Enrico Menotti, uomo d’affari italiano, ha una vita famigliare abbastanza problematica.
Ha una moglie, Marisa, con la quale vive un menage di coppia basato sul completo disinterese, mentre ha come amante la bella segretaria Claudia.
Se Marisa lo tormenta da un lato con la sua presenza ossessionante, Claudia gli rimprovera le scarse attenzione che le dedica.
Così, durante un viaggio negli Usa, Enrico si confida con l’amico Arturo, rivelandogli tutti i problemi che ha con le donne che frequenta.
Arturo gli fa conoscere Catherine, un robot che svolge tutti i lavori in casa dell’uomo; l’automa non solo governa la casa senza discutere, è obbediente e silenziosa, una specie di donna-schiava sotto forma elettronica.
Enrico decide così di acquistare un esemplare di robot domestico, che battezza Caterina; i primi tempi di coabitazione tra l’uomo e l’automa sono addirittura idilliaci, tanto che Enrico si sbarazza in rapida successione prima della moglie, poi della cameriera e infine dopo una lite originata da uno scambio di regali, anche dell’asfissiante amante.
Ma le cose iniziano lentamente a cambiare; il robot Caterina all’inizio si mostra impeccabile, poi inizia ad assumere comportamenti quasi umani.
Si lamenta di essere sola e chiede ad Enrico di poter stare in sua compagnia mentre l’uomo la sera assiste ai programmi televisivi.
Il tanto agognato sogno di indipendenza di Enrico va in frantumi quando l’uomo incontra Elisabeth, una ex dipendente di sua moglie.
Da vero viveur, Enrico corteggia la splendida donna e alla fine riesce a convincerla a seguirlo a casa.
Ma l’ostilità di Caterina diventa immediatamente lampante; il robot assume caratteristiche quasi umane, mostrando gelosia e ostilità.
Così la sera quando il robot si accorge che Elisabeth intende passare la notte nel letto di Enrico, devasta la casa provocando la fuga della donna.
Enrico si rende conto di aver sostituito le “sue” donne con un essere meccanico che lo tratta da padrone riverendolo e servendolo in ogni cosa, ma anche rendendolo prigioniero di una situazione non dissimile da un matrimonio umano.
Alberto Sordi regista valeva sicuramente molto meno del Sordi attore, e lo dimostra compiutamente con questo film del 1980, che segue la mediocre partecipazione alla regia nel film Dove vai in vacanza?, nel quale aveva diretto il segmento Le vacanze intelligenti.
Io e Caterina, pur avendo una trama di qualche interesse, sicuramente inusuale nel descrivere il rapporto tra uomo e donna sotto forma di robot, ma in questo caso talmente umanizzata da averne praticamente tutti i difetti tipici (o almeno imputati) della donna, finisce per diventare una fiera paesana non solo di luoghi comuni ma anche sonnolenta e sciatta.
Sordi tira fuori un film debolissimo, con una tematica di fondo che definire detestabile è davvero riduttivo; un maschilismo bieco e assolutamente non condivisibile permea ogni singola scena del film.
Le donne che vi vengono descritte sono gelose e possessive, grette e anche poco intelligenti, a cominciare dalla moglie, descritta come un essere avido e senza sentimenti passando per l’amante e finendo con Elisabeth, donna senza cervello ma dalle forme sinuose, tipico esempio di oca buona per una notte sola.
Ed è questo a irritare principalmente nel film, questo atteggiamento maschilista davvero inqualificabile, portato all’esasperazione nella simbologia robot donna/donna umana, quasi che il fatto di essere femmina implichi necessariamente una predisposizione “genetica” ad alcuni difetti.
A parte il maschilismo imperante, il film è lento, non ha ritmo ed è assolutamente privo anche di humour, a meno che non si voglia considerare umorismo il rapporto di schiavitù che viene a crearsi tra i due universi, l’uomo e il robot e lo svolgimento dello stesso, con la fase penosa della distruzione della casa da parte di Caterina ormai diventata un totem, un feticcio femminile che incarna tutti gli pseudo vizi che vengono spesso imputati alle donne.
Il tutto diventa così un mortificante esempio di cinema visto con un’ottica assolutamente fuorviante, quella di un Sordi misogino e antifemminista davvero sorprendente in un uomo che amava l’universo femminle e che ne vantava le qualità.
Un film quindi non solo povero di idee e discutibile nella tematica di base ma anche irritante come i suoi personaggi.
Non si salva davvero nessuno, a partire da Arturo, il primo dei maschilisti interpretato da un Rossano Brazzi poco convincente per passare a Catherine Spaak, che riesce però a rendere davvero odioso il personaggio di Claudia amante di Enrico.
Sordi è piatto e monotono, mentre la Fenech quanto meno è in smagliante forma fisica e lo dimostra nelle scene di nudo sotto la doccia, spiata dall’enigmatica Caterina che non ha ancora mostrato la sua ostilità verso la “rivale”.
Un film in cui davvero non si salva nulla, da evitare in tutti i modi.
Io e Caterina,un film di Alberto Sordi. Con Alberto Sordi, Rossano Brazzi, Catherine Spaak, Edwige Fenech, Valeria Valeri, Elisa Mainardi, Victoria Zinny, Ugo Bologna, Sandra Mantegna, Andy Miller, Fiorella Buffa, Danuta Chwalek, Andrea Gracco, Susan Scheerer, Daniela Caroli
Commedia, durata 105 min. – Italia, Francia 1980.
Alberto Sordi … Enrico Menotti
Edwige Fenech … Elisabeth
Catherine Spaak … Claudia Parise
Valeria Valeri … Marisa Menotti
Rossano Brazzi … Arturo
Ugo Bologna … Passeggero dell’aeroplano
Elisa Mainardi … Teresa
Victoria Zinny … Susan
Fiorella Buffa … Femminista
Susan Scheerer … Pamela
Regia di Alberto Sordi
Scritto da Rodolfo Sonego e Alberto Sordi
Prodotto da Raimondo Castelli , Gianni Hecht Lucari e Alberto Sordi
Musiche originali di Piero Piccioni
Fotografia di Sergio D’Offizi
Montaggio di Tatiana Casini Morigi
Scenografie di Lorenzo Baraldi
Arredatore Osvaldo Desideri
Costumi di Bruna Parmesan
Effetti speciali di Giovanni Corridori e Germano Natali
Le recensioni qui sotto appartengono al sito www.davinotti.com
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Una delle prove più opache del Sordi attore e regista, del quale inizia a vedersi un accenno di parabola discendente. La storia del robot che sostituisce in un colpo tutte le figure femminili della vita è buona, ma la sceneggiatura non la sfrutta adeguatamente, facendone derivare così una sorta di parabola maschilista, dalla facile quanto scontata morale. Sordi e simpatico, ma ciò non basta a salvare il film dal naufragio.
Il robot io ce l’ho e tu no. Parafrasando un altro film con la Spaak, la storiella è tutta qui. Il solito maschio italiano sordiano, che come noto ce lo meritiamo, alle prese con le donne che lo scocciano. Allora si compra un robot-domestica che si umanizza e diventa gelosa. Ritmo zero, gag invecchiatissime, il Sordi declinante e trombonesco delle peggiori occasioni, che recita dal suo piedistallo. Era scarso allora, rivisto oggi è francamente terribile.
Gli Anni Ottanta di Alberto Sordi si aprono con un film che definisco “conservatore” ed ovviamente maschilista (ma è una costante per Albertone…). L’idea della donna robot che sostituisce quella in carne ossa è geniale, anche se messa in scena in quel periodo sembrava quasi una risposta arrogante al pensiero femminista del decennio precedente; forse Sordi arriva un po’ tardi sull’argomento, visto che eravamo già ampiamente in periodo “riflusso”. Il film lo amo, perché amo Sordi e mi riconosco in molti suoi pensieri e movenze. Ottima, come sempre, la musica di Piero Piccioni.
Nonostante una brillante idea, la donna robot, che verrà più volte ripresa in futuro e nonostante l’Albertone nazionale, la Fenech ed una splendida Spaak, il film ha ben poco da dire. Cosa se ne ricorda? Un po’ di gigioneggiamenti del nostro, due bellissime donne, battute e situazioni mal sfruttate ed una colonna sonora orecchiabile, per quanto scioccherella. Perderselo non sarebbe un peccato!
Un vero peccato che Sordi si sia fatto prendere dalla megalomania, perché anche in questo film (tutt’altro che memorabile) vederlo recitare è sempre piacevole (benché sia sempre lo stesso Sordi, in fondo). Il problema è che alla fine il film si riduce a questo: una macchina da presa che segue Sordi per novanta minuti, scadendo forse nel puro autocompiacimento. La morale sordiana, poi, non è certo un mistero e, considerando che si parla del 1980, la sua posizione sulle donne pare “leggermente” anacronistica.
L’idea era buona, ma la realizzazione è scaduta in maniera farsesca e carente. Una robottina che sostituisce la donna nelle faccende domestiche senza avere pretese di sorta, ma il robot mostra gelosia ed impedisce al suo padrone avventure galanti con scontati risultati. Sordi aveva da tempo perso la vena creativa e lo ribadisce in questa pellicola, in cui vorebbe scavare nella psicologia femminile ma scade nel qualunquismo più assoluto.
Certo: la satira qui è banalotta e il ruolo della donna (siamo nel 1980) in anni immediatamente post-femministi viene dileggiato in modo superficiale. Tuttavia Sordi è abilissimo nel reggere praticamente da solo il peso di tutto il film, con la vicenda che si svolge quasi interamente nella lussuosa casa tra lui e la donna-robot. A sprazzi il protagonista, che si atteggia a maturo dongiovanni e uomo di mondo, lascia trasparire la malinconia del vivere da solo e senza veri affetti. Tardosordiano.
Caterina, una donna robot e dunque oggetto, è il sogno del Dottor Menotti che con una sola manovra si disfa di tutte le donne della sua vita che gli chiedono troppo. La sceneggiatura di Sonego sembra restare buona solo in potenza, Sordi regista non ne eleva il soggetto e il film arriva ad occupare una posizione mediocre nella sua filmografia, sia per uno stile un po’ anonimo sia per la facile lezioncina sul maschilismo e la donna oggetto.