Tutti i fogli erano sparpagliati sulla tavola, si erano sovrapposti anche sul contenitore di tovaglioli e il cestino dei croissant. Alain, il biondo, aveva analizzato ad uno ad uno i concetti contenuti, le formule. Cercando di tirarne fuori un discorso logico, che soddisfacesse l’interlocutore. L’altro, un tipo basso, tracagnotto, sulla cinquantina, aveva ciuffi di peli che gli uscivano dal naso e dalle orecchie e aveva fissato Alain sin dall’inizio con due pupille ferme e scure, senza mostrare segni d’impazienza. Chiese qualcosa, alzando appena il dito indice dalla tovaglia, gli chiese se avesse capito cosa intendesse fare nella vita. Alain si strinse nelle spalle. Spazzò con rotazioni rapide degli occhi tutta la confusione prodotta in venti minuti di vaniloquio. Poi alzò lo sguardo, “Non credo di saperlo”, disse. E si richiuse in un mutismo ostile. Figurò sé stesso come il coperchio di una tomba di marmo. L’altro si alzò con calma, prese il cappotto dalla sedia accanto a lui, e lo salutò, sull’uscita, scrollando il mento verso l’alto.
“È già andato via tuo padre?” gli chiese Dora, mettendosi a sedere allo stesso posto, qualche minuto dopo. Senza aspettare la risposta, gli passò una mano tra i capelli e, con l’altra, afferrò il manico di una delle due tazzine di caffè che stavano in un angolo. Lo butto giù in un fiato. “Ma è freddo”, e poi “Quest’altro non lo bevi, vero?”, gli fece ancora. Sembrò contenta del suo “No”, e fece fuori anche la seconda tazzina. Dora guardò bene il ragazzone davanti a lei, ombroso, come sempre. Si sporse fino a far sostenere il proprio peso dalle ossa iliache poggiate al bordo del tavolino e gli succhiò le labbra, prima sopra e poi, più a lungo, sotto. Rimasero qualche secondo in quella posa sospesa, coinvolti in un lungo bacio. Sembravano felici, così, stagliati contro la luce pacata del primo mattino.
“Non posso rinunciare a lei, non ce la faccio”. “Ma chi ti chiede di rinunciare a lei? Anzi, ti dico di non farlo, non farlo proprio, ma non ingannarla. Basta farle capire che tu hai bisogno anche di altro. Che tu possa stare tranquillo che lei lo accetti.” I due stavano distesi di traverso a pancia sotto, sulla sovracoperta del letto. I piedi di entrambi dondolavano fuori dal bordo. Lei rideva dentro di sé delle confessioni del suo compagno di un pomeriggio. Le aveva appena detto che era la prima volta che andava ad un appuntamento al buio. Scelto attraverso la sua prima inserzione su un giornale, dalla foto. Non si era rivelato male, aveva pensato lei, ma era troppo inesperto. “Con te oggi, no, non chiedo soldi. Sei così bella.” Le aveva detto, prima di entrare in camera. Per tutto il tempo poi, era rimasto a occhi sgranati, “Sei nervoso?” gli aveva chiesto, all’inizio. “Assolutamente no”. Ma quello era uno sguardo pieno di ansia, non di piacere. Pazienza, si era detta, e si era presa il suo, portando l’altro delicatamente fuori dall’imbarazzo. Dopo, gli aveva chiesto perché intendesse farlo, “Sai, è difficile oggi trovare lavoro. A me piace scopare, quindi…” “Scusa se te lo chiedo, tu hai una ragazza?” “Sì.” “E ne hai parlato con lei?” “Oh, beh, no, ci ho provato un giorno ma… mi sembra che non l’abbia presa bene.” “Ti do un consiglio: cerca mantenere la stima di te, di essere sincero.” “Dovrei lasciarla, ma”, e disse che proprio non poteva rinunciare a lei, a Dora. Con tutto il bene che portava nella sua insulsa vita, no, non poteva proprio.
Si salutarono all’esterno, sul viale. Non era più tempo di baci, ci fu solo un abbraccio infagottato tra giacconi e poche parole, neanche un ultimo sguardo. Lei si incamminò con lentezza nella direzione opposta a quella di… Come si chiamava? Ci pensò diversi secondi, ah sì, Alain. Inutile persona. Inutile incontro. Inutili e immaturi sogni.
Quello che non sentiva inutile, per niente, in quel momento, era il fatto di avvertirsi respirare fino in fondo l’aria della sera, sentire i propri passi solitari risuonare nella strada, riconoscersi viva. Viva nelle proprie pulsioni, nei propri bisogni insoddisfatti, nella ferita aperta che bruciava.
Entrò in un bistrot e chiese, in rapida successione, due caffè bollenti.
Francesco Guccini – Inutile