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Intervista rilasciata dal Presidente Giorgio Napolitano, 13 aprile 2014

Creato il 18 aprile 2014 da Paolo Ferrario @PFerrario

Intervista rilasciata dal Presidente Napolitano a Fabio Fazio conduttore di “Che tempo che fa”

Palazzo del Quirinale, 13/04/2014

Fazio : Buonasera Presidente e grazie per l’onore di questo incontro. Dovrei porgere la prima domanda in modo diretto : a che cosa serve l’Europa?

Presidente: Mi permetta di ringraziarla innanzitutto per l’attenzione e per la trasferta : uno spazio in una trasmissione che ho sempre continuato a seguire è un piacere per me.
A che cosa serve l’Europa? È importante dire innanzitutto a che cosa è servita perché talvolta si ha l’impressione che l’Europa per molti rappresenti soltanto la politica di austerità degli ultimi cinque anni. Ma l’Europa è nata sessant’anni fa ed è servita in primo luogo a garantire la pace nel cuore dell’Europa, una pace che era stata brutalmente strappata due volte nel corso del Novecento, e al centro del conflitto, dei due conflitti, c’era stata soprattutto la terribile contrapposizione tra Francia e Germania. Riconciliare Francia e Germania fu il primo capolavoro di coloro che progettarono l’Europa unita.

Fazio: …e che è stato sintetizzato in qualche modo dall’abbraccio fra Lei e il Presidente Gauck a Sant’Anna di Stazzema.

Presidente: Quella è stata una cosa molto importante. C’era stato già qualche precedente, cioè quello del Presidente tedesco quando gli si è raccontato ciò che è accaduto a Sant’Anna di Stazzema e io gli feci avere la lettera di un superstite. Una cosa molto bella : un superstite della strage, un ragazzino di cinque anni che per miracolo si salvò – tutti i suoi rimasero vittime – e poi per ragioni di lavoro, per necessità, emigrò in Germania. E quando ebbe figli che dovevano scegliere la lingua lui gli fece scegliere il tedesco e scrisse questa lettera al Presidente Gauck – io gliela consegnai – che spiegava: perché a partire da quegli anni mi sono sentito europeo. E il Presidente tedesco è venuto a dire che, dal canto suo, non dimentica quali sono state le responsabilità terribili della Germania nella seconda guerra mondiale.

Fazio : Lei diceva giustamente : “Oggi diamo per scontate delle conquiste che invece sono state lunghe, faticose e dolorose”. Se dovesse spiegare che cosa significa sentirsi europei, essere europei, che cosa ci direbbe?

Presidente : Significa innanzitutto avere consapevolezza di una storia e di una cultura comune. La storia dell’Europa ha attraversato anche periodi oscuri, ha presentato lati molto negativi, però c’è un filo, che è quello della grande cultura europea, ed è il filo che in Italia si è richiamato Rinascimento, e non solo. C’è un insieme dunque di valori che hanno rappresentato il tessuto connettivo venuto poi in primo piano anche nella consapevolezza di molti quando si è trasformato in progetto politico : stare insieme all’inizio solo sei paesi europei, quelli dell’Europa occidentale, e poi siamo arrivati a ventotto, poi si è unificato l’intero continente.

Fazio : Nel suo libro non evita nessun argomento anche spinoso, compreso quello che potremmo riassumere nella sensazione di una delusione diffusa nei confronti dell’Europa oggi. Si parla in vari modi addirittura di euroscetticismo. Ci aiuta a trovare le ragioni di questa delusione?

Presidente : Ho cercato in questo libro e in molti interventi che ho fatto da Presidente della Repubblica in questi anni di insistere su due aspetti : primo, la delusione motivata da fatti recenti o relativamente recenti, cioè l’incapacità dell’Unione Europea di dare una risposta soddisfacente alla crisi mondiale che è scoppiata nel 2008, quindi delusione in questo senso anche perché ci si era abituati all’idea che l’Europa significasse star meglio ogni volta rispetto all’anno precedente. Se si pensa ai primi trent’anni della Comunità europea, fino a quando è stata battezzata Unione ed è cambiata col Trattato di Maastricht, è stata una specie di marcia trionfale : ogni anno si cresceva di più, c’era più occupazione e c’erano più diritti. Qualche Paese come la Spagna si trasformò radicalmente, fece uno straordinario balzo in avanti grazie a questa capacità dell’Unione Europea di imprimere nuovo impulso, di esprimere un dinamismo, di trasmettere anche una solidarietà. Quindi per questo c’è delusione, perché invece, di fronte a una crisi di cui non c’erano precedenti nel mondo da molti decenni, l’Unione Europea ha reagito tardi, ha reagito tra molte difficoltà e in modo anche discutibile. L’altro motivo alla base di questa delusione è che l’Unione Europea non è riuscita, le Istituzioni dell’Unione non sono riuscite, a stabilire un rapporto più diretto con i cittadini innanzitutto in termini di informazione, di comunicazione come base di un coinvolgimento, del sentirsi in qualche modo partecipi delle decisioni e delle scelte che venivano fatte. Questo è un grosso tema che è oggi all’ordine del giorno.

Fazio : Lei pensa che un’elezione a suffragio universale del Presidente o di un Presidente europeo, del Presidente del Consiglio europeo, potrebbe essere significativa per riavvicinare i cittadini europei all’Europa?

Presidente : Penso che questa sia una prospettiva da tenere aperta. Per il momento si fa, proprio ora in queste elezioni, un grosso passo in avanti con la designazione da parte dei partiti europei dei propri candidati al ruolo di Presidente della Commissione europea che sarebbe organo di governo dell’Unione Europea. Tanti anni fa Kissinger diceva : “voglio un numero di telefono per parlare con l’Europa”, e si aveva l’impressione che non ce ne fosse nessuno, o meglio che ce ne fossero troppi. Poi si è arrivati, già da alcuni anni, ad avere un Presidente del Consiglio Europeo stabile per due anni e mezzo e che può arrivare fino a cinque anni. Quindi se si vuole un numero c’è, naturalmente sarebbe un numero più capace di rispondere a certe telefonate se fosse quello di un Presidente eletto dai cittadini o anche un Presidente il cui nome scaturisca dai risultati delle elezioni europee.

Fazio: Proprio in questo senso lei ha recentemente incontrato qui il Presidente Obama che riconosce un ruolo unitario all’Europa…

Presidente : Questa è una questione antica. Gli Stati Uniti debbono avere rapporti bilaterali con i Paesi europei e innanzitutto con i maggiori Paesi europei, l’Europa quindi deve apparire loro come – in un’espressione che hanno usato gli americani – una collection of national States, un insieme, una collezione di Stati nazionali e quindi scatta la logica dei rapporti bilaterali, oppure debbono avere un rapporto forte con l’Unione nel suo insieme, con l’Europa unitaria rappresentata dalle istituzioni comuni. Questa è la cosa cui io credo anche gli Stati Uniti tengono molto, sono molto interessati e non dimentichiamo che alle origini ci fu un sostanziale appoggio – parlo di Eisenhower – all’idea dell’Unità Europea. Parlo di Eisenhower che lasciava proprio allora l’Europa dopo essere stato Comandante generale delle Forze alleate in Europa.

Fazio: Visti i suoi rapporti eccellenti con il Presidente Obama mi era venuto in mente che lei in realtà nel 1975 non ottenne il visto per entrare negli Stati Uniti. Kissinger in qualche modo ebbe un ruolo in quella vicenda?

Presidente : Kissinger era Segretario di Stato. Essendo stato invitato da quattro o cinque delle maggiori università americane, presentai la domanda per avere il visto. Occorreva un nulla osta waiver del Segretario di Stato americano se il richiedente era un comunista o un fascista. Io ero il primo caso, ovviamente, e Kissinger non volle prendere in considerazione la concessione del visto. Lui era stato direttore del Centro di Studi europei di Harvard e c’era in quel momento il suo successore professor Stanley Hoffman che era uno dei firmatari dell’invito rivolto a me, e in effetti Kissinger gli fece sapere che era meglio che ritirasse l’invito. Hoffman non lo fece ma il visto non arrivò. I tempi sono molto cambiati. Con Kissinger poi abbiamo avuto uno straordinario recupero di rapporti amichevoli.

Fazio : Che cosa provoca in lei la frase : “ce lo chiede l’Europa” ?

Presidente : “Ce lo chiede l’Europa” non è una cattiva parola però suscita molti equivoci nel senso del significato più nobile o nell’uso più nobile che ne è stato fatto. Fu adoperata anche da uomini di governo italiani europeisti i quali ritenevano che per sbloccare certe situazioni in Italia, per determinare cambiamenti che erano necessari ma che tardavano a venire, occorresse una sollecitazione, una richiesta, una frusta dell’Europa.

Fazio : Tornando all’euroscetticismo, lei nel libro evoca la necessità di una controffensiva europeista. Nel caso di elezioni che vedessero protagonisti in percentuali sensibili i partiti euroscettici che cosa comporterebbe per l’Europa? Lei pensa che sarebbe messa in crisi l’idea d’Europa così com’è? In seconda battuta vorrei chiederle: questa controffensiva europeista da che cosa deve partire?

Presidente : La controffensiva europeista deve partire dalla forte valorizzazione di quello che si è costruito in Europa in questi sessant’anni. Non solo c’è stata la Comunità europea intesa come comunità economica, non solo c’è stato il Mercato Comune, non solo ci sono state tante relazioni di carattere economico-sociale, ma si è costruito un diritto comune ed è una cosa straordinaria perché avere un diritto comune e ventotto Paesi oggi membri dell’Unione Europea è qualcosa, nella sua latitudine, che ricorda il diritto romano. Siamo una comunità che può avere un ruolo internazionale molto serio e quindi si cerca di darci una politica estera comune, se andasse avanti il processo sarebbe un progresso straordinario. Il timore è che se si avessero forti rappresentanze euroscettiche nel Parlamento diventerebbe più faticoso il cammino. Io non credo ad un’Europa che torni indietro, anche con tutti coloro che arrivassero da euroscettici al Parlamento europeo ; forse qualcuno sarebbe anche conquistato da una conoscenza diretta, da una partecipazione diretta, poi ormai quello che si è costruito nei rapporti tra le società, tra le economie, tra le culture e anche tra i sistemi giuridici non può essere distrutto nemmeno da parte di chi lo voglia accanitamente.

Fazio : Lei diceva che uno dei valori fondamentali dell’Europa è il diritto e forse anche la democrazia, l’idea di democrazia così come la conosciamo oggi. Al tempo stesso, nel mondo di oggi la democrazia richiede tempi lenti, per l’appunto, per la sua attuazione, per modo di procedere. In un mondo invece così veloce e interconnesso la democrazia a volte rischia di apparire come un rallentamento, come un ostacolo e quindi c’è il pericolo che i diritti acquisiti, per esempio quello dello Stato sociale, siano a rischio?

Presidente : Senza dubbio sono esposti a un rischio, ma non tanto per la questione della velocità che si impone nei processi decisionali oggi, quanto per il costo che alcuni sostengono non essere più sostenibile da quando l’Europa si trova alle prese con delle altre formidabili grandi presenze economiche nel mondo molto competitive e alle quali deve riuscire a reagire positivamente. Ma quello che è stato scritto nei nostri trattati, il modello vero e proprio che è stato siglato, quello di una economia sociale di mercato, che significa precisamente combinare dinamismo economico, produttività, competitività dell’economia con diritti sociali, è qualcosa di irrinunciabile per l’Europa.

Fazio : Quando diciamo “valori identitari europei”, anche secondo i suoi gusti personali, quali sono le cose con le quali lei si identifica con l’Europa? Lei per esempio è un grande intenditore e un grande appassionato di musica…

Presidente : La musica ha avuto più che mai negli anni dell’Unione Europea dei suoi luoghi in cui ci si è riconosciuti tutti europei : pensiamo che cosa è stato ad esempio Abbado direttore della famosa Orchestra Filarmonica di Berlino per tanti anni, oppure pensiamo all’attuale direttore dell’Orchestra di Santa Cecilia a Roma che è stato direttore del Covent Garden a Londra. È un linguaggio che particolarmente si presta alla universalità, ma alla base c’è una lunga evoluzione anche dei vari generi musicali che ha avuto i suoi punti di riferimento essenziali in Europa. E poi ho constatato in questi anni molto fortemente che cosa sia diventato il mondo europeizzato della ricerca scientifica : ho trovato centinaia di ricercatori italiani al Cern a Ginevra e altrettanti ne ho trovati a L’Aia, al Centro di tecnologie e ricerche spaziali. E non sono italiani più francesi, ecc., sono europei, sono ricercatori europei. Abbiamo d’altronde dei programmi quadro europei per la ricerca, abbiamo un Consiglio europeo della ricerca, c’è un approccio comune, c’è un’interconnessione straordinaria.

Fazio: Oggi in Europa ci sono quasi 20 milioni di disoccupati e lei nel libro dice una cosa molto intensa e molto forte, cioè a differenza della grande depressione, la crisi di oggi la pagano soprattutto i giovani con conseguenze imprevedibili anche rispetto alla percezione proprio dell’Europa…

Presidente : E’ assolutamente così, è un problema che non può non essere posto in primissimo piano e dovrebbe essere posto in primissimo piano non soltanto a parole. Abbiamo avuto di recente iniziative interessanti, non risolutive ma interessanti, da parte delle istituzioni europee come la cosiddetta “garanzia per i giovani”, cioè un programma per offrire lavoro, per offrire opportunità di lavoro ai giovani quando siano al termine del loro ciclo formativo. Vorrei però anche dire, per esempio, che quando si parla di necessità assoluta di ridurre il debito nostro, il debito pubblico in Italia, non si dice abbastanza che lo si deve fare non perché ce l’ha chiesto l’Europa ma perché è un dovere verso i giovani. Quando diciamo che dobbiamo sbarazzarci di questo fardello pensiamo soprattutto a loro, perché in Italia si è stati bravissimi nel gestire questa montagna di debito pubblico, bravissimi nel regolare le emissioni di titoli pubblici, nel controllare i tassi di interesse, ma ce lo portiamo sempre sulle spalle. Se lei pensa che oggi 80 miliardi di euro in un anno vanno pagati per gli interessi sui titoli del debito possiamo lasciare questo fardello sulle spalle dei giovani? Quindi, non solo ai giovani bisogna aprire delle prospettive di realizzazione e di lavoro, ma bisogna anche garantire che non debbano continuare a pagare per il debito che hanno contratto le generazioni più anziane.

Fazio : Vorrei proporle due ricordi personali : il primo risale al 9 novembre del 1989, quando lei incontrò a Bonn lo storico Cancelliere tedesco Willy Brandt a poche ore dalla caduta del muro di Berlino, che mi sembra un altro atto fondativo dell’Europa così come la conosciamo oggi…

Presidente: Io lo incontrai in quanto Presidente dell’Internazionale Socialista, ci eravamo visti in altre occasioni e in quel momento il Partito Comunista Italiano di cui era stato Segretario fino alla morte, nel 1984, Enrico Berlinguer, lavorava per il massimo di collaborazione con i principali partiti socialisti e socialdemocratici europei, anche con grandi partiti di governo come quello tedesco. Quindi ragionammo per due ore esatte, dalle 14:00 alle 16:00, su come realizzare questo avvicinamento col massimo rispetto reciproco tra Partito Comunista Italiano e Internazionale Socialista, e in quelle due ore non arrivò la minima onda di quello che stava per succedere, non si ebbe nessuna percezione. Naturalmente si parlava dei movimenti che si stavano sviluppando nella Germania dell’Est. Appena però terminai di parlare con Willy Brandt volli salutare il Presidente del Partito Socialdemocratico che si chiamava Vogel, e venne a salutarmi uscendo dall’emiciclo, dall’Aula del Bundestag, del Parlamento. Arrivò eccitatissimo ma non per dirmi : “sta per cadere il muro”, ma per dire : “abbiamo notizie di straordinarie manifestazioni nella Germania orientale e di manifestazioni per la libertà”, non disse “per l’unità”, ma “per la libertà”. Io partii poco dopo e forse, mentre ero in treno da Bonn a Colonia per prendere l’aereo, accadde quello che sappiamo. Quindi a me è capitato di dire che in quel colloquio fummo sfiorati dal vento della storia senza rendercene conto.

Fazio : Invece poi nella quotidianità, soprattutto in vista delle elezioni, sembra che gli interessi nazionali siano prevalenti nell’indirizzare le politiche complessive dell’Europa, cioè c’è una sorta di egoismo e una contrapposizione quasi rispetto all’Europa. È superabile o è giocoforza che sia così?

Presidente: Gli interessi elettorali o politico-elettorali dei singoli Paesi hanno sempre pesato molto, troppo, nelle elezioni per il Parlamento europeo. Si è finito per parlare molto più di Italia, di Francia, di Germania che di Europa, sono state quasi delle campagne nazionali. Questa volta no, questa volta non si può sfuggire al tema europeo che sarà al centro, magari sarà al centro perché ci sono più avversari del progetto europeo che cercheranno di guadagnare consensi su quella base e bisognerà che i partiti che credono nel progetto europeo e vogliono rilanciarlo, rimotivarlo, anche cambiarlo, non eludano questi temi dando la priorità alle faccende di casa. Poi il discorso degli interessi più sostanziali dei singoli Stati nazionali è sempre il problema centrale. Si è cercato di fare una comunità che potesse addirittura sfociare in una Federazione europea, si è fatta molta strada, però rimangono i particolarismi, anche la preoccupazione che il proprio Paese tragga meno benefici di un altro dalla politica europea. Vale quello che diceva tantissimi anni fa un principale ispiratore del progetto europeo, Jean Monnet : è chiaro che ci sono interessi che ciascun Paese tende a difendere, ma non si può scivolare sul terreno del mercanteggiamento, bisogna individuare l’interesse comune europeo e poi cercare di far convergere il più possibile, in uno spirito di solidarietà, gli interessi nazionali.

Fazio …anche perché oggi la popolazione europea è rimasta invariata mentre la popolazione mondiale è enormemente cresciuta, rappresentiamo una piccola parte del mondo, quindi l’unione è necessaria…

Presidente : Ma questo cambiamento è la principale necessità di cambiamento che ci si pone e, nello stesso tempo, è la forte nuova motivazione per un balzo in avanti dell’integrazione europea. Se ci intendiamo meglio e di più avremo un ruolo per quello che abbiamo rappresentato storicamente come Europa e per quello che ancora possiamo dare al mondo nel processo di globalizzazione, altrimenti scivoleremo ai margini, declineremo.

Fazio: Un’ultima considerazione personale : qual è stata la prima volta in cui lei ha visto l’Europa, il suo primo viaggio fuori dall’Italia?

Presidente: Il mio primissimo viaggio fu quando da studente ero impegnato all’Università di Napoli – e lo stesso accadeva in altre università – in un movimento per dar vita all’elezione dei Consigli studenteschi. Si fece poi un Congresso nazionale universitario a Roma nel maggio del ’46 che elesse una delegazione italiana al primo Congresso studentesco mondiale, nell’agosto 1946, a Praga. Praga non era oltre la cortina di ferro perché non c’era ancora la guerra fredda e infatti parteciparono tutti, anche gli americani, a quel congresso. Quella fu la mia prima uscita dai confini d’Italia. Poi ce ne fu una seconda qualche anno dopo, perché non è che si viaggiasse tanto spesso : andai nel ’49 a Parigi al Congresso mondiale della pace, un grande evento a cui parteciparono molti italiani, uno dei relatori fu Pietro Nenni, e grandi personalità della scienza e della cultura. La scoperta di Parigi fu per me sensazionale, ma anche Praga era una bellissima città.

Fazio: Di quel viaggio a Parigi qual è la prima immagine che si ricorda, la primissima?

Presidente: Forse la prima immagine che mi ricordo fu quando, essendo stato invitato – perché era un po’ un happening – un gigante nero, Paul Robeson, cantò “Old man river” di fronte a questa massa di delegati di tutti i paesi del mondo, e fu anche quello un momento di fraternizzazione straordinaria.

da Discorso

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