Il libro
:“La scuola viene raccontata con il punto di vista di una maestra che non ha ancora un posto fisso, toccando principalmente l’aspetto emotivo relazionale e sociale: come la vedono gli altri, come si vede e come si sente. Ilaria racconta soprattutto come la vedono le istituzioni e chi sta sopra di lei. L’unico che riconosce la maestra Ilaria, al di là di etichette varie, è il bambino in aula che non differenzia tra lei “precaria” e la maestra non precaria: il bambino vede solo una persona che fa la maestra alla quale si affeziona e dalla quale si aspetta continuità nel rapporto educativo. Si aspetta di ritrovarla con sé l’anno successivo. Ecco il titolo “Io ti vedo”: il bambino vede Ilaria maestra, mentre la società in genere etichetta e non la vede perché solo un numero come tanti.”Ilaria Goffo: Diciamo che io ho sempre usato lo strumento della parola scritta o orale per liberarmi, ho sempre scritto diari, ho sempre scritto poesie che parlassero delle mie emozioni, dei miei stati d’animo. Ho parlato molto anche agli altri, talvolta rischiando anche di compromettermi, ma mi piace parlare. Ora come ora doso anche l’uso delle parole che come energie non vanno sprecate e collocate dove necessario. La parola è molto, tantissimo. La parola è preziosa. Come tu dici le parole bastano per liberarsi? Non bastano, ma fanno moltissimo. Io mi sono messa a ballare finito di scrivere questo libro, ero un’altra Ilaria. Cosa ci vuole oltre alle parole? Ci vogliono parole non dette dentro di noi, pensieri, insomma positivi che aiutino ad andare avanti, che aiutino a fare progetti di vita “creativi”. Mi sono accorta scrivendo di quanto sia bello scrivere e parlare agli altri per raccontare immaginando le espressioni del viso e gli sguardi di chi legge.
Pietro De Bonis:“Io ti vedo…”, chi ti vede è il bambino del racconto, che per lui sei l’ “unica” maestra, la migliore.Ilaria Goffo: Il bambino che mi vede, che dice “io ti vedo” non vede me come la migliore, assolutamente no, lui vede la “sua” maestra, che al di là di etichette istituzionali come “precaria” o altro, mi riconosce come persona prima di tutto. Il bambino non dà etichette, vede la maestra, questo è il punto. La bellezza e genuinità dei bambini che parlano con il cuore, parlano emozionalmente. I bambini si affezionano e danno fiducia alla persona che hanno davanti senza etichette. Ho voluto dare centralità al bambino, alla classe di bambini che in tanti anni di precariato mi hanno portato ad amare questo lavoro nonostante i “nonostante”.
Pietro De Bonis:“Precario/a” è un etichetta socialee una condizione umana veramente oscena.Ilaria Goffo: Precario è l’etichetta sociale ma soprattutto una condizione umana inaccettabile che non permette di fare progetti, di non poter comperare un appartamento, non poter pensare talvolta nemmeno a breve termine oltre che a lungo termine. Una condizione che vive l’Italia in maniera generalizzata oggi senza distinzione di categoria. Quello che mi dispiace è che si parla tanto di cervelli in fuga ma devo ammettere che non biasimo i giovani che scelgono di farlo. Ho ancora un po’ di fiducia, ma non so per quanto finché non vedrò le cose realmente cambiare per noi giovani non più giovani, per le future generazioni, e per chi vorrebbe andare in pensione e non può farlo.
Pietro De Bonis:Ma questo libro ti ha permesso di guardare oltre, di credere ancora nel futuro e nei sogni. E’ così salvifica, a volte, la fantasia applicata allo scrivere e quindi al vivere?Ilaria Goffo: Nel mio caso la scrittura mi ha dato una speranza che ci sia un mondo diverso a quello con cui continuo a fare i conti. La scrittura mi ha messo in relazione a nuove persone, a nuove teste, nuove creatività, a molteplici linguaggi e forme di espressione, ma soprattutto con una nuova umanità. Forse perché dentro ai meccanismi del lavoro talvolta capita di annullarsi e trovarsi numeri, con il libro mi sono sentita libera di esprimermi e di essere pienamente me stessa, al di fuori ti stereotipi e di etichette.
Pietro De Bonis:Ci leggi, Ilaria, un brevissimo passo del tuo romanzo?Ilaria Goffo: “Ecco io viaggio per un po’ di tempo, poi un giorno mi fermo per un bel po’ in una scuola…-La nostra?- Potrebbe essere la tua, non lo sa nessuno…-“Ah bene, allora ti aspettiamo…”
Pietro De Bonis:Il libro termina con un una grande carica positiva.Ilaria Goffo: Questa mattina mi sono alzata e fuori pioveva. Ho pensato che dovevo costruire il mio sole. Mi sono rimboccata le maniche, mi sono vestita e ho preso la valigetta di scuola. Ho fatto le stesse azioni di sempre
Pietro De Bonis:Grazie, Ilaria, per questa intervista. “Io ti vedo, nel buio della precarietà” dove è possibile acquistarlo?Ilaria Goffo: On line su amazon, feltrinelli, libreriauniversitaria, ecc…
Pietro De Bonis:Mai smettere di lottare per le cause in cui crediamo, giusto, Ilaria?Ilaria Goffo: Mai smettere, hai detto bene Pietro, io credo che nel momento in cui ci fermiamo veniamo sotterrati da tutto quello da cui stiamo fuggendo. Non è bello da dire, ma forse è meglio correre e prendersi qualche pausa per fare il punto della situazione. Se ti fermi, se mi fermo, accade di tutto. Bisogna rimboccarsi le maniche e pensare, creare, progettare… se poi non avremo avuto la possibilità di fare quello che volevamo, riproviamo, riformuliamo il tutto, ma non arrendiamoci. Mai. Il mio motto “ripartire sempre” a testa alta con la borsa piena di idee.
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