c'è una cosa che mi è sempre piaciuta,
ma che ormai non faccio quasi mai: ballare.
mi piace perdermi dentro un ritmo che riconosco e amo.
mi piace perdere il controllo del mio corpo.
perché quando ballo non capisco più niente,
non so niente,
non voglio niente.
e sono i piedi le gambe le braccia i fianchi le mani che vanno,
ondeggiano,
strisciano,
strusciano come vogliono loro,
seguendo a volte il battere a volte il levare,
a volte i fiati a volte la voce,
a volte le percussioni a volte non so che cosa.
mi piace chiudere gli occhi e fregarmene:
dell'estetica,
della coreografia,
di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato,
di ciò che si fa e di ciò che non si fa,
di ciò che appare agli altri,
se sono bella se sono brutta.
mi piace solo fondermi con ciò che ascolto,
non pensare,
solo sentire,
abbandonarmi,
volare via,
godermela,
a volte cantare, nel frastuono,
a volte perfino ridere,
gli occhi chiusi,
in una dimensione che è diventata altro da quella del sempre.
mi piace entrare in questo stato alterato,
mi piace se sono sbronza, mi piace se ho fumato,
ma mi piace anche con le risorse mie.
L'altra sera siamo andati a un festone di quelli che ormai capitano se va bene una volta all'anno,
dove entri, ti bevi un mojito e ti lanci in pista,
di quelli che poi scemeggi con il tuo uomo e con le amiche sceme come te,
di quelli che un po' balli e ti perdi via,
un po' balli e fai la stupida,
le mosse, le facce, le giravolte e anche le riverenze.
E non importa se poi, adesso, ci vogliono tre giorni perché io mi riprenda.
e non importa se a vent'anni pensavo che a trenta avrei smesso,
e se a trenta ho pensato che forse, per smettere, potevo aspettare i quaranta,
perché adesso, 43 anni dopodomani, inizio a sospettare che non è vero che dovrò smettere a 50,
perché forse invece, di ballare, sarebbe bello non smettere mai.