INTERVISTA: Ilir Dugolli, il posto del Kosovo è in Europa

Creato il 10 marzo 2013 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 10 marzo 2013 in Interviste, Kosovo, Slider, Unione Europea with 1 Comment
di Davide Denti

Ilir Dugolli è ambasciatore del Kosovo in Belgio e Lussemburgo, e si occupa anche delle relazioni del paese con l’Unione Europea. Lo abbiamo intervistato a Bruxelles (here the interview in English).

Ambasciatore, a febbraio 2013 il Kosovo ha festeggiato cinque anni dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo. Pensa che l’indipendenza sia oggi stata raggiunta?

Naturalmente, il Kosovo è indipendente. L’indipendenza è, in ultima analisi, un dato di fatto. Se qualcuno ha qualche dubbio, dovrebbe rileggere il parere della Corte Internazionale di Giustizia sulla legalità della dichiarazione di indipendenza. Nonostante altri paesi possano avere opinioni diverse, l’indipendenza è in definitiva una decisione sovrana.

La metà dei 100 riconoscimenti internazionali del Kosovo come stato sovrano è venuta direttamente nel 2008, l’altra metà nei successivi cinque anni. C’è una tendenza al rallentamento dei riconoscimenti? Oppure la restante metà di membri delle Nazioni Unite riconoscerà il Kosovo nei prossimi 5 anni?

Non vorrei prevedere quando e quale paese ci riconoscerà, ma è logico che i paesi che non avevano nulla contro il riconoscimento, che hanno sostenuto la lotta del Kosovo per la libertà e l’indipendenza, e che hanno investito molto per la pace e la sicurezza nei Balcani, sono stati molto rapidi a riconoscerci. Ci vuole più tempo per i paesi più lontani, o che hanno qualche riserva, o che semplicemente non hanno alcun interesse particolare. C’è un flusso naturale delle cose che indicano che con ogni ulteriore riconoscimento vi è ancora più lavoro da fare per convincere anche i paesi per i quali l’indipendenza del Kosovo non è una priorità. Esiste una strategia politica da parte del governo del Kosovo per favorire i riconoscimenti, ma alla fine dobbiamo riconoscere che queste decisioni sono una scelta sovrana di ogni paese.

Anche se il desiderio finale del governo del Kosovo sarebbe quello di avere un riconoscimento universale come uno Stato sovrano, esistono altri stati, come ad esempio Israele o Taiwan, che godono solo di un limitato riconoscimento internazionale e che tuttavia sembrano vivere bene ugualmente. Il Kosovo ha una relazione particolare con questo tipo di stati, per vedere come hanno affrontato il loro status di riconoscimento parziale?

Non abbiamo rapporto particolare con uno o l’altro. Si cerca di ottenere il riconoscimento di paesi sovrani e di stabilire relazioni diplomatiche. Ma ci rendiamo conto che le circostanze sono particolari e ci sono altri casi in cui l’esistenza di un paese non rende tutti felici. O dove passano decenni, e ancora qualcuno si domanda se Israele esista o meno. Indica semplicemente che con la propria esistenza ed indipendenza non si può accontentare tutti, ma non abbiamo motivi per evitare di esercitare un diritto fondamentale. Esistiamo, siamo un paese sovrano, siamo molto contenti di avere così tante nazioni amiche che sostengono la nostra esistenza, e cerchiamo di espandere l’elenco dei paesi che ci riconoscono tali.

Uno dei motivi per cui il Kosovo è in ritardo rispetto nei rapporti con l’Unione europea è a causa del suo riconoscimento da parte solo 22 dei 27 Stati membri dell’UE. C’è stato di recente una dichiarazione da parte di un membro del governo cipriota, che diceva che, anche qualora la Serbia riconoscesse il Kosovo, Cipro non lo riconoscebbe.

La mancanza di riconoscimento causa difficoltà, non lo possiamo negare. Ma allo stesso tempo, la nostra difficile situazione è dovuta al fatto che il mancato riconoscimento da parte di quegli Stati membri dell’UE non ha quasi nulla a che fare con il Kosovo. Questo non ci dà possibilità di influenzare più di tanto tali posizioni di coloro che non ci riconoscono.

Recentemente si è parlato di aprire i negoziati di un accordo di stabilizzazione e di associazione (ASA) con l’UE, subordinate al miglioramento in alcuni settori specifici. Pensa che vi siano stati abbastanza miglioramenti per prevedere l’apertura dei negoziati per un ASA nel 2013?

Credo che molto sia stato fatto, e credo davvero che presto arriveremo a un punto, a un momento di verità, in cui questo impegno contrattuale tra il Kosovo e l’UE sarà in vigore. Cerchiamo di essere pratici e dire con chiarezza che ciò che abbiamo bisogno è di vedere un’ unità europea sulla base giuridica grazie a cui un accordo ASA possa essere firmato tra l’UE e il Kosovo. Noi crediamo che ciò sia fattibile e dovrebbe essere fattibile. Il contrario va a scapito di impegno dell’UE di portare il Kosovo più vicino a sé, oltre che a danno dei cittadini del Kosovo. Ciò che l’UE si è impegnata a fare e ha ribadito è che il Kosovo ha una prospettiva europea e deve essere portato verso l’Unione europea. Non vi è alcun argomento per non formalizzare ciò. Senza un accordo ASA, non siamo ancorati in modo formale e irreversibile nel processo di integrazione europea. Questo è tutto ciò che chiediamo.

Il Kosovo è in ritardo anche rispetto alla liberalizzazione dei visti nei confronti dei paesi dell’UE. Ci sono miglioramenti su questo tema?

Questo è davvero uno dei temi più importanti per i nostri cittadini. Restiamo l’unico paese dei Balcani occidentali i cui cittadini hanno bisogno di un visto per viaggiare. La Commissione ha consegnato al nostro governo lo scorso giugno una tabella di marcia verso la liberalizzazione, con soglie molto elevate, e abbiamo già fatto molto. Lo scorso 12 febbraio c’è stata la seconda riunione di alti funzionari per quanto riguarda il dialogo sui visti a Pristina, dopo la prima a Bruxelles, per verificare i miglioramenti ancora necessari. Cerchiamo di rispondere a tutte le proposte il più presto possibile, ma non posso prevedere esattamente quando ci sarà un passo avanti.

Il Kosovo ha recentemente introdotto l’obbligo del visto per i cittadini di diversi paesi, anche questo fa parte della tabella di marcia verso la liberalizzazione dei visti?

Certo, questo è uno dei comprensibili requisiti dell’Unione. A partire dal 1 ° luglio, per i cittadini dei paesi coinvolti, un regime dei visti inizierà ad applicarsi per entrare in Kosovo.

Per quanto riguarda i rapporti tra il Kosovo e la Serbia, ha potuto notare un cambiamento da quando la nuova amministrazione è al potere a Belgrado?

L’impressione generale è che il nuovo governo serbo abbia iniziato ad attuare alcuni degli accordi che erano stati raggiunti dal precedente governo. Quindi questo può essere considerato come un cambiamento, ma questa è la mia opinione personale. Sul terreno non vedo molta differenza. Abbiamo ancora le strutture serbe di sicurezza che operano nel Nord del Kosovo, abbiamo ancora veti. L’atteggiamento è sempre lo stesso, non c’è un profondo cambiamento. I nostri rappresentanti si incontrano, la vita va avanti, le imprese vanno avanti come al solito. Non molto miglioramento, ma nemmeno molto deterioramento.

La nuova piattaforma diplomatica per il dialogo con Pristina, votata dal Parlamento serbo, prevede la richiesta di un ulteriore decentramento del Kosovo. Eppure, le reazioni da Pristina sono state negative. Perché una richiesta di decentramento è irricevibile per il Kosovo?

Non credo che qualcuno possa veramente prendere sul serio questo documento. Di solito i loro documenti sono fuori tempo. Se lo avessero scritto 15 o 20 anni fa, forse qualcuno lo avrebbe preso sul serio. Da un punto di vista molto pratico, abbiamo a che fare con un territorio di circa 10.000 chilometri quadrati, in cui è già stata introdotta una politica di decentramento molto generosa. In questi pochi anni sono stati stabiliti nuovi comuni con maggioranza di serbi o di turchi. Tali comuni sono riusciti a prendere l’autogoverno nelle proprie mani, e a fornire servizi ai cittadini che vivono in quelle zone, che siano kosovari serbi, albanesi, o di altre etnie. Al di là di questo, non c’è assolutamente alcuna ragione per cui dovremmo sottostare ad un esercizio accademico che rischi di paralizzare tutto il Kosovo. Non vogliamo un paese paralizzato. Vogliamo un paese che funzioni e fornisca servizi ai suoi cittadini. Abbiamo una Costituzione in vigore, e la gente dovrebbe semplicemente leggere ciò che essa prevede e utilizzare i suoi meccanismi.

Un concetto incluso nella piattaforma negoziale serba, e probabilmente trascurato, riguarda la possibilità per la Serbia di delegare la sovranità e competenza in alcuni settori particolari alle autorità di Pristina, in una maniera compatibile con la propria Costituzione. Questo potrebbe essere un punto d’avvio per la normalizzazione delle relazioni?

Belgrado ha introdotto una Costituzione che prevede che il Kosovo è parte della Serbia. Come hanno intenzione di cambiarla, è un problema loro. Non siamo interessati a un esercizio in cui dimostrino la loro generosità nel devolvere competenze al Kosovo. Non siamo qui grazie a loro, ma nonostante il loro tentativo di sterminio. Ci sono state tante occasioni per la Serbia di salvare la faccia. Il nuovo governo democratico ha avuto l’opportunità di salvare la faccia indicando che la responsabilità per il Kosovo era di Milosević e del suo regime. Non hanno fatto quel taglio, hanno scelto la continuità. Avrebbero potuto salvare la faccia anche quando hanno chiesto un parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia. Ma non appena è arrivato, hanno detto: “Non ci piace, non lo rispetteremo”. Se non c’è la leadership per cogliere queste opportunità, buona fortuna! C’è bisogno di politici che agiscano con coraggio e dicano la verità ai propri cittadini.

Nel 2012 c’è stato un cambiamento nella presenza internazionale in Kosovo: l’International Civilian Office è stato chiuso, e la presenza dell’UE è stata razionalizzata con una singola figura che è ora Rappresentante Speciale dell’UE (EUSR) e capo della delegazione dell’Unione europea. Vede qualche effetto di questi cambiamenti?

Un primo effetto positivo è quello di avere un rappresentante dell’Unione europea, piuttosto che solo uno pro tempore. Non credo che sia stato un buon segnale, per un paese nel giardino di casa dell’Unione europea, che ci sia voluto così tanto tempo all’UE per accordarsi sul mandato del Rappresentante speciale dell’Unione europea. Non dice bene per la credibilità dell’UE in un paese in cui ha già investito molto. Ma il fatto che l’Unione Europea abbia oggi un unico rappresentante è un buon segno.

E’ anche positivo che la supervisione internazionale dell’ICO si sia conclusa. Ora il destino del Kosovo è nelle mani dei kosovari. Ci si prende la responsabilità per i propri atti. La pressione democratica della società sul governo è più forte, e non si può dare la colpa alla presenza internazionale. Si tratta di un ingrediente per una vita democratica più sana in Kosovo.

Il Kosovo oggi è riconosciuto da più di due terzi degli stati membri del Consiglio d’Europa. Pensa che il Kosovo diventerà presto un membro di tale organizzazione, e un firmatario della Convenzione europea dei diritti dell’uomo?

Stiamo lavorando per questo, e speriamo di entrare presto. E’ molto triste non essere coinvolti in istituzioni multilaterali, da cui i cittadini kosovari potrebbero trarre beneficio. Siamo Davvero esclusi da così tante strutture, dallo sport alla cultura, che ciò si può spiegare solamente in termini politici. Siamo consapevoli che ci vuole impegno, e siamo pronti a fare gli sforzi necessari per raggiungere l’obiettivo.

Lo slogan scelto dal governo è “Kosovo: i giovani europei”. Lei ha 38 anni, la ministro Citaku circa 30, il ministro degli esteri Hoxhaj 44, il primo ministro Thaçi 45. Il personale politico e diplomatico della Repubblica del Kosovo sembra rispettare lo slogan. C’è qualche lato negativo di una così giovane età dei funzionari statali?

Sarò di parte, ma ad essere sinceri non vedo difficoltà. Giovane o vecchio, dipende solo sulla mentalità. Si possono avere persone molto anziane con mentalità giovani, e anche il contrario. Naturalmente siamo orgogliosi di questa popolazione giovane, entusiasta, molto vivace. Ma anche l’essere al termine dei 30 anni o all’inizio dei 40 non è essere troppo giovane. Si può sempre avere più esperienza, e cerchiamo di imparare continuamente. Penso che la nostra vita, la nostra lotta ci abbia reso molto più maturi della nostra età. A volte mi sento persino troppo vecchio, rispetto alle persone che mi circondano.

Foto: Ambasciata della Repubblica del Kosovo in Belgio.

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