Intervista immaginaria a Morando Morandini.

Creato il 18 ottobre 2015 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

È morto ieri sera (17 ottobre 2015) il critico cinematografico Morando Morandini. Personalmente il più grande di tutti. Un uomo che ho sempre desiderato intervistare. Sì, proprio lui che su di sé affermava: “Non sono che un critico”.

Ecco quindi un’intervista immaginaria a Morando Morandini intorno alla figura del critico e all’utilità della critica. (tutte le risposte di Morando Morandini sono tratte dal suo bellissimo libro Non sono che un critico. Il ritorno, Il Castoro, 2003).

Morando Morandini, quanti film ha visto nella sua vita?
Un professionista siffatto vede in media – e quasi sempre recensisce – centocinquanta film all’anno, più un altro centinaio che ingerisce ai festival dove la razione media per un recensore non ancora sfiaccolato dalla routine è di tre film al giorno. Sono, dunque, duecentocinquanta film in un anno e parlo di lungometraggi tra i 90’ e i 120’ di durata: sono settemila/ottomila film in trent’anni. (p.12)

Fare il critico cinematografico è un lavoro facile, in fin dei conti si vedono solo film… o no?
Quand’ero un giovane e baldo giornalista, all’inizio della sua attività di recensore, durante una visita a una vecchia zia, a me assai cara, milanese di vecchio stampo, mi sentii dire: “Ma che razza di mestiere fai? Vai al cinema una volta al giorno, ci vai gratis, e per giunta ti pagano!”. Non mi sono mai dimenticato di quella vecchia zia e delle sue parole che possono sembrare banali nella loro affettuosa ovvietà, ma che nascondono, a mio parere, una verità. (p. 13)

Ma un critico cinematografico guarda film tutto il giorno? In molti se lo immaginano così. O ha anche una vita sociale oltre il grande schermo?
In quanto cittadino, il critico ha il diritto/dovere di leggere qualche buon libro che non sia di cinema, andare qualche volta a teatro, ai concerti, alle mostre, fare l’amore, occuparsi della moglie e dei figli, se ne ha, fare politica, stare con gli amici, oziare, insomma vivere. (p. 14)

Che cos’è una recensione?
La recensione è, in fondo, un microgenere letterario. (p. 21). Poiché è un genere, bisogna impararne bene le regole prima di trasgredirle (p. 30). La critica deve rispondere a tre compiti: informare, analizzare, valutare. E, quand’è possibile, dissodare e scoprire. (p. 32) Bisogna dare da bere al lettore, non dargliela a bere. (p. 23). Fare il critico è una funzione, non dev’essere un ruolo. Bisogna fare il traghettatore. (p. 44).

Come definirebbe Morando Morandini sul suo dizionario la figura del critico?
Che cos’è un critico, in fondo? Uno spettatore (un lettore) esigente che sa scrivere meglio e che ha più memoria della media dei suoi lettori. Se, per giunta, è anche più intelligente, tanto meglio. (p. 36)

E chi è lo spettatore?
Lo spettatore è quello che finisce il film. (p. 64)

Qual è la cosa più ardua per un critico?
Parafrasando Bresson: il critico deve sognare di nuovo il sogno del regista. (p. 27)

E quella più difficile di una recensione?
Il problema non è scrivere. È togliere. (p. 47)

Cosa proprio non sopporta dei critici, anche di alcuni suoi colleghi critici?
Detesto la tiepidezza. La loro scrittura è un brodo tiepido, spesso insipido, incerta tra la freddezza della lucidità e il calore della partecipazione emotiva. (p. 52)

Il peggior difetto di un critico?
C’è qualcosa che i critici non riescono ad ammettere e che, comunque, odiano: avere torto. Non soltanto loro, si può obiettare. Loro, più degli altri. (p. 42)

(tutte le risposte di Morando Morandini sono tratte dal suo bellissimo libro Non sono che un critico. Il ritorno, Il Castoro, 2003)

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