubblico la fortuna di Eduardo in Grecia.

Presentato all’interno delle diverse iniziative culturali in occasione dei trent’anni dalla scomparsa di Eduardo De Filippo, il suo volume ha ottenuto un importante riscontro in Italia.

Georgios Katsantonis  ha collaborato con un contributo sulla critica teatrale al volume collettivo “Testimonianze, Ricerca, Azioni” a cura di Tafuri e Beronio (Akropolis Libri – Le mani, 2014).

Il 24 ottobre 2014 ha partecipato con successo in qualità di ricercatore al convegno internazionale  curato dal professore Pasquale Sabbatino «Eduardo De Filippo e il Teatro del mondo» tenutosi presso l’Università “Federico II” di Napoli.

Il suo intervento  «Eduardo in Grecia, una storia della ricezione inedita» sarà pubblicato negli atti del Convegno dalle Edizioni Scientifiche Italiane.

I.G.: L’agile volume “Critica Teatrale: codici di lettura scenica” passa in rassegna alcune delle interpretazioni sulla nozione di critica. Al di là delle interpretazioni presenti, potresti darci la tua definizione di critica?

Georgios Katsantonis: La critica è la testimonianza di una esperienza, è comunicazione, è espressione e documento di qualsiasi opera creativa/spettacolo  attraverso un dialogo con gli orizzonti di differenti discipline. In ogni caso, un giudizio è un passo ulteriore rispetto al dire “non mi piace”. È il tentare di dire perché mi piace o non mi piace, sempre all’interno di un ambito soggettivo. Io valuto ed esprimo giudizi su un’opera in base alla mia valutazione, in base ai miei parametri. Si potrebbe chiedere «esiste oggi un modo oggettivo, unico, certo, indiscutibile, per valutare un’opera»? A parer mio, no. E questo lo trovo assolutamente affascinante. La messinscena è, sempre, un assemblaggio di sogni e utopie. E queste utopie oniriche e visibili nel linguaggio scenico vengono raccontate dal critico. Ogni critico teatrale le racconta a modo suo. 

I.G.: Fondamentale nel libro è il rapporto fra spettatore e critico: a tuo avviso si tratta di ruoli complementari o perfettamente coincidenti?

Georgios Katsantonis: Il confine tra il critico e lo spettatore è molto sottile, entrambi condividono la stessa passione per il teatro. Lo spettatore consuma in sé l’evento teatrale nel corso dello spettacolo.  La scena teatrale ha bisogno di sguardi per essere interrogata, studiata oppure messa in crisi e, nel contempo, rilanciata. Allo spettatore interessato passano i codici ideologici e psicologici mentre il sottopalco forma un’entità, un corpo che reagisce collettivamente. Lo   spettatore-interlocutore  che assume il ruolo del critico, si siede insieme agli spettatori ma avendo una motivazione competente  guarda lo spettacolo in altro modo.  Il critico ha il ruolo di mediatore: osserva e offre il suo punto di vista. L’assunzione di responsabilità morale e culturale non  può prescindere da questo.

I.G.: Oggi lo spettatore tende sempre più ad una fruizione immediata e piuttosto superficiale del prodotto teatrale. Secondo te quali possono essere le strategie per un coinvolgimento più mediato dello spettatore?

Georgios Katsantonis: La sociologia, la psicologia e la semiologia si avvicinano allo spettatore non come una persona ma come un’entità collettiva. Il piacere dello spettatore consiste in continue ricerche e reazioni che hanno come obiettivo focalizzare, escludere, combinare e comparare. Brecht scrive che nel teatro il pubblico regola la rappresentazione teatrale. In base a questa osservazione, il ruolo del pubblico è attivo.  Le reazioni del pubblico dipendono sempre dalla sua composizione, la provenienza sociale, la formazione. Non ci sono delle strategie per far coinvolgere lo spettatore ma strumenti per poter provocare anche riflessioni più ampie e teoriche. Lo dimostra emblematicamente la regista francese Ariane Mnouchkine con la rappresentazione teatrale «1789» (trasposizione scenica della Rivoluzione Francese) dove tutti gli attori e gli spettatori prima dell’inizio dello spettacolo si trovano nello stesso spazio. Il processo di visione collettiva e l’osmosi sono convalidati da una osservazione reciproca. La coesistenza degli attori e degli spettatori in un teatro interattivo conferma che il teatro non può essere identificato con il quarto muro. Tutti convivono in un campo di penetrazione e di estensione dello spazio sociale dove l’intimità si trasforma in avventura. Secondo me il teatro contemporaneo deve mirare a un dialogo, e tra chi vede e chi fa teatro il dialogo è necessario.

I.G.: Qual è quindi il ruolo del critico rispetto alla formazione di uno spettatore consapevole del “fatto” teatrale?

Georgios Katsantonis: La critica teatrale potrebbe e dovrebbe essere uno strumento che dà le chiavi di accesso ad un pubblico per entrare nella lingua propria di quel lavoro, dalla drammaturgia alla rappresentazione, compreso testo, scenografia, lavoro degli attori, regia e tutto ciò che collabora all’ evento teatrale e che viene esaminato in modo “professionale”, più o meno scientifico dal punto di vista antropologico, sociologico ed artistico. Il critico potrebbe e dovrebbe inoltre essere una guida alla formazione del gusto del pubblico. Il critico diventa semiologo, traduttore, interprete di una rete complessa, di un sistema pluricodico, diventa colui che cerca di districare un filo da un altro, di scavare o almeno di far ordine tra i tanti livelli semiotici che si intrecciano nel corso di uno spettacolo teatrale, miniaturista che analizza i segni e li rende comprensibili e fruibili.

I.G.: Il Teatro è anche puro godimento estetico e questo aspetto spesso viene ridimensionato rispetto ad alcuni stereotipi che rimandano ad una nozione intellettualistica di teatro. Come si può riequilibrare i due aspetti?

Georgios Katsantonis: Credo che ci siano logiche di riequilibrio abbastanza naturali. Per onestà intellettuale e professionale il teatro non  può essere ricondotto a un pensiero monolitico, caratteristica di ogni totalitarismo. La stessa parola “teatro” che noi  assimiliamo alla declamazione di un testo d’autore, etimologicamente significa “luogo dove si contempla”.  La natura profonda del teatro risiede nell’azione che si offre alla vista degli spettatori sia a chi sta privilegiando l’onnipotente Verbo della Bibbia a cui fanno riferimento i drammaturghi per imporre l’egemonia del parlato, sia a quelli che propongono la modernità estrema ed eccessiva. Ogni rappresentazione teatrale non è sottoposta alle regole oggettive ma alla sola soggettività del regista.

I.G.: Il tuo volume “Le opere di Eduardo De Filippo sul palcoscenico greco” ricostruisce e descrive la ricezione delle opere di Eduardo in Grecia. Perché hai scelto proprio Eduardo?

Georgios Katsantonis: Sentivo il dovere come studioso di letteratura teatrale italiana di presentare per la prima volta uno scritto sulla fortuna di Eduardo De Filippo in Grecia. Si tratta di un argomento che nessun aveva mai analizzato prima. Di Eduardo mi ha attirato la drammaturgia profondamente umana e tremendamente terrena. Eduardo De Filippo è un osservatore instancabile e ossessivo, testimone della sua epoca, praticamente di tutto il Novecento, può accostare  in modo straordianario al comico il tragico privilegiando una drammaturgia variegata e matura. Eduardo è un anello della catena dei maestri europei del teatro della memoria con Scarpetta, Pirandello, Pinter, Genet, Beckett e Artaud.

I.G.: Gli ambienti e i temi del Teatro di Eduardo sono napoletani, ma i suoi testi sono apprezzati in tutto il mondo. Come viene letto in Grecia un interprete così comicamente tragico della condizione umana?

Georgios Katsantonis: Eduardo rimane sempre, nella coscienza del teatro greco, un filosofo della realtà, un Maestro del pensiero tragico-comico che ha il compito di sviluppare “la più alta coscienza del mondo e della vita’’ rinunciando alla visione dogmatica e metafisica della vita consacrata alla trasformazione dei costumi sociali.

I.G.: “Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male” diceva Eduardo. Per te cos’è il Teatro?

Georgios Katsantonis: C’è nella vita un terreno comune all’intera umanità ed ovviamente il teatro è l’unica via possibile per svelare e fare scoprire all’individuo questo terreno comune.

Written by Irene Gianeselli


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