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Io non so che tu non sai che io non so. Scarababarile Casamonica style.

Creato il 25 agosto 2015 da Postik @postikitalia

Ho appena comprato su un noto sito per acquisti on line un bellissimo orologio. Oddio bellissimo, a me piace, quindi, almeno per il sottoscritto, è bellissimo.

Si tratta di un orologio a parete, alimentato da due batterie tipo torcia. Ogni ora, puntuale, un cucù meccanico si affaccia e fa il suo dovere. Ma non è questo il motivo essenziale che mi ha spinto al suo acquisto, mi ha invece colpito la sua linea un po’ retrò: completamente in legno e ben rifinito, ha infatti il merito di riproporre in modo straordinario la linea di un cucù classico, di quelli che tu, al ritorno da un viaggio in Svizzera (chi non sognerebbe di farlo?), ti porti come souvenir, magari da regalare ad un amico.

Una simulazione perfetta, adatta, dunque, ai tempi  in cui viviamo. Siamo o non siamo, infatti, sempre pronti ad indossare una maschera per difenderci da quello che definiamo “il mondo esterno”? Lo sosteneva Freud e, più o meno nello stesso periodo, lo intuiva anche Luigi Pirandello. Particolare interessante? Entrambi giunsero alla medesima conclusione ma seguendo percorsi differenti, ciascuno ignorando la strada o il sentiero percorso dall’altro. Probabilmente succede così per le verità universali.

Tutti, in un modo o nell’altro, simuliamo, non vi è nulla di particolarmente scandaloso né di nuovo; a volte (sottolineo a volte) può essere addirittura una necessità.

Ciò che tuttavia risulta fastidioso, è la tenacia con la quale spesso noi simuliamo: simuliamo la felicità … e magari ci è morto il canarino; simuliamo la tristezza, l’amore e magari, al momento opportuno, anche l’orgasmo.

Ma anche in questo caso niente di nuovo sotto il sole e, tutto sommato, niente di decisamente grave. La situazione cambia quando invece la simulazione non riguarda soltanto noi e i nostri rapporti interpersonali, ma riguarda invece la società in cui viviamo e quindi va ad interagire in modo più profondo con tutti coloro che, proprio come noi ed insieme a noi, in questo tessuto sociale vivono.

Il funerale show che si è svolto  lo scorso 20 agosto per le strade del quartiere Tuscolano a Roma, ha dato l’avvio, ad esempio, ad un vero tango della simulazione. All’indomani della sfarzosa e pacchiana – così sostiene qualche malevolo – cerimonia, abbiamo infatti avuto modo di assistere alla consequenziale e ben nota “cerimonia” dello scaricabarile in cui molti hanno avuto un ruolo di spicco: il prefetto Gabrielli, il questore e il vice questore, l’assessore alla legalità e i vigili urbani della città capitolina. Ognuno ha cercato di interpretare bene il suo ruolo e ha cercato di simulare lo stato d’animo richiesto “alla bisogna”: l’indignazione, il rammarico, la collera.

Gli unici che, a nostro parere, non hanno simulato sono state le forze dell’ordine presenti, le quali, tra l’altro, erano le uniche, insieme ai familiari del defunto in abiti papali, ad essere realmente presenti (il suddetto assessore e il sindaco, tuttavia, erano assenti giustificati: le vacanze sono sacre e inviolabili, perbacco!).

Le forze dell’ordine dunque, poiché presenti, non potevano simulare, la paura la provavano davvero. D’altra parte non ce la sentiamo di puntare, come tutti, l’indice accusatore verso chi i pericoli quotidiani li vive sul serio, tenendo presente, inoltre, che il clan Casamonica non è certo la Banda Bassotti.

In gioco non c’era infatti il forziere pieno di monete d’oro del deposito di zio Paperone, in gioco c’era e c’è ben altro: un’ ottima occasione, costruita e sfruttata benissimo da chi quel funerale ha organizzato, per dare una dimostrazione di forza e  sottolineare il totale controllo di un territorio, mettendo così ancora una volta in evidenza la totale incapacità – o connivenza? – di una classe politica decisamente inadeguata o, nella peggiore delle ipotesi, corrotta e complice.

Ma forse queste sono solo ipotesi, illazioni prive di fondamento; probabilmente la famiglia Casamonica è riuscita ad ottenere il permesso di celebrare il funerale del patriarca Vittorio solo grazie alle capacità dialettiche di un suo componente.

Solo in questo modo sarebbe stato infatti possibile ottenere il consenso del parroco della chiesa Don Bosco, la stessa chiesa – vedi la combinazione – in cui furono celebrati i funerali di Enrico de Pedis, uno dei capi della banda della Magliana, la stessa infine – ma tu vedi quante combinazioni – che rifiutò di celebrare quelli del radicale Piergiorgio Welby il quale, bisogna però ricordare, aveva commesso il grave reato di aver voluto, ormai malato terminale, interrompere la ventilazione assistita che lo teneva in vita da anni, troppi anni. Ma, evidentemente, delle suddette capacità dialettiche i familiari di Piergiorgio Welby dovevano esser privi!

Mina Welby, la vedova di Piergiorgio, non prova rabbia per gli imponenti funerali del boss, celebrati nella stessa chiesa romana dove avrebbe voluto dare l’ultimo saluto al marito. Così afferma in una intervista rilasciata alla nota testata Il Fatto Quotidiano e noi, ci sentiamo di dover dire, anche per questo l’ammiriamo.

Intanto cominciamo a fantasticare sulla data in cui potrà essere inserito nel calendario un nuovo santo, di origine abruzzese ma romano di adozione. Già gli altri santi  sono in subbuglio: chi dovrà lasciare il posto al nuovo illustre collega?

Gianpaolo D’Elia

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fonte foto: Mauro Biani


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