“I tuoni galoppavano fra grevi nuvole grigie e le grida dei feriti sembravano invocare la pioggia, affinché scendesse a lavare tutto quel sangue.” Dal primo capitolo de “L’aquila e la spada“.
È stato anche impegnato nell’Amministrazione Comunale della città patavina. Da sempre cultore della Roma Antica e dei Cicli Arturiani, è al suo primo romanzo. Michela Zanarella lo incontra per Oubliette Magazine.
M.Z.: Quale motivazione ti ha indotto a scrivere il romanzo storico “L’Aquila e la Spada”?
Alvaro Gradella: Fin da bambino sono sempre stato un ‘divoratore’ di libri, a cominciare da quella che si chiamava ‘letteratura per ragazzi’: Verne, Salgari, London. Crescendo, poi, ho letto di tutto: da Chandler a Poe, da Kafka a Pasolini, da Mailer a Berto, da King alla McCollough, eccetera, saltando letteralmente – o meglio, letterariamente! – di palo in frasca. Andando avanti, mi sono sempre più appassionato al genere storico, specie per quel che riguarda l’antica Roma, e ai cosiddetti ‘cicli arturiani’, specie nei loro interpreti più moderni come Terence. H. White (dal cui “Once and future King” Walt Disney trasse il suo “La Spada nella Roccia”), Bernard Cornwell, Marion Z. Bradley, Stephen Lawhead e Mary Stewart. A un certo punto, sia nei romanzi di Lawhead che della Stewart mi ha colpito il fatto che ricorresse – seppure in maniera poco più che accennata – uno stesso personaggio di generale romano in Britannia il cui nome era Magno Massimo. Molto incuriosito, ho voluto approfondire questa figura e ho scoperto che si trattava dell’ultimo Dux Britanniarum, realmente esistito e divenuto leggendario per i Celti di Britannia. Non solo! Egli veniva citato anche da mito-storiografi come Nennio e Goffredo di Monmouth che gli hanno accreditato una parte essenziale nella nascita dell’epopea d’Artù e della sua spada Excalibur. Magno Clemente Massimo è un personaggio praticamente sconosciuto a noi latini, dato che allora – alla fine del IV Secolo d.C. – venne a scontrarsi con l’Imperatore Teodosio I – che lo sconfisse e giustiziò – e fu bollato poi come usurpatore e fatto segno a damnatio memoriae; ma per i Britannici è una figura storica importante, argomento di studi e trattati. Ecco! Io ho voluto dar voce – come nessuno aveva fatto prima – a questo straordinario protagonista della storia di Roma e della Britannia, e finalmente narrare – intrecciando Storia scritta e Leggenda tramandata – quanto abbiano inciso la gloria e la potenza di Roma nella genesi dell’immortale leggenda di Re Artù.
M.Z: Quali sono le caratteristiche che identificano un romanzo come storico?
M.Z.: Come nasce la tua passione per la storia romana?
Alvaro Gradella: Ho avuto la fortuna di vivere per molti anni a Roma, e l’emozione che mi provocava quella vicinanza quotidiana a vestigia millenarie così uniche e stupefacenti ha finito per indirizzare la mia passione per la storia antica – che coltivavo da tempo anche per i Greci, gli Egizi e (altro salto di palo in frasca!) gli Aztechi – sempre più verso quel popolo incredibilmente potente, astuto e ‘precursore’ che furono i Romani. Poi, ovviamente, più leggevo, più studiavo, e più aumentavano la passione e l’ammirazione per queste che sono orgoglioso siano le mie radici, così come lo sono per tutti gli Italiani. Se qualcuno, invece, s’aspettava che questa passione mi fosse derivata dagli studi alle superiori, ovviamente, s’è illuso! L’ottusità di molta parte dell’ambiente docente di allora continuava a voler far ‘pagare’ a Roma antica l’utilizzo che ne aveva fatto il regime fascista, per cui ce ne parlava con un misto di disprezzo e insofferenza che certo non giovava sia al nostro apprendimento che al nostro appassionarci.
M.Z.: Battaglie, rituali, sentimenti danno vita ad una trama avvincente e ad una scrittura interessante. Come è avvenuta la stesura del libro, quali archivi e biblioteche hai contemplato?
M.Z: “La Storia è scritta dai Vincitori, la Leggenda… dagli Sconfitti” era il sottotitolo della prima edizione del romanzo, ora pubblicato in ristampa con Runa Editrice. Quanto la leggenda ha spazio in questo tuo romanzo rispetto alla storia?
Alvaro Gradella: Il mio è un romanzo storico particolare: da un lato esso si sviluppa in un contesto assolutamente congruo al periodo in cui è ambientato (la fine del IV Secolo d.C.) e nel rispetto di quanto gli storici – sia di quei tempi che moderni – ci riportano riguardo alla situazione politica, militare e dinastica negli Imperi Romani d’Occidente e d’Oriente di allora; dall’altro lato, però, grande parte ha quanto la Leggenda, i carmi, le ballate dei Celti di Britannia ci hanno tramandato nei secoli. Cito fra tutti “Breuddwyd Macsen Wledig” (Il sogno del Duca Massimo), tratto dal “Mabinogion”, dove il personaggio principale del mio romanzo era l’unico non-celta protagonista di un brano di questa raccolta di antiche ballate che i bardi cantavano al suono cristallino delle arpe nelle corti britanne alto-medievali. Così, ho voluto che ne “L’Aquila e la Spada” – quasi come nel ‘tartan’ (il classico tessuto britanno) – storia e leggenda, realtà e fantasia, ciò che è terreno e ciò che è mistico – e quindi battaglie, intrighi, Deità tenebrose e rituali oscuri – si intrecciassero per mostrare, per la prima volta, a quale straordinario risultato ha portato l’incontro fra il disincantato (forse, a volte, sbrigativo) ma straordinariamente efficace pragmatismo dei Romani e il naturalismo magico e sognante dei Celti di Britannia. E’ da questo intreccio e da questo personaggio che è nata la straordinaria leggenda di Re Artù e della sua Spada, come tramandarono chiaramente antichi mito-storiografi quali il chierico bretone Nennio, con la sua “Historia Brittonum” del IX Secolo, e l’ecclesiastico gallese Goffredo di Monmouth, con la “Historia Regum Britanniae” dell’XI Secolo. Nel mio piccolo, ho voluto strappare il sudario della damnatio memoriae dal busto marmoreo del Dux Britanniarum Magnus Clemens Maximus e restituirgli un po’ di quella luce che il Mito riserva agli Eroi. È vero, alla fine egli venne sconfitto, ma il suo nome rimarrà legato per sempre alla leggenda straordinaria del Rex quondam, Rex futurusque, il Re in eterno: Re Artù.
M.Z.: A quale personaggio del libro ti senti maggiormente legato?
M.Z.: Progetti per il futuro?
Alvaro Gradella: Sicuramente c’è quello di diffondere il più possibile questa bella ristampa pubblicata con una nuova grafica da Runa Editrice. Poi – il più ambizioso – quello di completarne il seguito, al quale sto lavorando e che si intitolerà molto probabilmente “Exchalibeorta – La Spada di Macsen”. Molti di coloro che hanno letto “L’Aquila e la Spada” (che, non ha caso, non ha la parola “Fine” all’ultima pagina) mi chiedono quando questo seguito uscirà… Io spero per l’estate prossima.
Written by Michela Zanarella
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