E allora, quando ti sei visto in quell’immagine ridicola di uomini paradossali e schiavizzati, non ti viene più tanto da ridere.
Tante storie procedono con il fare tipico di Celestini – stile parlato e dialogico, incedere fabulistico, ripetizioni e rime – che sono tante favole anarchiche o fiabe grottesche dal sapore nettamente reale. In esse, l’io multiforme del narratore si cala perfettamente, mostrando un evidente passione per la molteplicità umana, di cui si fa portavoce smascherando le meschinità piccole e grandi, le idiozie comuni che si trasformano in incubi, la rabbia inespressa che sfocia nell’ingiustizia. Come una goccia, che da sola non fa niente, ma continua, continua, continua, diventa una perdita e poi rompe il tubo.
Nella fila indiana puoi non pensare, puoi andare avanti dritto seguendo il ritmo imposto da Numero Uno, è fatta per non guardare in faccia nessuno e accontentarsi delle piccole soddisfazioni – che corrispondono a dare calci nel didietro a quello che sta davanti a te. Puoi essere, anzi, devi essere bello, pulito e lindo fuori, ma dentro puoi fare schifo, essere abbietto e ignorante. Noi abbiamo vinto la guerra contro lo sporco!, grida Celestini-popolino dalle pagine. Noi in Italia abbiamo il bidé, i francesi mica lo hanno, no? Però noi abbiamo perso altre battaglie: noi abbiamo la tv di stato e mediaset, loro, i francesi, no.
Rossella Battisti sull’Unità ha scritto che questo libro permette di avere un “Ascanio portatile da tenere sul comodino come uno specchietto da borsa per leggersi dentro”. È vero, perché il libro cammina con te, si siede sul bus, entra nel bar, legge i giornali e va alle elezioni banali e scontate. Quindi, mi ritrovo a temere che alla fine della fiera ci ritroveremo anche noi così, come I poveri, di cui riporto solo la fine:
“(…) la rivoluzione non è un pranzo di gala.
La rivoluzione è un atto di violenza.
Marciarono verso il palazzo
e quando arrivarono sotto il balcone del podestà
si fermarono e rimasero zitti.
Perché senza la rabbia e la fame,
senza l’orgoglio e il disgusto,
senza la sete e la meraviglia,
senza coscienza di classe non si fa rivoluzione.
Così il podesta scese in cantina.
Prese una bottiglia e la riconsegnò al popolo.
C’era imbottigliata la libertà
che avevano conquistato i loro nonni,
ma che i padri s’erano venduta da un pezzo.
(..) la stapparono ma non servì a niente.
Perché la libertà da sola non serve.”
Direttamente, la mia mente va a Giorgio Gaber, alle sua frase “libertà è partecipazione“.
Concludo dicendo che quando ho visto la presentazione del libro al XXIV Salone del libro di Torino, Ascanio Celestini ha recitato Le mosche silenziose, che inizia con il protagonista che va alla Camera a buttare la bomba. Al che è partito l’urlo e l’applauso della platea. E lui ha detto: “Ogni volta che dico questa cosa, ovunque, parte l’applauso”.
Sarà così?
Azzurra Scattarella
Ascanio Celestini, Io cammino in fila indiana, Einaudi, 2011, € 18.50