io e lei

Creato il 23 ottobre 2015 da Af68 @AntonioFalcone1

Roma, giorni nostri. Federica (Margherita Buy) e Marina (Sabrina Ferilli) vivono insieme da cinque anni.
La loro appare una relazione serena, piuttosto stabile, è sempre viva la voglia di scherzare e prendersi, amorevolmente, un po’ in giro. Ambedue sono professioniste affermate, la prima è architetto, la seconda ha avviato da tempo un’attività imprenditoriale nel campo della ristorazione, una volta abbandonato il mestiere di attrice.
Vivono in un appartamento elegantemente arredato, un “buon salotto borghese” da condividere con un pregiato gattone e tenuto in perfetto ordine da un cameriere filippino. Certo le differenze fra le due donne, caratteriali, d’estrazione sociale e relative alle esperienze di vita, sono abbastanza evidenti: se Federica proviene dalla classica “famiglia bene”, ha un divorzio alle spalle e un figlio ormai grande, Marina, invece, è nata e cresciuta in una famiglia popolare, ma, soprattutto, è profondamente convinta riguardo la propria scelta di vita e il proprio orientamento sessuale.

Margherita Buy e Sabrina Ferilli

Appare molto più spontanea, diretta e vitale rispetto alla compagna, al contrario ansiosa, sbadata, spesso indecisa e le farebbe piacere che anche quest’ultima, pur nel rispetto della sua indole caratteriale, conducesse con maggiore spontaneità e trasporto la vita in genere e il loro rapporto nello specifico, senza alcun timore d’esternarlo, al di là di ogni ostentazione che non sia la naturale manifestazione di un normale volersi bene.
Per Federica sarà sufficiente l’incontro con un vecchio amico per scatenare ulteriori dubbi ed insicurezze, mandando in crisi il rapporto …
No, non è tanto, o non solo, il tradimento fisico a procurare dolore a Marina, ma la consapevolezza che la sua compagna non abbia la forza e il coraggio di sostenere una felicità del tutto personale, libera da pastoie moraliste e vacuamente perbeniste, perché l’amore in quanto tale, fra due persone che si amano reciprocamente per quel che sono e se ne infischiano di ciò che rappresentano agli occhi degli altri, non necessita di etichette o stravaganti denominazioni …

Diretto con avvolgente e morbida scioltezza da Maria Sole Tognazzi, anche sceneggiatrice insieme a Francesca Marciano ed Ivan Cotroneo, io e lei è, ad avviso di chi scrive, un film piuttosto piacevole e riuscito, da ascrivere al genere comedy-drama, amalgama dal retrogusto agrodolce il cui buon bilanciamento si sostanzia in virtù di un rincorrersi fra toni divertenti, divertiti, spigliati ed altri più drammatici, permeati da una soffusa vena malinconica.
L’equilibrio descritto è reso possibile non solo dalla regia e dalla tutto sommato valida scrittura, forse sin troppo prudente e lineare, ma in particolare dalla splendida prova recitativa di due attrici in stato di grazia per naturalezza e spontaneità interpretative. Probabilmente la rappresentazione del loro legame potrà sembrare non del tutto alchemico a quanti ancora inseguono la visione di un rapporto sessuale la cui libertà è all’altezza del buco della serratura, ma a mio personale giudizio ben evidenzia la stabilità di un’ unione matura fra due donne adulte che si trovano a percorrere una parte di vita insieme, forti anche del loro vissuto nel sostenere un rapporto fra gli inevitabili alti e bassi che qualsiasi relazione comporta.

La regista segue le due protagoniste, così come ogni altro componente del cast (fra i quali risalta Ennio Fantastichini nel ruolo dell’ex marito di Federica), nelle loro attività, lasciando che venga fuori con una certa immediatezza ogni sfumatura caratteriale. In fondo Buy e Ferilli, come credo già notato da altri, assecondano, con una buona dose di autoironia, i tratti più caratteristici del loro stile di recitazione, senza enfasi o manierismi, anzi soprattutto la seconda riesce ad eccellere nel non detto, nei mezzi toni, in quegli sguardi silenti ora complici ora accusatori, al di là delle battute da romana verace, che conferiscono comunque ulteriore verve realistica all’intero arco narrativo. Marina non dimentica certo le sue origini (belle le scene che si svolgono a casa dei genitori, nel corso del pranzo domenicale) ma riesce a distanziarsene in virtù di un’autonomia di pensiero volta essenzialmente a perseguire l’affermazione della propria più intima essenza, provando poi a condividerla con quanti le stanno vicino, ma senza alcun vincolo d’accettazione.

La Buy a sua volta appare piuttosto a suo agio nel dare voce a tutte le incertezze di Federica, una donna che ha strutturato la propria vita in base a determinati parametri imposti dall’ambiente di appartenenza e accettati supinamente, senza colpo ferire, quasi una sorta di doverosa accettazione ereditaria, dove anche gli sbagli sembrano aver avuto luogo per conto terzi.
Ora si trova a dover fare i conti con se stessa, al bivio di una scelta esistenziale finalmente definitiva di cui dovrà rendere conto solo a quella parte della propria anima lasciata da tempo a languire nel buio scantinato dell’arrendevolezza alla paura di essere propriamente felice. Cornice alla narrazione una Roma del tutto linda e pinta, il “salotto buono” di cui ho scritto nel corso dell’articolo, ma, riporto la mia interpretazione, qui la “bella confezione” non è qualcosa di vacuamente gratuito, bensì la necessaria rappresentazione di quella parte di società ai cui occhi tutto appare piacevole fin quando viene visualizzata l’espressione del proprio modus vivendi, la corrispondenza ai propri ideali di pensiero e comportamentali, dove anche un divorzio può rientrare nell’ordine delle cose come “prevedibile imprevisto”.

Buy, Maria Sola Tognazzi, Ferilli

L’amore fra due persone dello stesso sesso viene invece quasi obbligatoriamente inserito nel catalogo della sin troppo consueta pruderie di provincia o bonariamente accettato con il contorno delle solite battute maschiliste di cui è a volte espressione l’ex consorte di Federica, mentre la forza pulsante di io e lei consiste proprio nella manifestazione di una normalità che mette da parte scandali o perbenisti pudori di facciata. Si offre rilevanza ad una storia d’amore come tante, rendendo bene l’idea di come l’unica diversità da esibire sia quella che appartiene a ciascuno di noi, ovvero la possibilità di fare la differenza nel corso del proprio viaggio terreno scegliendo liberamente il proprio appagamento esistenziale, qualunque sia la nostra condizione sentimentale, ricordando, in guisa di opportuna conclusione, i versi di Sandro Penna: Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune. (Poesie, Garzanti, 2000).


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