Mi sentivo un po' da meno in tutto questo e pertanto ho deciso anch'io di cimentarmi in un qualcosa che mi avvicinasse alle tematiche culturali che ormai possono dirsi proprie di questo blog. Ho deciso, quindi, di intraprendere la recensione di un'opera letteraria moderna (non preoccupatevi, non apro un ciclo, è un eventio unico): il libro a cui ho dedicato buona parte del weekend e di cui voglio scrivere è il quasi best seller Io, Ibra. Autore Zlatan Ibrahimovic (ma in realtà l'ha scritto tal David Lagercrantz).
A meno che il lettore non sia un assoluto cultore della persona fisica di Ibra, l'interesse di un normale appassionato di calcio verso i contenuti di questo libro (come per i tanti altri scritti dai suoi colleghi prima di lui), si focalizza nella descrizione di quelle dinamiche presenti all'interno del mondo del calcio che normalmente sono celate agli occhi delle telecamere ed ai taccuini dei cronisti. Cioè di tutto quanto accade, come si suol dire, all'interno dello spogliatoio. In altre parole, la biografia di un calciatore deve servire da finestra su quella parte di mondo che normalmente è racchiusa dietro silenzi stampa e frasi di rito e, ciò che le si chiede, è di raccontare quanto accade dietro la facciata che club e giocatori quasi sempre riescono a mantenere..
Il libro, alla sua uscita, aveva fatto parlare di sé in quanto, già fin dalle prime pagine, Ibra si scaglia contro Guardiola, allenatore del Barcellona, descrivendolo testualmente come "coniglio", "senza palle", "codardo". La voce narrante del nostro eroe vichingo ci racconta di episodi in cui si è trovato, spinto da un'ira incontenibile, ad apostrofare in malo modo e davanti a tutti i suoi compagni il suo mister di Barcellona, senza che questi avesse il coraggio di reagire.
Le premesse quindi sono buone: Ibra ci offre racconti inediti e chiavi di lettura nuove su quello che è stato il fallimento della sua esperienza spagnola ed il peggior affare (in termini di milioni di euro ma non certo di gol) del Barcellona dell'ultimo ventennio. Purtroppo però, in poco tempo, la prosa di Ibra perde di incisività e le pagine scorrono senza che gran che si aggiunga a ciò che chiunque abbia seguito il calcio negli ultimi dieci anni già non sapesse.
Tutto è scritto in prima persona ed il principale elemento che emerge è la forte personalità del protagonista. Si direbbe quasi che tutto il mondo sia Ibra-centrico cosicchè anche i personaggi che si assecondano interagendo col protagonista hanno tratti sfumati perchè quello che conta è far passare il motto: Ibra è venuto dal Bronx di Malmoe ed è un vincente. Gli è sempre importato solo di se stesso e questo gli ha permesso di diventare il numero uno.
Quello che rimane, come ho detto, è qualche sfumatura: le liti con Mihajlovic e Vieira (ma quelle le abbiamo viste tutti in tv); quella con Onyewu (non c'erano le tv ma ce la siamo immaginati!); la grande amicizia con Maxwell; Messi che sembra uno scolaretto, come tutti al Barca; la stima per Cassano e Robino; le invidie di Van der Vaart ai tempi dell'Ajax; le notti in camera ad ascoltare i racconti orgiastici del Mutu post-Chelsea. Poi gli allenatori: di Guardiola già detto; Capello che fa gelare il sangue appena ti passa affianco ma che è un grande; Mourinho un amico; Mancini un fighetto; Van Gaal un rompipalle; Allegri: sembra bravo. E poi, ancora, Moggi che con il suo sigaro inonda la stanza e piange in piena crisi da calciopoli; Galliani artista della trattativa; Raiola ciccione, mafioso ed amico.
Mi aspettavo un po' di più da questo libro: a tratti si ha l'impressione che D.L. (il vero autore) abbia preso molto più spunto dalle immagini tv che da racconti del protagonista. 300 delle 400 pagine potevano essere scritte da chiunque di noi sulla base di quanto visto in tv e da quello che si trova su Wikipedia. Peccato, visto il personaggio, poteva essere divertente!
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