Intervista esclusiva ad Ananda Sunya

Creato il 29 dicembre 2012 da Ilbicchierediverso

Alcune volte nella vita capitano cose straordinarie.
Incontri cercati da molto tempo che avvengono un po’ per caso un po’ per destino.
È quello che è successo a noi in questi giorni, incappare nel famoso artista (ma è riduttivo utilizzare questo termine per quello che è un punto di riferimento per un certo tipo di scena culturale underground che raccoglie attorno a sé grandissimi nomi internazionali. Un uomo che è stato capace di coniugare in un felice sposalizio occidente e oriente nei suoi studi e nella sua vita.) Ananda Sunya, in visita nella nostra capitale.
Non abbiamo fatto altro che chiedere di poter scambiare qualche battuta con lui, qualche domanda, dichiarando il nostro amore per il suo operato e quello che abbiamo ricevuto è stato un “Sì” di cuore, felice di poter essere a disposizione del dialogo tra diversi mondi uniti dallo scambio.
Quella che leggerete, probabilmente è una delle pochissime interviste rilasciate in Italia da Sunya, che vi invitiamo a conoscere e su cui sarebbe il caso di approfondire vista la sua straordinaria opera visionaria.

Buona lettura
IBD
ilbicchierediverso@gmail.com


Maestro, spero l’appellativo non la turbi ma ritengo vista la sua storia l’appellativo più che calzante, può raccontarci il suo avvicinamento all’arte esistenzialista insita nella transitoria unione di lettere, immagini, suoni e vita che è riuscito ad amalgamare in questi anni?
L’appellativo non mi turba affatto. Bisogna vedere, piuttosto, se lo merito. Quello di insegnare è un mestiere molto misterioso (e io ne so qualcosa), perché si basa molto poco sulla prassi piana e confortante di possedere qualche sapere e darlo, e molto di più sul non avere e cercare insieme agli altri, che è come prendere per mano uno e portarlo verso il baratro dicendogli: magari non cadiamo. Forse ha a che fare con questo, e con la delusione sul mio magistero nelle pratiche spirituali, il fatto che tenti da anni di avvicinarmi, come ha ben detto lei, a questo tentativo di unire diverse espressioni artistiche e la vita. L’idea, su cui sto riflettendo in questo momento mentre lei me la sottopone, potrebbe sembrare romantica, wagneriana. In realtà penso che la sua origine sia piuttosto nel vostro Rinascimento, nella sua idea spirituale, psicologica e politica dell’uomo. Non mi sembra nemmeno un caso che lei abbia riconosciuto meglio, e con maggiore semplicità di altri critici, questo mio tentativo. È italiano. Nelle sua fantasia da qualche parte c’è ancora Giulio Delmino che costruisce teatri della memoria, magnifici strumenti psicologici, e brinda alle sue scoperte insieme a due donnine che lo faranno morire di infarto per rendergli gloria. Un grande mistico, un superbo psicologo. Vede, non so dirle di preciso come sono arrivato a questo, ma adesso può capire perché ci sono arrivato.

Nel corso della sua percezione del tratto, del graffio della mano sulla tela bianca, come è cambiata -se è cambiata – la percezione dell’immaginifico occidentale?
Vede l’italianità? Ho subito visto nella sua domanda un lapsus sulla sua cultura di appartenenza. Del resto, nel fatto che io abbia notato un lapsus, lei può trovarne uno sulla mia, di appartenenza. Lei ha detto “immaginifico”, ma “immaginifico” è d’Annunzio, poeta, eroe e cafone, e quindi uno che non ha niente a che vedere con l’occidente moderno. Dall’occidente moderno vengo io, che vedo lapsus da tutte le parti. In America siamo tutti quaccheri, protestanti, veterotestamentari. E infine psicanalizzati. Fin da piccoli ci abituano a curare, pulire, rendere utili tutti i residui della nostra anima. Quella per un po’ ci manda malattie per aiutarci, ma poi si stanca e ci abbandona. E diventiamo tutti psicopatici senza una piega storta, e deficienti. Da noi i poveri ragazzi del beatnik ci hanno provato a scrivere e vivere come d’Annunzio, ma è andata male. (anche perché scrivevano male). Forse ci saremmo salvati con Melville. Ma Melville era troppo pazzo. È così ha vinto questo tipo di letteratura, dove si scrive con una lingua da cowboy che ha fatto la grana e tutti raccontano le loro avventure di caccia o psichedeliche, o quello che pensano della società, come fossero dei baronetti fatti freschi dalla regina. È successa la stessa cosa a voi, però. Avevate Dante e Boccaccio, e poi avete preferito parlare come Petrarca. Però Petrarca è ancora interessante. È un ipocrita e un puttaniere. Non è un pallido psicopatico. È immaginifico. Invece noi abbiamo solo un immaginario, pulito, preciso, efficiente, comunicativo. In parole semplici: oggi in occidente l’arte si è ridotta a una tecnica pubblicitaria o a un’operazione sociale per mezzo di tecniche visive.

L’atto catartico e purificatore dello stato allucinogeno indotto è stato da lei affrontato in maniera esemplare e con dedizione quasi letale. Nel ’68 in una performance misconosciuta ai più intitolata “Il mago e il suo giardino” ha analizzato profondamente gli effetti artistici su una mente aperta in modo coatto. Può parlarcene?
Oh! Trovo tremendo che prima o poi certe cose si vengono a sapere. Sono passati veramente tanti anni. Non avevo ancora trent’anni, quindi, si può dire che ero un ragazzo. In America rimaniamo ragazzi fino a sessanta anni. Era un brutto periodo. Per smettere con l’alcool mi ero avvicinato allo L.S.D. con Leary e Alpert. Poi, sempre più irrequieto, sono venuto in Europa. Ho cercato Henri Michaux, che mi ha cacciato da casa. Fu il massimo della frustrazione. Ne parlai con l’unico francese che riuscii a conoscere, che era un pittore abbastanza noto. Ma non era francese. Si chiamava Jorn. Mi disse che non ci dovevo pensare, che Michaux era un vecchio mago invidioso dei giovani alchimisti, perché a lui non piaceva che la magia fosse data a tutti come facevamo noi in America con Leary, perfino nei giardini pubblici. E così inventammo “Il mago e il suo giardino”, che fu semplicemente questo, che io e Jorn assumemmo qualche dose di L.S.D. (ai tempi andavo sempre in giro con una boccetta piena di acido) e il resto lo versammo in un fiasco di vino e ci mettemmo a distribuire l’elisir gridando “abbasso l’oscurantismo e Michaux!”. Qualcuno si sentì male, intervenne la polizia, che però non capì che razza di manifestazione politica fosse la nostra e ci lasciò andare. Il giorno dopo lessi della nostra impresa su un giornale e tutti gli artisti ne parlavano. Io ero pieno di vergogna. Partii per l’India.

Dopo i ’70 ha svolto una ricerca spirituale importantissima. L’allontanamento dalla sperimentazione chimica- definiamola così- per giungere a quella dell’essere l’ha portata a stabilire qualche punto di contatto con l’Altro Ancestrale oppure sono due vie diverse con due risultati differenti e quindi l’una esclude l’altra?
Diciamo che in India, dove ho studiato diverse discipline spirituali e sono divenuto maestro yoga, ho scoperto che l’uso delle sostanze è come prendere un ricostituente per svolgere normali attività fisiche. Se servono è perché c’è qualche problema grave. Alla fine del mio percorso spirituale, quindi, ho scoperto che anche le tecniche sono ancora un ricostituente, sebbene meno invasivo. In realtà noi produciamo visioni in continuazione, e se ci sembra tanto importante procurarcene in maniere vistose, è solo per una mania consumistica e materialistica. Vogliamo che siano grandi, significative, preziose, e che siano nostre. Vogliamo essere noi a produrle, così che dimostrino il nostro valore. Ma le visioni sono sempre lì, continue, e dimostrano solo il loro valore, e non il nostro, che infatti non possiamo possederle. Per questo faccio l’artista, perché è giusto che siano gli dei a decidere come parlarmi, e non il contrario.

Come vede il cuore artistico dell’Italia?
Da quest’anno vivo una parte dell’anno nel vostro paese, a Roma. Ho pensato che, infine, dovevo mettermi a studiare seriamente, e l’Italia è il paese giusto. Come vedo il suo cuore? È il cuore. E voi italiani siete stupefacenti perché avete tutto e non vi interessa. Sembrate quel racconto di Borges dove i sapienti girano distratti e come fantasmi, incoscienti di tutto perché ormai sanno tutto.

Quali sono i progetti cui sta lavorando?
Sono in tour con “Grangarabagna”, un omaggio a Henri Michaux. Una piccola sezione della mostra è stata gentilmente ospitata in Italia da TerraNullius. Spero di essere di nuovo da voi presto con l’esposizione completa.

Un messaggio per i nostri lettori e gli uomini di questo tempo.
Vorrei che tutti ricominciassimo a voler cambiare questo tempo, come hanno sempre cercato di fare gli uomini di tutti i tempi. Ci guardiamo indietro e tutto quello che è stato fatto dai nostri predecessori ci sembra un fallimento, ma, alla fine, sbagliare è meglio di limitarsi a “inventarsi” il sabato sera.


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