La trama, per quel che è possibile delineare in un film così poco programmatico: un noto scrittore- giornalista italiano (Sandro, interpretato da un lunatico Walter Chiari) è alle prese con una nuova inchiesta da cui si aspetta molto e che eppure diffida a approfondire per la contiguità con il vizio sotto esame, un’inchiesta sull’egoismo. Inizialmente il film è un vivace e atipico docufiction, basato su un montaggio schizogeno (che forma i personaggi per scissione e distanziamento dalla trama che li comprende), presentandoceli in rassegna: sono bizzarri, generosi, appiccicosi, superbi che coi loro atti opposti testimoniano un’unica tensione: l’attaccamento feroce alla vita, e di fatti inizialmente i personaggi altro non sono che emblemi atti a confortare la sua posizione molto critica sull’egoismo.
Succede tutto nel corso di tre giorni di lavoro, in cui l’accusa muta in confessione, in cui tre diverse tipologie filmiche si avvicendano e le circostanze sono l’eco costante di rimorsi e rimpianti, bei ricordi andati e mai del tutto approdati come avremmo voluto. Blasetti sembra dirci, parafrasando una celebre frase di Gaber su Berlusconi: “non temo l’egoismo in sé, temo l’egoismo in me”. E aveva ragione, tanto che nel film sono rintracciabili quegli elementi tipici di certo renzismo contemporaneo, quel tipo di uomo che cerca l’Utile anche nell’Altro.
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