Più ci penso e più la manifestazione dei poliziotti in solidarietà con i quattro colleghi condannati in via definitiva per la morte di Federico Aldrovandi - manifestazione inscenata proprio davanti al Comune di Ferrara, dove lavora la madre del ragazzo - mi pare particolarmente indegna. Cosa hanno voluto dire infatti quei (pochi, per fortuna) poliziotti, aderenti ad uno dei sindacati della polizia, il Coisp, con quel sit-it? Non rivendicavano tanto l'innocenza dei colleghi, quanto piuttosto una sorta di intoccabilità "di casta" degli appartenenti alle forze dell'ordine. Lo slogan della manifestazione era "i poliziotti in galera e i criminali fuori": che vuol dire? Forse che i poliziotti in quanto tali non possono talvolta essere anche dei criminali? Che gli uomini in divisa in quanto tali non vanno mai toccati? Che godono di una speciale immunità/impunità? Che per loro non vale il principio della "legge uguale per tutti"?
E poi la sciagurata scelta del luogo. Non davanti al tribunale che ha emesso la sentenza di condanna, non davanti a un qualche commissariato di polizia, non davanti al ministero dell'Interno, ma davanti al Comune di Ferrara, proprio lì dove lavora Patrizia Moretti, la madre di Federico. E non altri che lei - la donna che non si è mai arresa e che ha per anni cercato verità e giustizia per la morte del figlio - era il bersaglio della protesta. Scelta altamente simbolica il cui messaggio, neanche tanto velato, aveva il sapore di una intimidazione mafiosa: come ti sei permessa di ingaggiare una battaglia contro dei poliziotti?
Per queste ragioni pare insufficiente la reazione della ministra Cancellieri: la semplice condanna a parole, per quanto convinta, non basta. Quei poliziotti - che in quanto tali non sono privati cittadini ma rappresentanti delle istituzioni - non hanno mostrato rispetto né per la magistratura, che in tre gradi di giudizio ha condannato i quattro colleghi in via definitiva per omicidio colposo, né per la madre del ragazzo che quei quattro poliziotti hanno ucciso. Bisogna avere il coraggio di dire che non meritano la divisa che indossano.
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