Intervista - Nicola Lombardi "giurato eccellente" del Premio Polidori per la Letteratura Horror

Creato il 31 marzo 2014 da Letteratura Horror @RedazioneLH
LetteraturaHorror.it è diventato uno dei media partner del Premio John W. Polidiori per la letteratura horror, organizzato dall'Associazione Culturale Nero Cafè, e, a questo proposito, abbiamo avuto il piacere e l'onore di intervistare Nicola Lombardi che con "I ragni zingari" (Edizioni XII) è stato il vincitore dell'edizione 2013 e, quindi, sarà il giurato eccellente per l'edizione attuale. Clicca qui per leggere il regolamento del Premio John W. Polidori.
D) Ciao Nicola, rieccoci qui dopo la nostra intervista dello scorso ottobre (questo link). Ci siamo lasciati con il bellissimo “Madre nera” (clicca e leggi la nostra recensioni) e ti ritroviamo come giurato eccellente per il Premio Polidori: cosa ti aspetti di leggere tra le opere che ti giungeranno?

R) Sicuramente materiale di alta qualità, dal momento che tutte le opere pervenute passano attraverso un primo filtro rappresentato da una competentissima giuria (di cui Letteratura Horror fa orgogliosamente parte, ndr). Pertanto già so che non sarà facile scegliere, ma come sempre sarà stimolante.

D) Quali saranno i maggiori aspetti e parametri di cui terrai conto nella valutazione?

R) Guarda, ogni volta che mi trovo a dover giudicare uno scritto mi ci pongo davanti con la serena predisposizione d’animo di qualsiasi lettore. E mi aspetto quindi che il testo mi appassioni, mi coinvolga, mi sorprenda, mi trascini dentro una storia e mi regali delle emozioni. Ovviamente do per scontata l’assolta correttezza formale (a volte ricevo in lettura racconti scritti con disarmante spregio della lingua italiana, ma nel caso del Premio Polidori posso stare tranquillo!). Tornando alla domanda, posso dire che valuterò le opere proposte sulla base dell’originalità del soggetto, ma soprattutto del patrimonio emotivo che sapranno trasmettermi.
D) L'anno scorso tu hai trionfato con “I ragni zingari”. Ti va di spiegarci la nascita di questo tuo romanzo e da dove hai tratto le tue fonti di ispirazione?

R) Per quanto riguarda la genesi del romanzo, posso dirti che tutto è partito dal titolo. Mi hanno sempre stuzzicato i palindromi, e questi ragni zingari mi si sono attaccati al cervello fino a quando non ho tessuto una storia attorno a loro, come se fosse una ragnatela. La scelta dell’ambientazione storica mi è stata dettata dalla natura stessa della trama che mi era saltata in testa. Volevo che un fattore ineluttabile, sempre presente ne I Ragni Zingari, fosse l’insicurezza. Infatti, non ci sono certezze, per nessuno. I personaggi procedono come se si trovassero al buio, brancolando. È da questa constatazione che sono partito per individuare una cornice storica in cui tali caratteristiche risultassero macroscopiche, senza andare troppo lontano. Nei giorni successivi l’armistizio, com’è noto, in Italia si guardavano tutti quanti intorno con aria smarrita, interrogandosi inutilmente sul da farsi, sulle direzioni da prendere (anche oggi, se è per questo, ma qui è meglio non divagare). Ho poi attinto alle mie paure infantili per le ambientazioni rurali (cascine, soffitte, scantinati) e alla repulsione per i ragni, inventando una leggenda attorno a cui ruotano gli avvenimenti, sia reali che allucinatori, narrati nel romanzo.
D) Paolo Di Orazio (il giurato eccellente dell'edizione 2013) ha motivato così il tuo premio “Il romanzo ha quel fascino psichedelico e retrò che ripassa gli stilemi del vecchio caro horror”. Tu sei un autore molto legato all'horror classico italiano, ma con continui sguardi al futuro. Secondo te dove sta andando la letteratura di genere nel nostro Paese?
R) Parliamo di horror, naturalmente. Dove sta andando la letteratura horror in Italia, mi domandi? Be’, è difficile individuare una direzione univoca: le forze creative al lavoro sono tante, e ognuna persegue una propria strada. L’horror ha per sua natura una marcatissima connotazione personale, per non dire individualistica, perciò ci troviamo di fronte a un fenomeno vitalissimo (per quanto non appariscente, almeno a livello editoriale mainstream) e variegato, una vera eruzione i cui lapilli schizzano in ogni direzione, complice anche la maggior libertà d’azione e produzione garantita dal mercato digitale. Se mi guardo attorno vedo sia riflussi neo-gotici che neo-splatterpunk, vedo il recupero di tanto folklore italico, e soprattutto vedo molte interessanti commistioni con fantasy, fantascienza e thriller. L’horror, come genere, è più attivo che mai. Basta cercarlo.
D) ... e nel mondo?

R) Qui, purtroppo, alzo le mani in segno di resa. Per darti una risposta adeguata dovrei possedere un quadro d’insieme ragionevolmente chiaro, e non ho una tale competenza. Ciò che posso dirti è che oltreoceano, o anche solo oltremanica, l’editoria horror è vivacissima e sostenuta da ampie frange di lettori. Solo una percentuale risibile di ciò che viene pubblicato all’estero raggiunge i nostri scaffali, e a questo proposito vorrei esprimere il mio avvilimento di fronte ai titoli di autori stranieri che vedo campeggiare nelle librerie sotto l’etichetta “horror”: diari di vampiri, scuole di streghe, passioni maledette, baci proibiti, languidi tormenti… Soap operas soprannaturali, insomma. È forse l’horror che ci meritiamo? Salvo rare eccezioni, purtroppo, questo è quanto i maggiori editori ci propinano come tale. In conclusione, concedimi una battuta. Dove sta andando la letteratura horror, oggi, nel mondo? Non saprei, ma ovunque vada di sicuro non passa da noi.
D) Spesso ci capita di leggere e avere sotto le mani libri, racconti, raccolte di autori italiani (anche non di primo pelo) che ambientano le loro storie negli USA. Come vedi questo fenomeno, tu che sei molto legato a una sana ambientazione italiana?

R) A differenza di chi difende a spada tratta la necessità da parte degli autori italiani di ambientare le proprie storie nel Belpaese, io non ho pregiudizi in tal senso. Ritengo però che la scelta di un’ambientazione straniera (non necessariamente americana) debba nascere da una precisa esigenza narrativa, e non dalla smania di apparire più ‘international’ agli occhi del lettore. Innanzitutto, ambientare una storia in un Paese che non si conosce direttamente richiede l’impegno della ricerca, e quindi l’impresa va affrontata corazzandosi con una preparazione che scongiuri le trappole del ridicolo e della superficialità. Qui non si tratta solo di sostituire John a Mario o Craven Road a Corso Garibaldi: occorre valutare con obiettività se la storia che si vuole raccontare può, o addirittura deve, essere ambientata in una certo Paese piuttosto che in un altro perché possa ritenersi riuscita, secondo le intenzioni dell’autore. Collocare le proprie narrazioni in ambienti che già si conoscono è senz’altro più comodo, ma ci sono storie che per loro costituzione richiedono determinate location, e allora è giusto darsi da fare. Va bene l’italianità, dunque, a patto che questa non si trasformi in un recinto per la creatività dell’autore.
D) Domanda da un milione di euro: tre ingredienti per una ricetta perfetta per far riemergere la letteratura di genere italiana.

R) Eh, mi sa tanto che dovrò rinunciare al milione… Proverò comunque a darti una risposta. Fermo restando che - come ben sappiamo e ripetiamo da sempre - ricette e formule non esistono, potrei suggerire tre ingredienti che a mio avviso sono imprescindibili: qualità, qualità e qualità. Mi spiego. In prima battuta occorre che la qualità sia una caratteristica basilare del prodotto, e qui siamo nelle mani degli autori. Poi, però, un seconda setacciata è prerogativa degli editori, che devono imporsi standard qualitativi alti (oggi più che mai, data la grande quantità di proposte che si riversa nelle redazioni o nelle caselle di posta elettronica); in questo senso, il crescente fenomeno del self-publishing è un’arma a doppio taglio: per un verso rappresenta un grosso aiuto, per gli autori, a livello di diffusione delle proprie opere, ma nel contempo consente anche la circolazione incontrollata di vero ciarpame. Una volta inquadrati questi due ingredienti, allora, si potrebbe arrivare al terzo, quello sicuramente più complesso e a lunga gittata: la maturazione nel pubblico del concetto di qualità abbinato alla narrativa horror, concepita non più – o non solo - come sottogenere popolare, ma piuttosto come matura espressione letteraria tout court. Già si sta facendo molto, in questo senso. L’editoria più giovane e agguerrita, soprattutto digitale, ci sta mostrando cose egregie.
D) Come sai il Polidori è aperto anche agli scrittori di racconti inediti: un tuo consiglio per tutti loro...
R) Quando scelgo il soggetto per un mio racconto ed elaboro la bozza della trama, mi pongo sempre criticamente una domanda: è una storia che vale la pena raccontare? Ma soprattutto: è una storia che varrà la pena leggere? Vi assicuro che non è facile rispondersi. Perché è questo, il punto. Noi scriviamo per il lettore; è lui, e nessun altro, l’obiettivo a cui dobbiamo mirare, sempre. Scrivere un racconto implica l’aspettativa che qualcun altro ci dedichi mezz’ora, un’ora o più del suo tempo, e dobbiamo far di tutto per non deluderlo. Insomma, chiediamo un atto di fiducia, e questa fiducia va conquistata, va meritata. Il mio consiglio, quindi, è di affinare - bacchettando il proprio ego e accantonando ogni presunzione - la capacità di valutarsi con obiettività, e di capire se ciò che abbiamo creato ha davvero le doti che gli attribuiamo o se siamo solamente accecati dal desiderio di “sentirci scrittori” anche quando abbiamo poco o nulla da raccontare. Non sempre le doti di scrittore vanno di pari passo con quelle di narratore. Naturalmente non è difficile incorrere in errori di autovalutazione, in buona fede: ma sono i rischi del mestiere.
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