Investire in obbligazioni: cosa è cambiato quanto a rischio, rendimento e liquidabilità

Da Robertopesce

Prima della crisi finanziaria del 2008 scatenata dall’implosione dei mutui sub-prime (mutui concessi allegramente a persone che non avevano i requisiti per rimborsarli) il mercato obbligazionario era poco differenziato.

L’Italia, e la stessa Grecia, si finanziavano emettendo Titoli di Stato che rendevano pochi decimali di punto in più della corazzata tedesca in quanto si credeva che  l’appartenenza comune alla moneta unica significasse un’unione europea compiuta e che quindi un eventuale problema nella periferia dell’Euro sarebbe stato risolto con l’intervento dei paesi forti. Le stesse banche, in molti casi e soprattutto per le obbligazioni proprie collocate allo sportello ad ignari risparmiatori, pagavano interessi inferiori a quelli dello Stato di appartenenza.

Nel mondo pre-crisi la costruzione di un portafoglio finanziario era relativamente semplice: assumendo che i debiti di stati sovrani e banche del mondo occidentale fossero senza rischio, “bastava” stabilire quanta parte dei propri investimenti destinare al cosiddetto free-risk e quanto ad asset rischiosi, azioni in primis. Oggi, invece, la sicurezza nella capacità di stati, banche e imprese di ripagare i propri debiti è messa in dubbio dall’alto livello del debito e dalla crescita negativa o stazionaria di molti paesi sviluppati.

Questa situazione ha cambiato il quadro degli investimenti, in particolare nell’ambito obbligazionario che offre strumenti molto diversi per rischio percepito e rendimento atteso. La gamma spazia dai titoli di stato tedeschi, che offrono un rendimento reale negativo al netto dell’inflazione, alle obbligazioni ad alto rendimento (meglio noti come “junk bond” o titoli spazzatura) emessi da aziende giudicate poco affidabili dalle famigerate agenzie di rating.  Il mercato degli high yield in euro si è sviluppato sostanzialmente negli ultimi anni ed è stato favorito dalla difficoltà delle suddette aziende di finanziarsi presso il canale bancario (divenuto nel frattempo fonte di instabilità e freno allo sviluppo) e dai tassi storicamente bassi richiesti dal mercato grazie alla “fame” di rendimento che spinge gli investitori ad avventurarsi sempre più verso obbligazioni dalle cedole sostanziose. Tra questi due estremi ci sono ad esempio obbligazioni aziendali di buona affidabilità, titoli di stato della periferia europea e obbligazioni governative dei paesi emergenti (in dollari o in valuta locale).

Ciascun segmento del mercato presenta rischi e opportunità peculiari, pensiamo solo alla questione della sopravvivenza dell’euro o alla dinamica dei cambi valutari, di conseguenza va pesato in portafoglio in base alle esigenze personali e all’analisi del mercato obbligazionario.

Per tutti questi motivi è sempre più indispensabile avere un minimo di preparazione e gli strumenti più adatti per scegliere il titolo migliore in relazione alle proprie esigenze (a proposito, la prossima edizione del corso INVESTIRE IN OBBLIGAZIONI si terrà a Reggio Emilia in data sabato 18 maggio 2013, CLICCA QUA per informazioni e per prenotare uno dei pochi posti ancora disponibili)!!

Nella scelta tra le obbligazioni disponibili è bene inoltre tenere presente anche il grado di liquidità del titolo che incide sulla sua negoziabilità. Gli elementi che possono concorrere a favorire o ad ostacolare la liquidità  sono l’ammontare emesso, il mercato di quotazione e gli scambi effettuati sul titolo.

Più l’ammontare nominale emesso è alto e maggiore sarà l’interesse, anche da parte di investitori professionali, nel trattarlo. Una soglia minima di riferimento può essere quella dei 100 milioni di euro, al di sotto della quale il titolo diventa generalmente poco interessante per i trader.

La quotazione su mercati regolamentati rende poi l’operatività semplice e trasparente, mentre la negoziazione solo allo sportello bancario è un ostacolo per il sottoscrittore che deve affidarsi alla valutazione della banca in caso voglia vendere il titolo prima della scadenza. Ovviamente, è sempre meglio non legarsi mani e piedi sottoscrivendo obbligazioni per cui non è prevista la quotazione su mercati regolamentati (per saperlo basta leggere il prospetto informativo dell’emissione) altrimenti si rischia di dover supplicare la banca di ricomprarsela…

Discorso a parte per il cosiddetto mercato “Over the counter”, nome che sembra risalire all’abitudine degli operatori di rimanere nei dintorni di Wall Street per trattare affari sul bancone dei bar (counter appunto). Lì avveniva la negoziazione di titoli che non erano presenti nei circuiti ufficiali di borsa o per proseguire gli scambi al termine dell’orario ufficiale delle contrattazioni. Essendo un mercato non regolamentato non esiste un book di negoziazione né è possibile per un privato inserire proprie proposte; la compravendita avviene richiedendo una quotazione al proprio intermediario ed eventualmente accettando la proposta al prezzo indicato.

La frequenza degli scambi è direttamente proporzionale alla liquidità dell’obbligazione e diventa interessante quando raggiunge o supera i 100.000 euro giornalieri.

In sostanza questi fattori determinano la buona o cattiva liquidità delle obbligazioni che è sintetizzata dallo spread denaro-lettera cioè dalla differenza tra il prezzo più basso a cui un venditore è disposto a vendere un titolo (denaro o ask) e il prezzo più alto che un compratore è disposto ad offrire per quel titolo (lettera o bid). Uno spread ridotto, unito a buoni quantitativi in vendita e acquisto, è positivo perché riduce il costo delle negoziazioni.

Naturalmente questo è solo uno dei tanti aspetti che approfondiremo nel corso sulle obbligazioni in programma il prossimo 18 maggio tramite il quale sarà possibile imparare ad orientarsi nel mercato obbligazionario e a fare scelte consapevoli all’interno dello stesso.

Michele Colosio